Riceviamo e pubblichiamo una nota dell'associazione Asti Oltre sulla Banca di Asti.
In un'intervista all'AD della Banca di Asti, Carlo De Martini, c'è una domanda che riprende, tra virgolette, un nostro quesito: cosa vuol dire banca del territorio?
Su testate online è stata pubblicata una nota dell'associazione CaRiAsti, che riunisce 600 dei 22000 piccoli azionisti e da sempre è guidata da un ex dirigente. La nota riprende esattamente i concetti espressi dall'amministratore delegato.
La cosa non stupisce. Dice il titolo: "La banca non va svenduta fuori dal Piemonte".
E ci mancherebbe che venisse "svenduta"! Siamo fuori dal mondo. I piccoli azionisti perdono da anni metà del capitale investito senza che mai l'associazione, che peraltro rappresenta 600 azionisti su 22000, abbia detto una parola. Si fa notare che i 22000 piccoli azionisti detengono il 35,1 del capitale: in teoria sarebbero l'azionista di maggioranza e, ad oggi, le loro azioni valgono circa 200 milioni meno di quando le hanno comprate. Teniamolo presente.
Anche perché ora l'Associazione, che dovrebbe tutelare i piccoli, se ne esce con affermazioni appiattite sulle tesi del vertice che invece dovrebbe essere controparte o almeno interlocutore, a rigore di logica.
Vuol dire, per caso, che ai piccoli azionisti piace perdere? Cosa vuole CaRiAsti? Provino a fare un sondaggio: chiedano ai 22000 azionisti se sono contenti di aver perso il 50 per cento del capitale.
Dottor De Martini, il territorio non paga il "risiko" bancario. Paga la fiducia che 22 mila piccoli azionisti (22000, non solo i seicento associati, ma non consultati) hanno riposto finora nelle azioni della Banca pagandole circa 16 euro, mentre oggi valgono la meta'.
Ricordiamo che i piccoli azionisti non contano nulla e sono di fatto il più classico "parco buoi". E l'associazione è gestita da una maggioranza statutaria fatta di dipendenti e pensionati.
Chiediamo che ci spieghino bene, una volta per tutte, perché, se i risultati di gestione sono mirabolanti, le azioni hanno perso metà del loro valore e vengono retribuite con meno del 3 per cento, in una fase storica in cui tutte le banche hanno quotazioni mai viste e hanno prodotto utili fantastici, tanto che si parla di tassare i loro "extraprofitti"( ma non se ne farà ovviamente nulla). Se va tutto così bene e il valore sarebbe, come afferma l'AD su La Stampa, di 16 Euro, perché valgono in realtà la metà e sono così difficili, sia da vendere che da comprare? Di conseguenza anche il patrimonio della Banca ne risente. Se non andiamo errati le azioni sono circa 70 milioni. Ai valori attuali sono circa 560 milioni. A valore 16 Euro farebbe circa il doppio, quindi il patrimonio netto della Banca sarebbe ben piu alto del già ragguardevole 1,1 miliardi che si cita nell'intervista.
Vorremmo che si spiegasse bene, una volta per tutte agli azionisti (sono anche loro "il territorio" oltre ai dipendenti e ai clienti), perché l'azione vale solo 8 euro quando è stata pagata circa 16.
Territorio vuol dire tutto e niente e non ci si può più raccontare favole: la Banca, che appartiene anche a 22 mila piccoli azionisti oltre che, per quote diverse, a Fondazioni ( ex bancarie. E sottolineiamo ex) e altre banche, ha sede ad Asti, ma opera su 5 regioni del Nord con circa 2200 dipendenti sparsi su tutte e 5: quindi sarebbe corretto dire che è una banca di interesse interregionale di medie dimensioni. Quindi ad Asti c'è il centro decisionale (o, meglio, di potere), ma la Banca sarebbe riduttivo definirla locale perché non lo è.
Quindi la sfida, tema che non viene mai affrontato, non dovrebbe essere: chiudiamo le porte come in un anacronistico fortino, ma rendiamo la Banca razionale, competitiva, performante e più redditizia.
Il territorio, che spesso si cita a sproposito, vuole vedere una Banca efficiente, in crescita, capace di valorizzare e retribuire bene il capitale investito.
Vorremmo che si parlasse una volta di persone e non per frasi fatte: certo i dipendenti vanno tutelati prima di tutto, ma vanno migliorati i servizi, anche in una prospettiva di innovazione tecnologica oltre che di presenza diffusa.
Ma vanno tutelati anche, nello stesso modo, gli azionisti. Tutti gli azionisti : chi ha troppe azioni in portafoglio e deve adeguarsi alle regole e far rendere al massimo il proprio patrimonio, come chi ne ha solo qualche centinaio, ma ha diritto di conservare integro e trarre utili dal proprio capitale.
Detto ciò, veniamo ad altro tema. Ad un certo punto dell'intervista l'AD si fa vanto di " finanziare le imprese" come se fosse un'opera di beneficenza.
Siete una banca e fate appena il vostro mestiere, con risultati ed efficienza che vediamo. Ci sembra il minimo che una banca eroghi credito a imprese e famiglie. È la missione aziendale.
C'è bisogno di massima trasparenza: Fondazione e Banca non sono una cosa sola, ma sono soggetti distinti con natura giuridica e funzioni ben diverse. La banca deve fare banca e produrre servizi e utili. La Fondazione deve massimizzare, diversificando il patrimonio, utili da reinvestire nello sviluppo dell'area di riferimento.
Cerchiamo di fare chiarezza: la banca fa la banca, eroga credito (non agli amici, ma a chi serve o vuole fare impresa e generare ricchezza) e deve (deve) produrre utili per remunerare meglio il capitale e sostenere le quotazioni rendendo le azioni appetibili e piu facile scambiarli. Questo conta. E da questi presupposti si deve partire per prendere decisioni, nell'interesse vero dei soggetti in campo e della comunità.
Associazione AstiOltre.





