Correre, correre, correre. In molti credo non abbiano più tanta voglia di continuare a correre, nella consumistica smania di fare, di esserci sempre, di guardare avanti e avanti. Non a caso una delle tendenze del momento è incentrata sulla pigrizia intenzionale portata a stile di vita, per stare meglio. Termini come pigrizia terapeutica stanno iniziando a suggerire uno stop generale, ridefinendo la dedizione al fare nulla, ripulita da sensi di colpa, e trasformando letti e divani in area di recupero.
Non a caso sui social impazza, da un po’ di tempo, il termine bed rotting, letteralmente, marcire a letto. Termine nato su TikTok, e poi cresciuto a valanga, quando una ragazza ha pubblicato un video in cui chiedeva “Who actually likes rotting away in bed?”. Video visualizzato subito da 1 milione e mezzo di persone che si sono sentite, finalmente, capite. Marcire a letto è indubbiamente non convenzionale, ma riflette un crescente cambiamento di mentalità, nel suo invito a trascorrervi deliberatamente molto tempo, non per pigrizia, ma come antidoto allo stress e al superlavoro. Atto di resistenza contro il ciclo infinito di attività imposto dai ritmi del produci, consuma, crepa, che offre la fantastica opportunità di iniziare a scendere dalla ruota da criceti.
Ruota fondata sul denaro e su lavori spesso opprimenti, che ci invita a essere competitivi fin dai banchi di scuola. Un modello estrattivo che, al fine di perpetuare sé stesso, spreme le materie prime dal Pianeta e le migliori energie da noi, prosciuga il nostro tempo di vita nel produci, ci rende stolidi protagonisti del consuma e poi ci relega nell’inutilità. Ecco allora che qualcosa si sta muovendo, cominciando dalla ricerca di più o meno occasionali ritiri, esenti da sensi di colpa, dove incontrare l'arte di fare di meno, intenzionalmente. Cambiamento non da poco che mi auguro possa essere un primo piccolo passo perché il mondo rallenti, mettendo davanti alla produttività il benessere. Certo, tutto bello, ma provate a raccontarlo ad un operaio del Bangladesh o ad uno dell’India che corrono e corrono nella infame certezza di ricevere meno di due dollari al giorno di retribuzione, salvo non fare altro, salvo non fare più ore, più giorni di lavoro e così via. Ore e giorni di lavoro che poi ci ritroviamo in mano, in casa o addosso in forma di prodotto.
Per pensare di risolvere il loro problema il cambiamento dovrebbe essere ben più globale, incentrato su rispetto, relazioni, dignità e ridistribuzione di ricchezza. Percorso fatto di ponti, quelli di Francesco, ripresi l’altro ieri da Leone XIV, a contraltare dei ponti commerciali recentemente colorati di dazi da Trump e da Xí Jìnpíng, nell’insana tenzone a chi ce l’abbia più lungo. Percorso non impossibile che può trovare qualche supporto anche nel nostro riappropriarci di valore e senso del tempo, poltrendo a letto. Indubbio ossimoro, ma da qualcosa bisogna cominciare. Sul poltrire a letto, a conferma che sia veramente un atto di rivolta tendenziale, c’è chi ci ha scritto un libro: Il mio anno di riposo e oblio, di Ottessa Moshfegh, scrittrice e saggista statunitense. Presto diventerà un film diretto da Yorgos Lanthimos.