Sanità - 01 agosto 2025, 11:28

Infermieri schiacciati da attività delegabili: studio piemontese rivela numeri e vissuti della professione

Una ricerca su cinque ospedali mostra che il 25% del tempo viene assorbito da mansioni non sanitarie

Infermieri schiacciati da attività delegabili: studio piemontese rivela numeri e vissuti della professione

Un quarto del tempo lavorativo degli infermieri nei reparti di area medica e chirurgica viene assorbito da attività che potrebbero essere delegate ad altre figure professionali. Lo rivela un recente studio realizzato in cinque ospedali piemontesi, promosso dall'Ordine delle professioniinfermieristiche di Torino e condotto dall'Università di Torino.

La ricerca, pubblicata sul Journal of Advanced Nursing e sul Journal of Patient Safety, per la prima volta ha misurato in modo sistematico sia il tempo dedicato a compiti "delegabili", sia i vissuti degli operatori.

Il dato che emerge è netto: il 25% del turno di lavoro di un infermiere viene oggi dedicato a mansioni che comprendono cambio di presidi, rilevazione dei parametri, cura dell'igiene del paziente, gestione di telefonate, pratiche amministrative, trasporto pazienti, consegna di vassoi, e altre attività di supporto logistico. Si tratta di compiti che, secondo le indicazioni organizzative, dovrebbero essere affidati a operatori socio-sanitari (OSS), amministrativi o altro personale ausiliario, ma che nella realtà ricadono quotidianamente sulle spalle degli infermieri.

I numeri della ricerca

Alla ricerca hanno partecipato 236 infermieri distribuiti in 27 reparti di area medica e chirurgica di cinque ospedali piemontesi, rappresentativi sia di realtà pubbliche sia private. Un approfondimento qualitativo è stato svolto su 20 professionisti selezionati per età, genere, esperienza e area di appartenenza: l'età media è di 36 anni, con una predominanza femminile dell'80%, un'esperienza media di 10 anni di carriera e una suddivisione tra area medica (13 infermieri) e chirurgica (7 infermieri).

Secondo alcune ricerche internazionali, la quota di tempo dedicato ad attività non sanitarie da parte degli infermieri può arrivare addirittura al 70% nei contesti ospedalieri più critici. In Piemonte, il dato reale resta comunque strutturale, con un impatto stimato di oltre 5.000 operatori-equivalenti sottratti ogni giorno alle attività cliniche dirette agli assistiti.

Le cause del fenomeno

Le ragioni che emergono sono molteplici e si intrecciano fra fattori sistemici e culturali. Gli infermieri segnalano la carenza di personale di supporto, soprattutto nei turni notturni, e la presenza di servizi spesso non funzionanti o disponibili nei momenti di bisogno. La gestione della burocrazia, dei trasporti, delle pulizie e delle pratiche amministrative pesa fortemente sulla routine infermieristica.

Non meno rilevante è la difficoltà a delegare: molti infermieri, specie i più giovani, raccontano di trovare ostacoli nel rivolgersi a operatori di supporto più anziani o poco collaborativi, mentre altri esprimono dubbi sulla qualità del lavoro delegato o temono critiche dai colleghi. Prevale spesso un senso di responsabilità morale che spinge a coprire i vuoti dell'organizzazione pur di non lasciare soli i pazienti, anche a scapito del proprio benessere.

Dalle interviste emerge una professione vissuta spesso come "ibrida", a metà tra segretari, operatori di supporto e clinici. "Quando arrivo a casa, a mente fredda, mi rendo conto che non sono stata un'infermiera, ma una amministrativa, un OSS… tante cose insieme", racconta una delle infermiere coinvolte nello studio.

I sentimenti ricorrenti sono la frustrazione, la perdita di identità professionale, la paura di commettere errori, la demoralizzazione e l'ansia. Non mancano testimonianze che parlano di rischio burnout e di una motivazione messa a dura prova. Molti infermieri si sentono operatori ibridi, anelli di compensazione in un sistema che li utilizza in modo improprio, con conseguenze devastanti in termini di motivazione e rischio di burnout.

Ivan Bufalo, presidente dell'Ordine delle professioni infermieristiche di Torino e anche presidente del Coordinamento degli Ordini delle professioni infermieristiche del Piemonte, lancia un appello forte alle istituzioni, sia politiche sia delle direzioni aziendali.

"Siamo di fronte a una situazione che non è più sostenibile. In Piemonte mancano almeno 6.000 infermieri, ma il dato forse più preoccupante è che circa il 25% del tempo degli infermieri in servizio nel SSR viene quotidianamente speso in attività che nulla hanno a che fare con l'assistenza sanitaria", dichiara.

"È urgente ripensare i modelli organizzativi e assumersi la responsabilità collettiva di restituire agli infermieri il loro ruolo centrale nella cura. Non ci sarà alcuna sostenibilità possibile senza un utilizzo appropriato, rispettoso e strategico delle competenze infermieristiche. In gioco non c'è solo l'efficienza delle cure, ma la sicurezza dei pazienti, la qualità dell'assistenza e la tenuta complessiva del sistema sanitario pubblico".

Redazione

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