Un Occhio sul Mondo - 12 agosto 2025, 09:00

È ora che i militari dicano signornò

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

È ora che i militari dicano signornò

Più di nove ore di riunione del Gabinetto di Sicurezza Israeliano, perché Netanyahu e gli esagitati della sua maggioranza , che lo incitano e lo sostengono in questo folle crescendo di barbarie e di violenza, arrivassero alla decisione di attuare il piano di occupazione militare della Striscia di Gaza, confermando, qualora ce ne fosse bisogno, che il Governo di Tel Aviv ritiene che il controllo totale della Striscia sia l'unica soluzione perseguibile.

Unico ad opporsi il Generale Eyal Zamir, Capo delle IDF-Israel Defence Forces, che ha espresso chiaramente la sua contrarietà, verso un'idea operativa che, a suo parere, “trascinerà Israele in un buco nero”.

Secondo la leadership politica israeliana, le loro forze militari dovranno quindi prendere il controllo completo di tutta l'area di Gaza, procedere al trasferimento, che non potrà che essere forzato, di più di un milione di persone, compresi infermi, feriti e persone deboli, nella parte meridionale della Striscia. In un'area che, pur se non è stato esplicitamente precisato, dovrà essere logisticamente preparata ad accogliere questa massa malnutrita, sofferente, ma anche esasperata e rancorosa (eufemismo). Il tutto, in un quadro operativo che vede le forze residue di Hamas ancora in grado di creare problemi.

In un contesto del genere, non ci si deve stupire che il Ministro della Difesa israeliano Itamar Ben Gvir abbia ritenuto necessario richiamare all'ordine il suo Generale, intimandogli di continuare ad obbedire alla politica, perché non si fa fatica a pensare che le rimostranze del militare, di fronte ad una follia concettuale ed operativa di tale portata, siano state forti e ben motivate. Ovviamente, non è dato di sapere quali siano stati i dubbi espressi da Zamir, ma risulta semplice immaginarli con ottima approssimazione.

Intanto, bisogna considerare che per concretizzare questo piano, le IDF dovranno modificare il loro modo di condurre le operazioni, rispetto a quanto hanno sinora fatto nella Striscia. Fino ad oggi, le Forze Israeliane hanno in mano l'iniziativa. Aspetto fondamentale per il successo delle azioni militari, perché mantiene alto il livello di imprevedibilità e, di conseguenza, riduce notevolmente la vulnerabilità. In pratica, in questi mesi di operazioni a Gaza, le unità israeliane potevano colpire dove, quando e come ritenevano opportuno, rimanendo sul terreno “nemico” solo il tempo necessario per conseguire il risultato.

L'occupazione militare, approvata a maggioranza da Netanyahu ed i suoi strateghi, comporta ben altre procedure operative. I soldati di Tel Aviv dovranno effettivamente avere il controllo al 100% della Striscia, per cui saranno costretti a permanere sul territorio, per quanto limitato (360 km2 - doppio di Roma città), attivando presidi fissi e pattugliamenti che, per quanto si cercherà di rendere il più randomici possibile, si svolgeranno più o meno sempre nelle stesse aree, incrementando esponenzialmente il rischio dei militari.

E per meglio comprendere il significato di questo, che poi è buona parte delle giustificatissime preoccupazioni del Generale israeliano, bisogna spazzare via la convinzione comune che viene espressa dai più, politici e commentatori compresi, che al momento Israele controlla già il 75% dell'area di Gaza, perché militarmente non è così. Si può probabilmente affermare che le IDF abbiano già colpito o fatto azioni di attacco o di rastrellamento nel 75% della Striscia, ma questo non significa assolutamente averne il controllo, che è tutta un'altra cosa.

Per poter garantire di avere la Striscia “in pugno”, il nr. 1 delle IDF dovrà impiegare ben più delle 4 Divisioni attualmente impegnate. Forze che, sotto l'aspetto numerico, risultano essere inferiori alle 5 Divisioni che, secondo i piani israeliani, necessiterebbero per condurre le attuali operazioni. Inoltre, sotto l'aspetto dell'efficienza operativa, cominciano ad evidenziarsi segni di stanchezza e di stress, dopo mesi di attività condotta nel contesto operativo più difficile e, probabilmente, più odiato da un soldato, come quello urbanizzato e densamente abitato.

Una situazione organica che comincia a prospettare inquietanti scricchioli anche in uno dei fiori all'occhiello dell'organizzazione militare israeliana, quali sono i riservisti con il loro immenso bacino e la loro proverbiale efficienza operativa. Anche in questo ambito, cominciano a deficitare i numeri e, cosa probabilmente peggiore, sembra cominciare ad incrinarsi quella ferrea motivazione che ha sempre alimentato le “fortune belliche” della Stella di David. In tal senso, basta citare il notevole incremento di suicidi e di giovani colpiti da malattie psichiche, registrato tra le fila dei riservisti. Ovviamente, le IDF non hanno sinora fornito dati ufficiali, ma secondo il quotidiano “Haaretz”, i soldati tornati dal Fronte di Gaza affetti da turbe psichiche sarebbero più di 20.000. Segno evidente che un conto è combattere sul Sinai, in campo aperto e tutto un altro è combattere casa per casa nelle vie di Gaza. E tutto ciò incide profondamente sulla disponibilità dei riservisti.

Sin qui si è parlato solo dell'occupazione militare della Striscia, che già di per se sarebbe altamente problematica, anche soltanto affidandosi a quanto sancisce al riguardo il Diritto Internazionale che, a carico delle forze occupanti, prevede che oltre al controllo del territorio, garantiscano l'ordine pubblico nell'area, l'assistenza alla popolazione, in termini di beni primari, i servizi fondamentali e l'assistenza socio-economico.sanitaria.

Ma in nessuna parte della IV^ Convenzione dell'Aia, che normalizza le procedure e gli atti della guerra terrestre, compresa l'occupazione militare, che quindi è prevista dal Diritto Internazionale, si fa cenno alla possibilità di spostare intere popolazioni.

Pertanto, il Generale Zamir è cosciente che, allorché eseguirà gli ordini del suo Gabinetto di Sicurezza, dovrà agire al di fuori della legittimità, per cui i suoi reparti saranno costantemente sotto gli occhi attenti e critici della Comunità Internazionale, nell'eseguire un'operazione di evacuazione o deportazione che dir si voglia, che comporta difficoltà immense e rischi altrettanto grandi, per i militari e ancor più per i civili.

Perché si tratterà di spostare più di un milione di persone, in un posto che dovrà garantire loro tutta l'assistenza necessaria, in termini di beni primari il quale, al momento e per quanto se ne sa, non esiste ancora. Sarà l'ennesimo Campo profughi, ma questa volta non potrà essere un agglomerato informe di tende o baracche in completa sopravvivenza con il sostegno di agenzie ONU e ONG, ma dovrà essere allestito a cura di Israele, una Nazione che si considera e viene considerata democratica, civile e in linea con gli standard della normale umanità.

Secondo i soloni governativi di Netanyahu, tutto questo dovrebbe avvenire in un paio di mesi (entro il 7 ottobre). Un'impresa al limite del possibile già solo sotto il profilo meramente organizzativo, ma se si considera che si dovrebbe realizzare in un contesto operativo di pseudo guerra con Hamas, allora assume le forme della follia pura.

Zamir, che non è sicuramente l'ultimo arrivato, è perfettamente conscio di questa pazzia, così come sa che i suoi soldati sono stanchi, stressati e quindi non nel pieno della loro efficienza operativa costituendo, già in partenza, un potenziale rischio sia per loro stessi che per la popolazione che dovranno gestire. E allora c'è da chiedersi se ordini come questi siano da eseguire o se valgono invece un coraggioso “signornò”, evitando in tal modo quel “un buco nero” che, in fondo, Zamr ha già preventivato.

Marcello Bellacicco

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