Mentre l'inflazione generale sembra mantenere un profilo moderato, con le stime Istat che indicano un +1,6% ad agosto 2025, il mondo dell’artigianato alimentare si trova a fronteggiare una nuova e preoccupante ondata di rincari nelle materie prime. Il rischio, sempre più concreto, è che l'instabilità diventi la nuova normalità del settore.
A destare la maggiore preoccupazione è l’andamento generale dei prezzi dei prodotti alimentari, con picchi che mettono in ginocchio intere filiere. Da record il prezzo del cacao, che tra il 2022 e il 2025 ha registrato un aumento del 220%, toccando picchi superiori ai 10.000 euro a tonnellata. Una crescita senza precedenti, dovuta principalmente alla scarsa produzione causata dalle anomalie climatiche nei principali paesi produttori, che coinvolge direttamente l’Italia, tra i maggiori importatori europei, e si riflette sul prezzo al dettaglio del cioccolato.
Ma i rincari non si fermano qui. Il burro ha superato la soglia storica degli 8 euro al chilo, segnando un +20,7% rispetto allo stesso periodo del 2024, secondo i dati della Fao. Stessa tendenza per i prodotti lattiero-caseari, con l'indice Fao che registra un +22,9% su base annua. Il latte crudo ha raggiunto i 65,3 euro ogni 100 chili, portando il prezzo al dettaglio tra 2,10 e 2,30 euro al litro, circa il 15-20% in più rispetto al 2022. A pesare su questi aumenti sono soprattutto i costi dei mangimi (+56%), l’energia e la dipendenza dell’Italia dalle importazioni.
Sul fronte degli oli vegetali si registrano segnali contrastanti: se il prezzo dell'olio di palma è in calo, restano sostenuti quelli di soia e colza. Nel complesso, anche i cereali crescono del 1,2%, trainati soprattutto dal riso.
"Condizioni climatiche estreme, tensioni geopolitiche, norme ambientali più rigide: tutto questo alimenta un’instabilità di fondo che incide direttamente sulle dinamiche di mercato", spiega Giorgio Felici, presidente di Confartigianato Piemonte. "La volatilità dei prezzi è diventata strutturale e questo complica enormemente le strategie aziendali". Le imprese artigiane si trovano davanti a un bivio difficile: ritoccare i listini, con il rischio di frenare i consumi, oppure sacrificare i margini per mantenere intatta quella qualità che resta il loro tratto distintivo.
L'incertezza sui costi, però, frena anche gli investimenti, penalizzando soprattutto le realtà più piccole. "A conti fatti, negli ultimi due o tre anni abbiamo visto un aumento del 20% del costo di una pastina in pasticceria e un salto dai 50 euro al chilo agli 80/90 euro per la cioccolata, che diventa così un lusso", prosegue l'analisi di Felici.
"In questo scenario dobbiamo ripensare le strategie: diversificare i fornitori, ma anche valorizzare i produttori locali. Una scelta che rafforza il tessuto economico del territorio ma che non è sempre semplice", conclude il presidente, sottolineando come sul comparto pesino anche dazi del 15%.
"In una fase di incertezza cronica, la parola d’ordine diventa flessibilità. Ma senza un piano strutturale per rendere più stabili le filiere e sostenere le imprese, la qualità Made in Italy rischia di diventare un lusso sempre meno sostenibile".