Non solo Fumetti - 24 agosto 2025, 06:30

Bard, la fiera che unisce fumetti e memoria

Giuliana Sgrena racconta in un graphic novel il sequestro in Iraq e la morte di Nicola Calipari

Bard, la fiera che unisce fumetti e memoria

La fiera del fumetto “FantasyBard” si svolge ogni anno presso l’omonimo borgo valdostano. Potrebbe sembrare, ad occhio, una delle tante manifestazioni del genere che animano, dalle Alpi alle piramidi, il nostro paese, ma il visitatore ha subito modo di ricredersi, per almeno due motivi.

Uno: qui le Alpi ci sono davvero.

Due: le case e le strade di fattura medievale, con lo splendido castello che, dalla cima di una montagna, tra le rocce, sovrasta l’intero paesaggio, contribuiscono a rendere l’evento ancora più suggestivo.

La mascotte del FantasyBard

Ma non è tutto. Il “FantasyBard” unisce ai consueti elementi tipici di una fiera del fumetto un’attenzione particolare verso l’attualità. Per questo introduce un evento che potremmo definire gemellato. Si chiama “Human Rights Bard” e chiama a raccolta artisti che in qualche modo parlano, o hanno parlato, di diritti umani violati. 

Il logo Human Rights Bard

Presentazioni di graphic novel e libri, mostre di tavole disegnate, ma anche quadri e sculture, sono gli ingredienti di questo canale parallelo che vuole segnalare a lettori e appassionati opere “altre”, diverse, forse più rare, nate non per lo svago, ma per per sensibilizzare, denunciare, raccontare, paradossalmente, proprio la realtà.

Nel corso di questa edizione, tra le altre, ha riscosso grande successo di pubblico la presenza della nota giornalista Giuliana Sgrena, che ha presentato sia il suo graphic novel “Baghdad, i giorni del sequestro” (disegni di Irene Carbone, Round Robin Editrice), sia il libro “Me la sono andata a cercare” (Editori Laterza).

Le copertine del graphic novel “Baghdad, i giorni del sequestro” e del libro “Me la sono andata a cercare” 

In entrambi i volumi Sgrena ha scelto di mettere nero su bianco vent’anni di dolore, accuse e ricordi. Durante l’incontro che si è tenuto il 15 agosto scorso presso MAB – Maison des Artistes Bard, la giornalista ha rievocato il sequestro di cui fu vittima in Iraq nel 2005, nonché la morte del suo liberatore, l’agente Nicola Calipari, ucciso dal fuoco delle truppe americane; ha anche parlato apertamente dei sensi di colpa che ancora oggi la accompagnano.

“Per vent’anni mi sono sentita ripetere due accuse: di essere un’assassina, responsabile della morte di Calipari, e di essermela andata a cercare. Io non ho mai sparato, furono gli americani. Ma non posso negare che vivo con un enorme peso: Nicola è morto per salvarmi, la sua vita è stata il prezzo della mia libertà. Non potrò mai dimenticare quel momento: il suo corpo che, nell’auto diretta all’aeroporto, ormai senza vita, si appesantiva sul mio dopo avermi fatto da scudo. Da allora non sono più riuscita a sentirmi davvero libera».

Sgrena ha raccontato anche le circostanze di quel suo rapimento, narrate tanto nel graphic novel quanto nel romanzo. Quel giorno era a Baghdad per verificare una notizia che considerava cruciale: l’uso del fosforo bianco da parte delle forze americane contro i civili iracheni. “Gli Stati Uniti erano entrati in Iraq accusando Saddam Hussein di avere armi di distruzione di massa, che in realtà non c’erano. Sono stati loro, invece, a usare armi chimiche devastanti. Io stavo intervistando i profughi sopravvissuti, era il mio lavoro. Non ho commesso alcuna imprudenza”.

Giuliana Sgrena durante la presentazione

Alle critiche, spesso arrivate anche da colleghi, Sgrena ha sempre risposto con durezza: “Enzo Biagi scrisse che se fossi rimasta a casa a fare la casalinga non mi sarebbe accaduto nulla. Ma io ho scelto un altro mestiere, quello di cercare e raccontare. Molti giornalisti allora restavano negli alberghi, io volevo vedere con i miei occhi. E sì, dopo vent’anni dico che me la sono andata a cercare, ma per fare bene il mio lavoro”.

Il ricordo è poi andato a a Ilaria Alpi, la giornalista della Rai assassinata a Mogadiscio nel 1994 con l’operatore Miran Hrovatin. “Era una mia amica, avevamo viaggiato insieme in Somalia. Non credo sia stata uccisa per uno scoop, ma perché si trovava nel posto sbagliato nel giorno del ritiro degli italiani. Quel giorno le bande locali volevano vendicarsi dei soprusi dei nostri militari. Purtroppo hanno intercettato lei”. 

“Se una giornalista muore” - ha aggiunto Sgrena - “si dice che aveva fatto uno scoop. Se sopravvive si dice che se l’è andata a cercare. E’ una visione riduttiva. Le giornaliste hanno dato contributi enormi nel raccontare le guerre, ma il loro lavoro spesso non è stato riconosciuto.”

Infine, Sgrena ha voluto ricordare l’insegnamento ricevuto in Algeria dalle attiviste musulmane: “Mi dissero: tu non puoi essere più musulmana di noi, resta te stessa. È stata una lezione fondamentale. Ho sempre scelto di non mettere il velo, neanche quando incontravo leader islamisti. La complicità femminile è stata decisiva per capire e raccontare la condizione delle donne nei paesi islamici.”

Il graphic novel “Baghdad, i giorni del sequestro” e il libro “Me la sono andata a cercare” contengono ricordi che sono anche, in qualche modo, un bilancio di vita, in bilico tra il peso della memoria e la rivendicazione orgogliosa di un mestiere che per Sgrena significa esserci, andare, raccontare. Sempre. 

A tutti i costi.

Ben vengano dunque, queste iniziative all’interno delle fiere del fumetto. Sono un’ulteriore prova del contributo che le pagine disegnate possono dare per raccontare anche la realtà. Presto approfondiremo questo aspetto affrontando il tema del graphic journalism.

Intanto ci rileggiamo la prossima settimana.

Thomas Pistoia

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