Attualità | 14 luglio 2025, 11:48

Salvatore Borsellino: "Paolo amava lo Stato e aveva un'incrollabile fiducia nei giovani"

Il fratello del magistrato ucciso dalla mafia ha concesso un'intervista a tre studenti del Liceo Scientifico Vercelli di Asti

Paolo Borsellino

Paolo Borsellino

Trentatré anni dopo la strage di Via d’Amelio il fratello di Paolo Borsellino ripercorre il senso dello Stato, il valore morale del magistrato vittima di mafia che fino all’ultimo istante della sua vita si è detto innamorato della sua terra e ottimista riguardo la lotta al fenomeno mafioso, confidando nell’azione efficace delle nuove generazioni. E' quanto emerge dall'intervista a Salvatore Borsellino realizzata da tre studenti (Matteo Bussolino, Chiara Musso e Sara Roccuzzo) frequentanti la 1a A del Liceo Scientifico Vercelli di Asti coordinati dal professor Ferdinando Zamblera. La pubblichiamo integralmente.
 

Matteo Bussolino: Come è nato il movimento delle agende rosse?

Il Movimento è nato in maniera quasi spontanea attorno a quello che io faccio da dopo la strage in cui hanno perso la vita mio fratello e i cinque agenti della scorta. E’ stata una cosa travagliata per la verità. Prima dell’attentato di Via d’Amelio conducevo una vita riservata: parlare “in pubblico” significava per me rivolgermi a tre, quattro persone durante quelle riunioni necessarie al mio lavoro in ditta. Solo dopo la morte di Paolo ho cominciato a rapportarmi con un ampio pubblico, seguendo la volontà di nostra madre quando subito dopo strage, con ancora il rombo di quel boato nelle orecchie che lei sapeva avergli appena portato via il figlio, chiamò me e mia sorella Rita e ci disse “adesso voi dovete andare dappertutto, dovunque vi chiamino. Non fate morire il sogno di Paolo” E io da allora cominciai a frequentare le scuole dove mi invitavano. così mi trovai improvvisamente a rapportarmi tante persone: saranno migliaia quelle che ho incontrato per cinque anni, fino a quando anche mia madre morì.

E allora io sentii come se qualcosa mi si rompesse dentro e cominciai a cercare di capire quello che veramente era successo in quella strage. Quando mi resi conto che non era stato soltanto una strage di mafia, scrissi allora una lettera aperta e intitolata “19 luglio 1992 una strage di Stato”. Perché mi ero reso finalmente conto della responsabilità che pezzi deviati dello Stato avevano avuto in quella strage. 
Quella lettera aperta, la spedii ai giornali ma in pochi la pubblicarono; la misi in rete ottenendo più di un milione di accessi ed allora cominciai a essere contattato, invitato a incontrare e rapportarmi, da una enorme quantità di persone e, poco a poco, si è formato attorno a me questo movimento. Lo scopo di questo movimento è cercare verità e giustizia sulla strage di Via d’Amelio. Verità e giustizia che ancora, a tanti anni di distanza, purtroppo non abbiamo avuto. Anzi negli ultimi periodi, sembra che questa speranza di verità e giustizia si stia sempre più allontanando e quindi c'è da raddoppiare gli sforzi e combattere. Il movimento non ha tessera, non è un momento formale e nasce proprio da persone che si sono messe insieme perché la pensano alla stessa maniera e hanno deciso di lottare insieme. Abbiamo più di 50 gruppi territoriali in Italia, magari formati da poche persone però molto determinate che condividono con me la voglia, il desiderio, questa esigenza di verità e giustizia che è quella per la quale combattiamo.

Sara Roccuzzo: In una intervista Lei parla della figura di vostra madre e degli importanti insegnamenti che vi ha dato sull’educazione alla legalità. Ci racconta qualche aneddoto?

Il senso di legalità noi figli lo abbiamo appreso da nostra madre che è stata figura fondamentale per la crescita morale e motivazionale della nostra famiglia. Senza nostra madre Paolo non sarebbe stato quello che in effetti è stato e io non sarei qui a parlarvi perché proprio sulla spinta del suo desiderio di non dimenticare il sacrificio di Paolo io ho intrapreso questo percorso incessante di dare voce alla verità. Lei ci ha insegnato il senso dello Stato, l’amore, il rispetto. Non una “educazione alla legalità” propriamente detta, ma ci ha fornito tutti i princìpi e gli strumenti morali senza i quali ad esempio Paolo non avrebbe portato avanti quel sogno per il quale è stato ucciso.

Il sogno di Paolo era, ed è tuttora, un sogno d’amore. Ha sacrificato la sua vita per amore. Nonostante sapesse che sarebbe stato ucciso e nonostante questo ha continuato fino all’ultimo a compiere il proprio dovere. Non era un eroe. Lui come Falcone e altri erano persone che hanno scelto fino all’ultimo il loro dovere anche quando “dovere” significava dare la vita. Vedete hanno inventato bombe di tutti i tipi, ma ad oggi non hanno ancora creato una bomba in grado di uccidere l’amore. Per questo il sogno di Paolo non potrà morire mai.

Sulla legalità oggi si parla troppo e spesso a sproposito. Voglio dire che ci sono persone che hanno costruito delle carriere millantando di seguire la legalità e poi scoprire che praticavano l’illegalità più efferata. Ecco in realtà si dovrebbero portare avanti non discorsi sulla legalità ma una lotta seria e costante contro l’illegalità, oggi più che mai urgente. La legalità non è solo rispettare la legge, perché una legge può anche essere sbagliata. Mi spiego meglio: se fanno una legge dove si respingono senza appello i richiedenti asilo, i migranti del mare, non siamo di fronte alla legalità.


 

Quindi il principio di legalità (il nòminon dei greci) secondo cui bisogna rispettare le leggi può entrare in conflitto con il senso di giustizia morale (che in greco corrisponde alla dikaiosyne)?

Proprio così. C’è qualcosa di superiore che coincide con le sofferenze dell’altro, con l’amore verso il prossimo. Non meravigliatevi se continuo a parlarvi di “amore” perché questo viene prima di tutto e si traduce anche nell’amore verso lo Stato, quando però è uno Stato giusto! Penso qui alle leggi raziali del regime Fascista, erano legali a norma di Stato, ma non era eticamente e moralmente giusto seguire quelle leggi che andavano contro il rispetto e l’amore del prossimo.

Chiara Musso: Ci sono novità in merito alla sparizione dell’agenda rossa di Paolo?

Purtroppo di novità non ce ne sono. Vedi, non è un’agendina, è un'agenda grande come questa - (Salvatore mostra in video una agenda dalla copertina rossa. NdR) - è uguale all’agenda che Paolo teneva sempre con sé nella borsa. Non se ne separava mai nemmeno quando è andato a trovare nostra madre quella domenica per accompagnarla dal medico.

Purtroppo a più di trent'anni di distanza non si sono fatte mai delle vere indagini per scoprire chi abbia preso questa agenda, o perlomeno chi ha preso quell'agenda si sa, perché sette anni dopo la strage è venuta fuori una fotografia di un archivio fotografico di Palermo, di un fotografo palermitano, dove si è ritratto proprio un ufficiale dei Carabinieri che si allontana dalla macchina di Paolo con la borsa di Paolo in mano. C'è stato pure un processo tanti anni fa, dopo la scoperta di questa fotografia: nella fase di udienza preliminare, allora capitano dei Carabinieri, si chiamava Arcangioli, è stato assolto per non essere stato lui a sottrarre l'agenda.

Io rispetto le sentenze della magistratura, le devo rispettare anche quando non le condivido! Però il problema è che dopo quel processo non ci sono stati altri processi, altre indagini su chi abbia preso quell'agenda. Abbiamo dovuto essere noi del Movimento a cercare di mettere insieme tutte le fotografie e le riprese generate in Via D'Amelio subito dopo la strage; per metterle in sequenza siamo andati a vedere le ombre del sole sul palazzo di Via D'Amelio ogni 19 luglio alle 5 del pomeriggio, per vedere dall'ombra del sole il momento in cui era stata scattata, il minuto preciso in cui era stata scattata quella determinata fotografia. Abbiamo cercato di raccogliere tutte le sequenze girate dai vari operatori che erano sul luogo subito dopo la strage, le abbiamo messe insieme, abbiamo messo insieme un video dove abbiamo anche identificato un personaggio a cui probabilmente è stata portata quell'agenda. 

Costui oggi è il generale dei Carabinieri Emilio Borghini. Questo generale non è neanche mai stato sentito nei processi e non solo: abbiamo presentato questo documento filmato al Borsellino Quater, cioè il quarto processo svolto a Caltanissetta sulla strage di Via D'Amelio, consegnandolo alla Corte per portare un contributo alle indagini. Qui devo riferire purtroppo una cosa che mi addolora. I pubblici ministeri, nel momento in cui abbiamo cominciato a pubblicare quel video, si sono alzati e se ne sono andati! Non sono ritornati più per tutto il corso dell'udienza. La Corte al contrario ha recepito quello che noi abbiamo mostrato e nella sentenza del Borsellino Quater, ha detto che era necessario svolgere altre indagini più approfondite sulla sparizione di quell'agenda. 

Questo ha rappresentato una svolta nei processi sulla strage di Via D'Amelio, perché è venuto dopo quel depistaggio nel secondo processo Borsellino in cui invece è stato allontanato il corso della giustizia attraverso il depistaggio fondato sulle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino che si era addossato la responsabilità dell’attentato a Paolo. Io penso sia stato costretto ad addossarsela perché è stato sottoposto a torture fisiche e psicologiche in carcere, ed è terribile dire tutto questo. Un depistaggio condotto da funzionari di polizia che, a oggi, sono sotto processo a Caltanissetta. Però le indagini fatte non hanno portato, come io e come tanti di noi ci aspetteremmo, ad un processo per trovare chi abbia preso quell'agenda che rappresenta la scatola nera della strage di Via D'Amelio.

Sì è questo il punto. Quell'agenda rappresenta la scatola nera della strage. Se venisse alla luce si potrebbero ricostruire i motivi veri che hanno portato alla detonazione del tritolo che ancora non sono venuti alla luce e quindi è per questo che l'agenda non viene alla luce e non si svolgono quelle indagini a fondo.

Lo ripeto, non sono state mani mafiose a prendere l'agenda, sono state mani di pezzi dello Stato. Questo è veramente duro da dire.

Chiara Musso: Ha dei ricordi particolari di suo fratello in merito ai giorni precedenti alla strage?

Ho un ricordo molto particolare di Paolo precedente la strage. Allora non vivevo più a Palermo, ero lontano 1000 km quando uccisero mio fratello. Sono stato costretto a lasciare la mia terra 5 anni dopo che Paolo a 22 anni era diventato magistrato. Ero laureato in ingegneria e sono andato via a 27 anni perché in una città dominata dalla mafia non c’è lavoro, non c’è economia, si ferma lo sviluppo. Quindi non ho avuto opportunità di seguire il lavoro di Paolo da vicino. L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato insieme con le rispettive famiglie ad Andalo, in Trentino, durante il Natale del 1991. 
Era sempre il Paolo che avevo conosciuto: incline all’ironia, allo scherzo, al contatto con i giovani che lo riconoscevano e parlavano con lui in albergo. Ci lasciammo al 1° di gennaio perché Paolo dovette rientrare d’urgenza a Palermo a causa della strage della Faida di Montechiaro. Fu l’ultima volta che lo vidi. Poi solo attraverso interviste e fotografie sui giornali. Dopo la morte di Falcone il 23 Maggio 1992, Paolo sa che a breve toccherà pure a lui e questo lo cambia, in ogni momento si guarda intorno per capire chi potrebbe colpirlo alle spalle e anche i suoi occhi si fanno più cupi.

L’ultimo ricordo che ho di mio fratello è un ricordo che pesa. Ci sentivamo al telefono con Paolo, spesso; alla fine di ogni telefonata Paolo mi diceva sempre “Toto perché non torni?” e io gli davo sempre la stessa risposta che adesso capisco quanto potesse fargli male “ma cosa ci torno a fare in quella città, Paolo non c’è più la mafia, non ci sono più i morti ammazzati per le strade di Palermo?”. 

Nell’ultima telefonata fatta il venerdì prima della strage fui io a chiedere a Paolo “per carità fatti trasferire, vieni via da Palermo se resti ti ammazzano!”, ricordo ancora il tono serio di Paolo quando disse "Io non accetterò mai di fuggire, presterò fede fino all’ultimo a un giuramento che ho fatto allo Stato, che ho intenzione di mantenere"

Lo disse anche se sapeva bene che c’erano pezzi deviati di quello stesso Stato che stavano tramando la sua morte.

In quelle parole “io non accetterò mai di fuggire” ci vedo un rimprovero a me che invece sono fuggito, anche se molto probabilmente non è così, perché ho abbandonato Palermo non per fuggire ma per cercare un futuro, per lavorare nei settori che mi appassionavano, sapendo che restando in quella città non avrei potuto realizzarmi pienamente.

Venendo a vivere a Milano però ho creduto che non fosse più un mio problema ciò che accadeva a Palermo. Quello che mi ero lasciato alle spalle non era più affar mio. I problemi miei e della mia famiglia qui li avevo risolti. Mentre Paolo diceva un’altra cosa “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Il vero amore infatti consiste nell’apprezzare anche ciò non ci piace per poterlo migliorare” ed è uno dei pensieri più belli di mio fratello e ancora una volta parla di “amore”, l’amore verso la sua terra anche a costo della vita. Questo il senso profondo delle parole di Paolo quando dice che non sarebbe mai fuggito. Aveva ragione perché pensando di lasciare a Palermo i miei problemi mi sbagliavo enormemente, perché quella mafia che credevo essermi lasciato alle spalle, qui a Milano io l’ho ritrovata in forma assai più subdola, non c’erano i morti per strada di Palermo, la mafia qui non uccide però è presente, radicata e silente nei giri di affari che condizionano la vita del nostro Paese. Mi rimprovero con questo l’aver fatto poco e solo dopo la morte di mio fratello quello che sto facendo adesso. Un peso che mi porterò fino all’ultimo giorno della mia vita.

Chiara Musso: C’è un messaggio che vorrebbe mandare ai giovani per combattere il fenomeno mafioso?

I messaggi fondamentali sono due. Il primo che voglio trasmettervi è lo stesso che nostra madre ci ripeteva spesso: “Leggete, informatevi, conoscete, interessatevi, entrate a far parte dei gruppi giovanili, partecipate alla politica e capite cosa accade intorno a voi. Non siate indifferenti a nulla e acquisite conoscenza, perché solo grazie al sapere si può essere davvero liberi e autonomi”. Mi permetto di consigliarvi la lettura di Cinquant’anni di Mafia. Storia di una guerra infinita. La trattativa Stato-mafia e la fine di Matteo Messina Denaro di Saverio Lodato (Rizzoli 2024 NdR). Leggetelo perché è veramente un faro sul fenomeno mafioso. La conoscenza è fondamentale così come la partecipazione politica sana. Siete voi che potete cambiare le cose, lavorare affinché tutta la politica diventi pulita e con essa la società. 

Il secondo messaggio è il contenuto di una lettera scritta da Paolo l’ultimo giorno della sua vita.

Alcuni studenti di un liceo di Padova lo avevano contattato per incontrarlo di persona, lui però essendo molto impegnato non avrebbe potuto partecipare all’incontro. Il giorno dell’attentato, prima di uscire di casa, aveva iniziato a rispondere per iscritto a tre di dieci domande che gli erano state poste dagli studenti, poi esce per non tornare più.

Nella lettera incompiuta agli studenti di Padova, Paolo trasmise il suo straordinario ottimismo nonostante tutto: aveva grande fiducia nei giovani, siciliani e non, perché aveva colto che in loro c’era un atteggiamento verso il fenomeno mafioso diverso da quello dell’indifferenza assai più diffusa nella sua generazione. 

Condivido pienamente la fiducia riposta nei giovani da mio fratello. Ormai io parlo solo ai giovani, non parlo più agli adulti perché oggi voi giovani avete ancora più la forza per portare avanti la battaglia e realizzare la giustizia civile, costruire uno Stato pulito, pieno d’amore verso i cittadini e il prossimo. Se dopo tanti anni continuo ad avere speranza è solo grazie a ragazzi come voi. Di questo vi ringrazio.

Intervista realizzata da Matteo Bussolino, Chiara Musso e Sara Roccuzzo (studenti della 1a A del Liceo Scientifico Vercelli) con il coordinamento del docente Ferdinando Zamblera

Matteo Bussolino, Chiara Musso e Sara Roccuzzo

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Davide Palazzetti

Chi sono in tre righe? Ci si prova.
Partiamo dal personale: marito innamorato e padre fortunato. Tergiversando poi su info tipiche da curriculum, amo il nostro territorio. Lo vivo come nostro anche se vi arrivo da Genova nel 2003. Mi occupo di marketing territoriale e promozione turistica con la piacevole consapevolezza di quanta bellezza ci circondi. Racconto un posto bellissimo, qui e su alcuni miei gruppi Facebook, nella certezza che una delle poche vie di riscatto dell’Astigiano sia riempirlo di turisti.

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