Viviamo in un posto bellissimo | 06 febbraio 2021, 07:30

Viviamo in un posto bellissimo dove il treno del vino è passato

Puntata dedicata all’economia del vino. Ambito così importante per Asti in passato, così importante oggi per l’Astigiano con tutto quello che ne consegue

Bicchiere di vino

Oggi, lo scrivere qualcosa attorno all’economia del vino è sostanzialmente da imputare a due persone e ai loro recenti interventi sulla stampa locale. I mercati hanno tenuto e il numero di bottiglie è in crescita. Parole del presidente Filippo Mobrici: racconta la vendemmia 2020, dai numeri praticamente invariati rispetto all’anno precedente. Nel farlo continua a spingere una denominazione territoriale, il Monferrato, che poco aiuta Asti e l’Astigiano.

Ma, prima o poi, sono convinto cambierà anche lui. Intanto la notizia è tra le migliori del momento. E poi il presidente Amalberto e le proposte dell’Unione Industriale per la ripartenza dell’Astigiano. Proposte dove filiera vinicola, enomeccanica e turismo sono tra i temi portanti. Portanti, ma che poco portano ad Asti. A buona ragione gli industriali dell’Astigiano suggeriscono un polo tecnologico legato al vino e uno a servizio dei turisti con enoteca, museo del vino, museo del vermouth e annessa area congressuale, dando Canelli e Nizza quali alternative al capoluogo.

Il vino è indubbiamente nel DNA di Asti, ma per scelte del passato, mutazioni strutturali e di mercato, si è spostato dal territorio comunale e dintorni a tutto il resto del territorio. Si è arricchito di specificità, di professionalità, di denominazioni e qualità. Sta anche iniziando a darsi una buona notorietà, utile se in sinergia con altro, a trasformarci in destinazione turisticamente distinta e captive. A patto di raccontarne ampiamente le bellezze.

Eppure, fino a metà Novecento, parlare di vino in Nord Italia era parlare di Asti. La nostra città era indubbiamente una piazza molto importante, sia per il mercato dei vini che nella produzione vinicola. Punto di riferimento per tutto il Piemonte e, appunto, il Nord Italia. Le statistiche ufficiali del tempo parlano di una superficie vitata provinciale da 50.000 ettari, dati del 1958, con 2,3 milioni di ettolitri prodotti. Poco meno di quanto oggi si produce in tutta la Regione, quasi il quadruplo dell’odierna superficie vitata provinciale.

Asti rivestiva il ruolo di centro enologico confermandolo, non con un’enoteca regionale, che non esistevano ancora, promosse dal 1980, ma con molti vinificatori a produrre in città. Comperavano le uve, pigiavano, lavoravano i mosti in vino, vendevano all’ingrosso e al minuto, esportavano in Italia, Europa e alcuni anche nelle Americhe. Bosia, Bossi, Garavelli, Gerbi, Perosino, Pistone, Poncini, Taricco, Visconti e Zingari, alcuni dei nomi stampati su milioni di etichette, fino agli anni 70. E bottai, diversi laboratori d’analisi, generazioni di consulenti, enologi e commerciali, artigiani in molti ambiti collegati, nonché vari negozi e magazzini di materiale per la produzione enologica. Non parliamo poi del mare di vinerie.

Accanto ai vinificatori, il sistema del vino Made in Asti si schierava un colosso per produrre prima botti e poi bottiglie, l’Enofila, strategicamente edificata, nel 1872, a lato della stazione ferroviaria, che era stata inaugurata una ventina d’anni prima. Fallita, abbandonata, riutilizzata nelle sue bellissime strutture industriali per qualche anno. Quasi scordata.

Quel mondo del vino Made in Asti è scomparso da diversi decenni, e con lui la vocazione cittadina ha avuto una definitiva mutazione genetica. Era nata dal valore e dall’intraprendenza di persone e dalla grande predisposizione territoriale alla viticoltura, frutto di secoli di storia e lavoro, ma in periodi e contesti diversi. Detto questo solo come supporto storico, senza rimpianti, che oltre a non servire a nulla rischierei di essere ripreso dal vescovo Prastaro che non ci vuole a guardare indietro. Resta però la necessità per Asti di trovare economia e lavoro. Altrove. Di trovare interesse turistico nella sua grandissima ricchezza artistica, monumentale e culturale, nella sua bellezza. Non altrove.

Davide Palazzetti

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Viviamo in un posto bellissimo

Davide Palazzetti

Chi sono in tre righe? Ci si prova.
Partiamo dal personale: marito innamorato e padre fortunato. Tergiversando poi su info tipiche da curriculum, amo il nostro territorio. Lo vivo come nostro anche se vi arrivo da Genova nel 2003. Mi occupo di marketing territoriale e promozione turistica con la piacevole consapevolezza di quanta bellezza ci circondi. Racconto un posto bellissimo, qui e su alcuni miei gruppi Facebook, nella certezza che una delle poche vie di riscatto dell’Astigiano sia riempirlo di turisti.

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