Cultura e tempo libero - 04 agosto 2025, 18:22

Storia di Giacomo Bove: viaggi da Maranzana ai confini del mondo

Dall’infanzia in Piemonte alle spedizioni nell’Artico, in Sud America e in Congo. La breve vita dell’uomo che sognò l’Antartide

9 agosto 1887. Quel giorno, Verona respirò l’aria del mondo: dell’Artico, del Sud America, dell’Asia. Fu il sospiro finale di una vita breve, trascorsa a esplorare il globo e conclusa con un colpo di pistola alla testa.
Giacomo Bove aveva 35 anni quando si suicidò, un gesto estremo contro un futuro che non sarebbe più stato suo, costretto dai dolori della malattia.

 Da qui ha preso avvio il racconto di Eugenio Carena, presentato domenica alla Casa Museo di Giacomo Bove, a Maranzana: un'immaginazione degli ultimi istanti prima della morte dell'esploratore, un viaggio verso la fine intriso di suggestioni letterarie, in particolare “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, a richiamo dell’ultima spedizione di Bove in Congo, dove si ammalò.
Un viaggio in cui l’immaginazione si è spinta fino a evocare le persone a lui care: Emilio Salgari, amico e ammiratore; la madre; la moglie Luisa. Una ricerca profonda di ciò che potrebbe aver attraversato la mente dell’esploratore di Maranzana in quegli ultimi, drammatici momenti di vita.
Una morte che, forse, non poteva arrivare diversamente da una personalità come la sua, fatta di azione, spedizioni e progetti che avrebbero cambiato l’Italia e che, senz’altro, hanno lasciato un segno nel mondo.

(In foto: la presentazione del racconto "L'ultimo viaggio", di Eugenio Carena)

Giacomo Bove: dalle colline all’Oriente

Lontano dal mare, il 23 aprile 1852, nacque Giacomo Bove, nel piccolo paese collinare di Maranzana, in Piemonte. Ma fu proprio l’acqua a definirne il destino. Il richiamo dell’ignoto, della scoperta, della rotta da tracciare, lo portò a Genova, dove decise di entrare nella Scuola della Marina militare.

Appena ventenne, iniziò il suo viaggio, un percorso fatto di esplorazioni, carte geografiche da riscrivere, popoli da incontrare e sogni troppo grandi per l’Italia di allora.
Nel 1872, l’Italia era uno Stato giovane e con grandi fragilità, da colmare con la ricerca del prestigio a livello internazionale. 
In questo contesto, si affacciò l’idea di occupare un’isola del Pacifico per costruire una colonia penale. Tuttavia, questa spedizione non doveva apparire come un’azione militare. Così, fu mascherata da missione commerciale, sfruttando un pretesto apparentemente innocuo: lo studio dei bachi da seta.

A quei tempi, il Piemonte era centrale nella sericoltura europea, ma la moria dei bachi aveva messo in crisi l’intero settore. La spedizione serviva quindi, ufficialmente, ad analizzare come alcune popolazioni di bachi sopravvivessero in aree dove altri morivano.

L’isola fu effettivamente raggiunta e occupata, ma l’intervento prematuro della stampa italiana - che rivelò le reali intenzioni della missione - allarmò le potenze europee, con l’opposizione di Francia e Inghilterra. Il piano fallì.

(La spedizione in Oriente di Giacomo Bove)

Il grande Nord: ghiaccio, scoperte e popoli sconosciuti

Dopo la spedizione in Giappone, le competenze tecniche e scientifiche di Bove gli diedero la possibilità di tentare un’impresa mai provata prima dall’Italia: trovare il passaggio a Nord-Est e portare il tricolore italiano dove nessun altro l’aveva ancora issato.

Insieme a una squadra internazionale, Bove rimase bloccato tra il ghiaccio per 9 mesi, tanto da essere considerato disperso. Ma in quel periodo la squadra di scienziati osservò correnti, animali, fenomeni atmosferici, e persino un misterioso popolo fino ad allora sconosciuto in Europa: i Čukči, di cui Bove documentò la cultura, la lingua e le usanze, stringendo un rapporto stretto con loro.
In quei mesi, Bove riuscì anche a ridisegnare le carte geografiche dell’Artico, correggendo le imprecise mappe russe.

(La spedizione di Giacomo Bove nell'Artico)

Al suo ritorno, Giacomo è popolare e ammirato da personalità come Emilio Salgari, Edmondo De Amicis e Giuseppe Garibaldi
Allora, decise di proporre una spedizione tutta italiana, arrivando dove mai nessuno era riuscito: l’Antartide
La spedizione avrebbe avuto una durata prevista di tre anni, passando per la rotta atlantica, attraversando Argentina, Patagonia, Terra del Fuoco e le isole Falkland, per poi spingersi ancora più a sud, verso il Mare di Ross. 
L’obiettivo: determinare se si trattasse di un arcipelago o di un unico blocco continentale.
Tutto il tragitto sarebbe stato concepito come un'estensione e una verifica delle esplorazioni compiute in precedenza da James Clark Ross e Charles Wilkes. Parallelamente, sarebbero state condotte osservazioni scientifiche su geografia fisica, meteorologia, magnetismo e astronomia.
Tuttavia, le possibilità economiche del Paese non bastavano e, nonostante l’appoggio totale della Società Geografica Italiana, dovette trovare un altro modo. Da allora, l’esplorazione del continente antartico diventa il suo principale obiettivo.

La Terra del Fuoco

A puntare su Bove fu l’Argentina, chiedendogli di documentare il territorio e le popolazioni della Terra del Fuoco, allora largamente sconosciuti, in cambio dell’occasione di avvicinarsi all’Antartide.

Bove fece due spedizioni in Argentina, tra il 1881 e ‘82 e tra il 1883 e ‘84, facendo rilievi, studi geografici, rapporti dettagliati sulla fauna, sulle popolazioni indigene, sul potenziale agricolo. Bove, inoltre, propose all’Italia un piano: una colonia agricola per 20 mila italiani nelle terre fertili argentine. Un progetto dettagliato, quasi un business plan ante litteram. Anche questo non ebbe seguito, ma in due anni gli emigrati italiani in Argentina passarono da 200 mila a 900 mila. Un segno che Bove aveva lasciato il segno.

Durante la seconda avventura in Sud America, parteciparono anche la moglie, Luisa, il più volte Presidente della Repubblica Argentina, Sarmiento,  ed Edmondo De Amicis, in Sud America per alcune conferenze.
Ma anche questa volta, il progetto per l’Antartide non riuscì.


(Le due spedizioni in Sud America)

“Che buffonata la vita: questa misteriosa combinazione di logica impietosa per un futile scopo”

Questa frase di Marlowe di “Cuore di Tenebra”, descrive molto bene quel che colpì Bove durante la sua esplorazione lungo il fiume Congo, tra il 1884 e l’85.
Giacomo sconsigliò fortemente ogni coinvolgimento italiano in quell’area, intuendo le difficoltà ambientali, sanitarie e sociali. Un parere lungimirante ma, allo stesso tempo, premonitore della fine: durante la spedizione, contrasse una malattia rara, probabilmente la malaria.
Rientrato in Italia, l’esploratore piemontese cadde sempre più nello sconforto e, colpito da dolori che non gli avrebbero più permesso di continuare i propri viaggi, prima di togliersi la vita, scrisse tre lettere. In una di queste racconta dell’acquisto dell’arma, chiudendo con una battuta: “L’armaiolo mi ha detto che [la pistola] era capace di ammazzare un bove”.

Oggi: l’eredità di Giacomo Bove

A Maranzana, nella sua casa natale diventata sede del Municipio, si trova un museo a lui dedicato, inaugurato dalla sua pronipote e nato per trasmettere ai ragazzi delle scuole l’immenso bagaglio culturale di uno dei personaggi italiani più importanti del XIX secolo.

Inoltre, ad approfondire la vita dell’esploratore, sono presenti online alcuni video, tra cui quello del reporter Franco Guarino e della scrittrice Patrizia Figini.
 

Francesco Rosso

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