Copertina | 24 maggio 2025, 00:00

Storie di Orgoglio Astigiano. Il regista Lucio Pellegrini: "Scamarcio fece il suo primo film con me. L'amore per il cinema? Tutta colpa della mia Asti"

Romano d'adozione, ma astigiano d'origine, ha diretto numerosi attori, tra cui Favino, Accorsi e Castellitto, ma anche Pandolfi e Smutniak

Lucio Pellegrini

Lucio Pellegrini

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Non è mai un errore, di Raf, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

L'intervista a Lucio Pellegrini arriva all'improvviso. 

Da una parte io che avevo il suo nome segnato in agenda da tempo e che finalmente lo contatto e dall'altra lui che, da Roma, mi scrive che è disponibile a stretto giro per una chiacchierata al telefono. 

Classe 1965, regista, ha Asti nel cuore, nonostante la carriera lo abbia allontanato dalla città. Faccio dirigere al suo flusso di parole questa conversazione che, già dai primi minuti, capisco sarà intensa. 

Lucio, che rapporto hai con Asti? 

Ad Asti sono nato e cresciuto. È una città a cui sono molto legato, dove ancora vive una parte della mia famiglia. Ci torno quando è possibile. È un posto importante, un rifugio e un luogo d'ispirazione. Vivo a Roma da tantissimi anni (25 più o meno, mamma mia!). I miei figli sono romani e io stesso ormai sono 'romanizzato', ma continuo a sentirmi astigiano. 

Dal tuo punto di vista, è un territorio che si ama abbastanza?

Non è mai stato un territorio che si vuole bene come merita, ma fa parte del dna. Noi astigiani tendiamo a essere troppo critici verso noi stessi, troppo negativi verso le cose (anche buone) che abbiamo e facciamo. Diciamo che è tipico dell'astigiano avere un atteggiamento non eccessivamente di supporto verso gli aspetti positivi che comunque continuano a esserci. Asti si è trasformata nel tempo, ma resta, per me, unica e speciale.  

E come è nata la tua passione per quella che poi è diventata la tua vita, ovvero il cinema?

Ai tempi era tutto molto distante da Asti. Fin da ragazzino, anche in famiglia, ho respirato un'aria d'amore per il cinema, soprattutto da parte di papà. Poi, quando frequentavo il Liceo Scientifico ad Asti, negli anni Ottanta, c'erano i ragazzi più grandi che organizzavano cineforum. E si andava al Vittoria in corso Dante. Di solito si trattava di film americani. Beh, ricordo quel momento come una circostanza rivelatoria. Ero andato a vedere il film "Qualcuno volò sul nido del cuculo". Stavo capendo, piano piano, che i film potessero parlare di me, della mia contemporaneità, delle relazioni, del mondo. Era un cinema molto libero, che raccontava un paese molto diverso da oggi, fresco e vivo. Dopo un po' mi venne quindi l'impulso di provare a fare da solo, con mille difficoltà: quello del cinema è un mondo complesso. Più che iniziare, forse la parte più difficile è continuare. Dopo questa prima infatuazione ho scoperto il cinema italiano, ma la molla è scattata a 15-16 anni, proprio grazie ad Asti. 

Un consiglio ai giovani che guardano il tuo percorso?

Oggi c'è molta più possibilità rispetto ad allora. Ai tempi costava parecchio anche solo girare un corto. Oggi è più facile accedere a tutto, iniziare nuovi progetti, vedersi la storia del cinema in un attimo. Forse, però, per contro, c'è un eccesso di strumentazione e possibilità. È più difficile mettere a fuoco una vera passione perché è tutto a portata di mano. Per mettere a terra qualcosa, però, devi cambiare, devi muoverti, devi metterti alla prova: devi fallire e ricominciare tutto da capo. Penso che questa sia la lezione più importante. E, per quanto riguarda il mio mestiere, posso dire che è molto artigianale. Lo impari facendolo: più lo fai e più (teoricamente) diventi bravo.

C'è un incontro che più ti ha segnato emotivamente, ma anche professionalmente?

Rimanendo nel discorso legato ad Asti, sicuramente quello con Paolo Conte, riferimento di eccellenza ed esempio di una persona che, partendo da Asti, ha fatto cose sublimi e inarrivabili secondo me. Conoscerlo è stato illuminante: Paolo Conte è un patrimonio dell'umanità. E poi, più nel mio campo, forse l'incontro con Ettore Scola, grande regista che ho conosciuto nei primi anni della mia carriera. Molto umano, curioso delle nuove generazioni e stimolante. Ecco, loro sono sicuramente tra i miei grandi maestri.

Un regista ce l'ha un 'figlio' preferito? Un lavoro a cui è più legato?

Personalmente no, perché ogni lavoro è legato a un momento specifico della mia vita, comunque importante. Poi, devo dire che non sono abituato a rivedere ciò che faccio; mi piace andare sempre avanti. Finisco una cosa e ne inizio già un'altra: fa parte del mio modo di pensare. Le cose che faccio le rilascio, le condivido e queste, in automatico, diventano degli altri: come non fossero più mie. Dovessi proprio dirti, comunque, sicuramente il primo film che si fa non si scorda mai e per me la prima volta è stata un'emozione grandissima, ciò che ho sempre sognato di fare fin da bambino. E poi sono molto legato anche alla serie sugli anni del terrorismo fatta con Sergio Castellitto, perché racconta una parte degli anni in cui sono cresciuto e che sento molto mia. Mi ricordavo benissimo le atmosfere tetre e angoscianti dell'epoca: è un lavoro che ho visto con gli occhi del bambino. Del bambino che ero all'epoca. 

Come hai affrontato i momenti bui?

Normalizzandoli, perché capitano a tutti. Nel mio caso non è stato il pensiero del "mollo perché è dura", ma piuttosto del "mollo, perché potrei fare altro". C'è però qualcosa di più grande, che ti guida, che ti fa andare avanti ed è più forte di qualsiasi altro pensiero. Ho avuto la fortuna di avere questa 'fiammella' fin da ragazzo e cerco di alimentarla quotidianamente. Se pensi di mollare è come se lo avessi già fatto.

A proposito di fare altro... Se non avessi intrapreso la strada del cinema, cosa avresti fatto nella vita secondo te?

Forse avrei fatto l'architetto, sai? Nella mia famiglia lo sono tutti e devo dire che questa attenzione verso l'organizzazione dello spazio si avverte molto anche in ciò che faccio: gli ambienti, la luce che cambia le forme delle cose, il movimento... Sono tutti punti che mi interessano molto. 

Scegliamo le scelte o le scelte ci scelgono?

Fra tutti gli intervistati a cui ho chiesto come hanno affrontato i momenti bui, Lucio è l'unico ad avermi risposto così. E ha ragione. C'è differenza nel senso di frustrazione che si genera quando pensiamo "mollo perché non ce la faccio" o "mollo perché potrei fare altro". In un universo-altro forse Lucio avrebbe davvero fatto l'architetto, seguendo l'imprinting di famiglia. Ma magari avrebbe fatto anche tante altre cose che oggi nemmeno può immaginare, da quanto potrebbero apparirgli distanti dal suo essere. Noi siamo davvero il prodotto delle nostre scelte? Siamo davvero quelli che scelgono le scelte? O forse sono più le scelte a sceglierci?

La famiglia viene fuori spesso nelle tue risposte. Come avevano reagito i tuoi alla decisione di buttarti nel mondo del cinema?

Inizialmente sono stato un po' frenato. Papà da ragazzo aveva fatto il pittore, per poi cambiare strada: aveva paura che anche io non riuscissi a trasformare la mia passione in un lavoro. Poi, però, quando sono arrivati i primi risultati è arrivato il sostegno e la mia famiglia si è rasserenata quando ha capito che ci poteva essere una buona risposta dall'esterno. Erano anni diversi, in cui c'erano lavori più sicuri, verso cui un genitore pensava di poterti indirizzare. Ora è tutto ugualmente complicato, ma all'epoca avevi più scelta e andare a cacciarsi in un cammino difficile non era così facile da accettare da parte di un genitore. 

È un "Gioco pericoloso"? 

Ecco, esatto, un po' come il mio ultimo lavoro, il film con Elodie uscito quest'anno. In questo caso avevo voglia di misurarmi con qualcosa di diverso. È stato complicato riuscire a farlo. Sono soddisfatto, ma i film si capiscono poi nel tempo. Intendo dire che solo il tempo dirà quanto vale davvero quello che hai fatto e quanto è stato compreso. Sono comunque contento, anche se ho dovuto modificare il progetto per portarlo a casa, ma va bene, fa parte del mestiere e sono riuscito a fare quello che volevo. Se si esce dal solco si prendono dei bei rischi, bisogna esserne consapevoli. I film di genere in Italia di solito non vanno, ma magari nel tempo possono avere una chiamata da parte del pubblico. Staremo a vedere. 

Ci sono artisti con cui sei riuscito a entrare più facilmente in empatia sul set?

Sono fortunato: ho avuto quasi sempre buoni rapporti con tutti. Quello del regista è un lavoro di sintesi, ovvero sono chiamato a unire in maniera armonica quanto fatto da attori, scenografi e musicisti. Serve far funzionare le squadre, insomma. E spesso si creano bellissime sintonie. Come in "Gioco pericoloso", è nata una sintonia umana e professionale perfetta tra me e il direttore della fotografia (il polacco Radek Ładczuk, ndr). In questi anni ho lavorato con tutti gli attori italiani e mi sono trovato bene con tutti: non ho l'attore 'feticcio' con cui lavorerei tutte le volte senza mai cambiare, ecco. Ogni incontro, però, è diverso e va calibrato. Ricorderò per sempre l'emozione che ho provato nel vedere tanti attori che hanno iniziato con me la loro carriera: Benedetta Porcaroli, Matilde De Angelis, ma anche Elio Germano che ha fatto il secondo film della sua carriera con me. O Riccardo Scamarcio, che ha fatto il suo primissimo film con me in regia ("Ora o mai più", ndr). O Luca e Paolo, al loro esordio assoluto. 

Bellissima anche questa tua sfumatura di "talent scout", se così possiamo definirla...

È interessante poter cambiare ogni volta personalità con cui lavorare. Mi piaceva proprio proporre talenti per me interessanti al mondo e adoro continuare a farlo. Ho sempre trovato stupendo vedere che i ragazzi in cui avevi trovato qualcosa potessero poi effettivamente portare questo 'qualcosa' al massimo dell'espressione.

Che cos'è il cinema per te? È cambiata la tua idea di cinema nel corso degli anni?

Il cinema è un modo di espressione, con vincoli commerciali, ovviamente, ma pur sempre una forma espressiva personale, nonostante sia frutto di un lavoro collettivo. Anche se svolgo il ruolo di 'direttore d'orchestra', continuo a pensare che sia un lavoro in cui, comunque, vengono fuori anche parti di me. Non è cambiata la mia idea sul concetto di cinema, anche se oggi è sempre più difficile fare pellicole personali. Le piattaforme hanno portato a una standardizzazione del gusto e per i ragazzi che iniziano oggi è difficile essere liberi in questo mondo. Sbagliando, ho cercato di portare avanti un discorso personale, nel modo in cui volevo io e questa è la cosa più importante che mi auguro riescano a fare anche le nuove leve, in un mondo diverso.

A cosa stai lavorando? 

Ho vari progetti, sia per la tv che per il cinema, ma anche un nuovo libro a cui sto lavorando. Mi sto muovendo su più fronti e non so quale sarà la cosa che prenderà concretezza per prima.

E tornare ad Asti? Impossibile? 

Non escludo niente a priori su Asti. Ora la mia vita è proiettata a Roma ed è difficile lavorare a distanza in questo campo. I miei figli sono a Roma e al momento tornare ad Asti non è un'opzione, ma ci vengo spesso, vado a trovare mia mamma e mia sorella, ma anche gli amici di sempre. È una città che conserva curiosità, poesia e follia e non è un caso che culli talenti nel cinema. Ci succedono ancora delle cose belle e sono contento.

Chi è Lucio Pellegrini 

Nato ad Asti, dal 1999 scrive e dirige film e serie televisive. Tra i suoi lavori per il cinema:

‘E allora mambo!’ (Medusa film, Itc movie, 1999) e ‘Tandem’ (Medusa film, Itc movie, 2000). 

'Ora o mai più' (Fandango, Raicinema, 2003), in competizione al Locarno film e distribuito in molti paesi europei. 

Nel 2005, in coppia con Gianni Zanasi, gira 'La vita è breve ma la giornata è lunghissima' (Pupkin Production), che vince la Menzione speciale della Giuria al Festival di Venezia 2005, dove viene presentato, in selezione ufficiale, nella sezione Venezia Digitale. Il film vince anche il Premio Pasinetti.

Nel 2006 gira ‘Una volta nella vita’ (Once in a lifetime), il documentario ufficiale dei Giochi Olimpici di Torino 2006. 

Nel 2010 scrive e dirige 'Figli delle Stelle' (Warner Bros. Italia, Pupkin Production), con Pierfrancesco Favino, Giuseppe Battiston e Claudia Pandolfi. 

Il quinto film è ‘La vita facile’ (Fandango, Medusa Film, 2011), con Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi e Vittoria Puccini. 

Nel 2013 dirige ‘E’ nata una star?’ (Itc movie, Warner Bros. Italia), adattato dall’omonimo romanzo di Nick Hornby. 

Per la televisione dirige il film 'Limbo' (Fandango, Rai, 2015), con Kasia Smutniak e Adriano Giannini, tratto dal romanzo di Melania Mazzucco.

Nel 2017/2018 dirige (con Francesco Munzi) 'Il Miracolo' (The Miracle, serie tv, Wildside, Sky e Arte), serie scritta da Niccolò Ammaniti, con Tommaso Ragno, Elena Lietti, Alba Rohrwacher e Guido Caprino. La serie vince il Premio Speciale della Giuria al Series Mania Festival 2018. Nel 2019 vince il premio Flaiano per la migliore regia.

Nel 2020 gira il film tv ‘ Carosello Carosone’ (Groenlandia, Rai), con Eduardo Scarpetta e Vincenzo Nemolato. 

Nel 2022 ‘Il Nostro Generale’, serie tv con Sergio Castellitto, prodotta da Stand by me e Raifiction. 

‘Gioco Pericoloso’ segna il suo ritorno al cinema.

Elisabetta Testa

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Viviamo in un posto bellissimo

Davide Palazzetti

Chi sono in tre righe? Ci si prova.
Partiamo dal personale: marito innamorato e padre fortunato. Tergiversando poi su info tipiche da curriculum, amo il nostro territorio. Lo vivo come nostro anche se vi arrivo da Genova nel 2003. Mi occupo di marketing territoriale e promozione turistica con la piacevole consapevolezza di quanta bellezza ci circondi. Racconto un posto bellissimo, qui e su alcuni miei gruppi Facebook, nella certezza che una delle poche vie di riscatto dell’Astigiano sia riempirlo di turisti.

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