Nizza Monferrato - 27 settembre 2025, 13:00

Un sacerdote instancabile: don Celi e l’oratorio

Dall'arrivo nel 1941 a Nizza Monferrato, tra generazioni, musica, sport e un’eredità ancora viva oggi

Don Giuseppe Celi

Don Giuseppe Celi

1941. Nizza Monferrato, come l’Italia intera, vive le incertezze della guerra. In questo contesto, il 27 settembre, un giovane sacerdote salesiano, Giuseppe Celi, arriva in città, inviato da Vercelli, dove svolgeva l’attività di maestro elementare, a dirigere l’oratorio: lì, non trova strutture solide, ma precarietà e attese. L’oratorio era stato spostato più volte, dalle rive del Belbo a via Tripoli, fino ai terreni acquistati da don Bosco e affidati alle suore.

Giuseppe Celi è un uomo mite e non ama molto parlare di sé. Parla di oratorio, degli allievi, di lavori da finire. Parla di quello che manca e di come trovare una soluzione. Lo fa per tutta la vita.

(In foto: la tessera ecclesiastica di don Celi, 1937)

Lo ricorda così Luigino Torello, presidente della Fondazione che porta il suo nome: “Don Celi era un uomo eclettico: capace di fare qualsiasi cosa, dall’elettricista al muratore. Un esempio: già intorno agli 80 anni, si impegnò per far ripartire l’attività teatrale, mostrando la sua inesauribile energia e competenza in ogni campo”.

In effetti, la sua vita è stata un cantiere permanente, volto a migliorare il luogo che aveva trovato e di cui si è preso cura per oltre 50 anni.

“Fu un vero innovatore - prosegue Torello - e sviluppò in quegli anni capacità umane, educative e artistiche che lo accompagneranno per tutta la vita: il cortile, la passione per la musica e per il teatro, il grande amore per i giovani e per l’oratorio”.

Dalla “terra arsa” alla Provvidenza: un sogno da coltivare

Ma chi è stato davvero quell’uomo capace di lavorare senza sosta, senza soldi, senza garanzie? Per capirlo bisogna tornare indietro, a Terrassa Padovana, nel 1908. Lì, vive una famiglia contadina, povera, numerosa, temprata dalla fatica, dalla terra arida - lo dice anche il nome: “terra arsa” -; eppure, tra sacrifici e profonda fede, nasce la vocazione di Giuseppe Celi con la convinzione, imparata dagli insegnamenti di don Bosco, che l’educazione può cambiare il destino dei ragazzi.

Una lezione che mette in pratica dal primo giorno a Nizza Monferrato, concretizzandola con il lavoro. Non solo con mattoni e cemento, ma con musica, teatro, sport, studio, preghiera, guidando negli anni generazioni di giovani. Il suo oratorio, così, non resta solo un luogo: diventa il suo intero mondo, che ancora oggi porta la sua impronta.

“Quel piccolo Salesiano d’acciaio ha fatto subito un’ottima impressione - scrive nel 1995 Roberto Carrara, allora presidente dell’unione ex-allievi, ricordando proprio l’arrivo del sacerdote - Anche se erano anni di guerra prima e di ricostruzione poi, per merito suo, l’oratorio è diventato luogo in cui tutti hanno avuto accoglienza e soprattutto aiuto”.

L’oratorio don Bosco: un laboratorio che vive

Dal suo arrivo, l’oratorio muta: l’area giochi diventa viva e il porticato apre le proprie porte a incontri e attività; mentre si sviluppano anche il campo sportivo e il teatrino, in cui giovani e anziani erano coinvolti nella messa in scena, raggiungendo un enorme successo nella comunità.

(In foto: il teatrino del 1942) 

Ma, una delle sue migliori opere resta la Banda Musicale OSA, un orgoglio per la comunità e ricca di talenti, tra cui il giovane Umberto Eco. Durante la guerra, infatti, Eco lascia Alessandria, rifugiandosi a Nizza Monferrato. Qui, il grande incontro. All’oratorio entra nella banda musicale guidata da don Celi e presto diventa una figura importante per lui, tanto da essere inserito nel romanzo “Il pendolo di Foucault”, sotto il nome di “don Tico”.

La banda musicale e il “Pendolo di Foucault”

Umberto Eco suona il “genis”, un flicorno contralto, strumento tipicamente d’accompagnamento e che non lo fa emergere molto, soprattutto agli occhi di una ragazza del paese. Tuttavia, come testimonia lo stesso autore nel proprio romanzo, un giorno ha l’occasione di esibirsi con la tromba, ma la ragazza manca all’appuntamento. La vera rivincita arriva poco dopo: durante i solenni funerali di alcuni partigiani, il compito di intonare il “Silenzio fuori ordinanza” ricade proprio su di lui, dopo che un compagno si era emozionato pochi istanti prima dell’assolo.

(In foto: la banda di don Celi per le strade di Nizza Monferrato)

L’episodio testimonia non solo il legame di Eco con il territorio, ma anche l’impronta di don Celi, sacerdote capace di trasformare l’oratorio in un laboratorio musicale. Autodidatta, infatti, fonda una banda che arriva a contare oltre ottanta elementi e che accompagna con solennità celebrazioni civili e religiose. Per lui la musica non è solo disciplina, ma anche linguaggio spirituale: un mezzo per avvicinare i ragazzi, animare la comunità e dare alle cerimonie un respiro sacro.

In questi anni, però, don Celi non si dedica solo a dirigere l’oratorio, ma impiega il proprio tempo anche nell’impegno civile. Testimonianze riportano che lo si poteva vedere negli uffici di benefattori oppure nei corridoi dei comandi militari, con l’obiettivo di proteggere i giovani. Sul finire della guerra, offre anche i locali dell’oratorio agli alleati americani, dando tutta l’assistenza possibile.

Fatica, prudenza e visione: la nascita del campo sportivo

Tra i lavori attuati all’oratorio, non può mancare un richiamo al campo da calcio, all’epoca molto piccolo e rovinato. Infatti, numerosi sono stati i tentativi dei ragazzi di allargarlo, ma senza nessun passo in avanti: “Tanta fatica di noi ragazzi di allora, e scarsissimo risultato”, scrive nella propria testimonianza l’ex-allievo Luigi Gallo.

Nonostante i debiti e le esitazioni, don Celi decide di affrontare la sfida di costruire un vero campo sportivo regolamentare. Dopo anni di riflessioni e consigli improntati alla prudenza, nel 1960 avvia i lavori, partecipando personalmente alla fatica del cantiere. Nel 1962 l’impianto è terminato. Sono state spese 14 milioni di lire, saldate regolarmente. Superata la prova economica, il sacerdote pensa subito agli arredi: fa realizzare 25 spogliatoi con docce e servizi, un’opera che rende il campo moderno e funzionale, pur riducendo lo spazio per il pubblico.

Resistere insieme: la battaglia per l’oratorio

Una delle fatiche più grandi di Giuseppe Celi arriva negli anni Settanta, quando i superiori ipotizzano la chiusura dell’oratorio. Per lui sarebbe il crollo di una vita intera di impegno, ma non è solo: i suoi ragazzi, insieme agli ex-allievi, reagiscono con forza in ogni sede possibile. La loro ostinazione, frutto dell’educazione ricevuta, alla fine ottiene la conferma della presenza salesiana a Nizza. Questa è forse la gioia più intensa del suo ministero: vedere che i giovani cresciuti con lui sono diventati una comunità unita, capace di difendere ciò che hanno costruito insieme. 

Nel 1985, ormai vicino agli ottant’anni e logorato dalle fatiche di una vita mai risparmiata, lascia la guida dell’oratorio dopo 44 anni. Ma non smette di essere presente: continua a sostenere le attività, mentre con umiltà collabora ai progetti dei direttori che gli succedono.

Oltre il tempo: l’eredità di una vita

Al termine degli anni Ottanta la salute di don Giuseppe Celi crolla: prima i problemi di circolazione a una gamba, poi al cuore lo costringono a diversi ricoveri tra Nizza e Asti. Nonostante le difficoltà, nel 1991 può festeggiare i cinquant’anni di presenza ininterrotta a Nizza, circondato da oratoriani ed ex-allievi: un evento che per lui è quasi un miracolo.

(Uno scatto delle celebrazioni dei 50 anni di don Celi a Nizza Monferrato)

Le ultime settimane della sua vita sono sostenute da una fede incrollabile, la stessa che lo ha accompagnato per tutta la vita, secondo gli insegnamenti di don Bosco: “Ragione, Religione, Amorevolezza”. Assistito dai familiari, dalla comunità salesiana e dai tanti che lo hanno conosciuto, muore, nel 1995, a 86 anni.

(In foto: il feretro di don Celi nel cortile dell’oratorio)

“Quando ho disposto che la salma di don Celi venisse accolta sulla piazza del municipio dal Gonfalone della città e dal suono a martello del Campanon, credo davvero di non aver fatto nulla al di fuori del dovuto - scriveva l’ex sindaco Flavio Pesce - Parlare di don Celi oggi può volere dire "commemorare". Parlarne oggi vuol dire ricordare, riflettere, provare ad imparare a far tesoro di ciò che ci ha insegnato, senza parlare tanto, senza mai salire in cattedra, senza bisogno di leziosità. Insegnava stando al piano terra, nella mischia, in mezzo ai ragazzi, in mezzo a mezzo secolo di gioventù. A quella gioventù don Celi ha dato "non solo pallone". E noi che abbiamo ricevuto sappiamo ancora fermarci un attimo? Riflettere su quella eredità che ci ha lasciato? Trarne qualcosa? O siamo troppo presi dalla frenesia di vivere, di conquistare, di affermarci (o di imporci!)?”.

Con la figura di don Giuseppe Celi si è chiusa, così, un’epoca per la città, ma l’eredità di 54 anni di lavoro, nonostante le difficoltà, resta viva a Nizza Monferrato.

Nel 2005, dieci anni dopo la scomparsa, sono state avviate le procedure per poter ottenere la beatificazione del sacerdote, con il deposito delle testimonianze di alcuni cittadini, ma la pratica è rimasta ferma.

Trent’anni dopo

Quest’anno è stato celebrato il trentennale dalla morte di don Giuseppe Celi. Un anniversario importante, testimone di un’attività che continua, attraverso iniziative ed eventi dedicati ai cittadini e ai ragazzi di Nizza Monferrato, organizzate dalla Fondazione Don Celi.

(L'oratorio oggi)

Francesco Rosso

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