“Non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia”, ha affermato Marco Ceccarelli, segretario nazionale del Coina, Sindacato delle Professioni Sanitarie. Al centro ancora gli stipendi degli infermieri e delle professioni sanitarie, non adeguati agli standard degli altri paesi dell’Unione Europea, soprattutto in rapporto al crescente costo della vita.
“Non possiamo più accontentarci di indennità parziali o aumenti che lasciano intatto un divario insopportabile - prosegue il segretario - In Germania o in Francia un infermiere guadagna il doppio, anche oltre. In Italia, dopo anni di sacrifici e il peso della pandemia, restiamo ai margini: precari, sottopagati, costretti a turni massacranti”.
Manovra e indennità
Nel frattempo, il Consiglio dei ministri ha fatto passare una manovra sull’indennità degli infermieri, che prevede un aumento medio di 1.630 euro annui per gli infermieri, cioè circa 136 euro lordi al mese in più. Numeri che, secondo Ceccarelli non fermerebbero il rischio di ulteriori fughe all’estero di questi lavoratori.
Una preoccupazione condivisa anche da Nursing Up che riferisce come le risorse stanziate in questa manovra ammontino “solo” a 195 milioni, che, divisi tra 285 mila infermieri del SSN, equivarrebbero a circa 696 euro lordi annui, cioè 57 euro lordi al mese, meno di 40 euro netti. “Se davvero è così – sottolinea il presidente di Nursig Antonio De Palma – allora i 1.630 euro non derivano tutti da questa manovra, ma anche da aumenti già previsti e non ancora applicati. Si rischia di spacciare come nuova conquista ciò che era già in bilancio. Insomma, se arriviamo a poco meno di 90 euro netti di aumento per gli infermieri, è davvero perché una metà di questi erano quelli che già ci toccavano?”.
Un ulteriore problema starebbe nelle assunzioni al ribasso, con 6 mila assunzioni invece di 10 mila nel 2026, che si tradurrebbe in circa 175 infermieri in meno rispetto alla media europea.
Ad allarmare, ancora, sarebbe la questione delle liste d’attesa, come ricordato dal Coina: “Il cittadino rinuncia alle cure e l’infermiere rinuncia alla vita familiare – sottolinea Ceccarelli – La crisi non è astratta: è nelle corsie, nei pronto soccorso, nei reparti senza personale. È in Sardegna, dove il 17% delle persone non riesce a fare una visita. È nelle donne, che rinunciano più degli uomini. È nei quarantacinquenni che si vedono sbattere la porta in faccia dal sistema. Noi professionisti siamo lasciati soli, e insieme a noi lo sono i pazienti”.
Le richieste del Coina
Il sindacato, a questo punto, ha deciso di avanzare due richieste:
- Un contratto dedicato per le professioni sanitarie dell’area non medica – infermieri, ostetriche e le altre professioni sanitarie – per uscire da un inquadramento che non riconosce ruoli, responsabilità e sacrifici.
- Lo sblocco della libera professione per infermieri e ostetriche al pari dei medici, oggi bloccata da un sistema che nega opportunità ai lavoratori e servizi ai cittadini.
“Non è una provocazione – aggiunge Ceccarelli – ma un atto di giustizia. Se i medici hanno la libera professione, non si capisce perché debba restare vietata agli infermieri. In un Paese con liste d’attesa infinite, questo è un lusso che non possiamo più permetterci. E poi parliamoci chiaro. Il Governo, che pare avere compreso l’emergenza infermieristica, in un primo momento parlava di assumere 30 mila infermieri, di cui 10mila subito. Adesso ha abbassato il tiro e nelle cifre ufficiali si parla di 6mila professionisti entro il 2026. Questi cambiamenti improvvisi ci preoccupano non poco. Ma sono anche un segnale evidente della consapevolezza delle difficoltà a cui si va incontro. Dove reperirli alla luce della crisi attuale? Ci preoccupa, infatti, che, mentre da una parte il Ministro Schillaci mostra di avere inquadrato il vero problema, ovvero la carenza infermieristica, dall’altra è pronto a chiudere l’annunciato accordo con gli infermieri indiani, mentre la Lombardia li vuole reperire addirittura dall’Uzbekistan. Senza dimenticare che nessuno ha fatto nulla per bloccare il progetto dell’assistente infermiere. Se non è un paradosso questo…Ed è per questo che chiediamo da tempo lo sblocco della libera professione. Investire sulle forze che abbiamo già in casa è una soluzione lungimirante e inevitabile”.
Austerity e immobilismo
“Anni di austerity e immobilismo hanno portato a questa situazione – conclude Ceccarelli – Apprezziamo lo sforzo del Governo, ma per noi del Coina non basta affatto. Per salvare davvero la sanità pubblica servono scelte coraggiose: adeguamento salariale europeo, contratto dedicato, libera professione e investimenti strutturali. Non chiediamo privilegi, chiediamo solo di poter lavorare con dignità e di garantire ai cittadini un servizio sanitario universale che oggi è in pericolo”.