Gli antichi saggi non conferivano mai al loro insegnamento una forma sistematica. Si esprimevano per paradossi per timore di comunicare solo mezze verità
Okakura Kakuzo, Il libro del tè
Ritorniamo su di un argomento già affrontato nelle scorse puntate, ovvero il ruolo del saggio, il suo insegnamento e la filosofia. Questa volta, però, ci approcciamo grazie a questa profonda considerazione di Okakura Kakuzo (1862-1913), membro della Commissione imperiale nipponica per lo studio dell'arte moderna negli Stati Uniti e direttore della scuola di Arte di Tokyo, che mostra la grandezza dell'insegnamento degli antichi saggi. Ovviamente, se si concentra l'attenzione sulle antiche pratiche sapienziali è implicito il confronto con le attuali modalità di trasmissione del sapere e, bisogna ammetterlo, di primo acchito sembrerebbe trasparire una certa nostalgia per un passato che stenta a tornare. L'opera da cui è stata tratta la citazione, Il libro del tè, si presenta a tutti gli effetti come un tentativo di inversione di marcia: fin dove è giunta l'arte moderna? Quanto ha tradito il suo glorioso passato? Ecco, è proprio questo traguardo a essere il punto di rottura. Si è persa definitivamente ogni possibilità di sentire in profondità l'arte, di cogliere quel legame viscerale che la lega indissolubilmente al mondo della vita e che gli antichi sapevano bene, meglio di noi uomini d'oggi. Tuttavia non è questo filone interpretativo che vorrei seguire. Al di là del contesto filologico, è la profondità ermeneutica che questa citazione mette in moto che è degna della massima attenzione.
Due sono gli elementi da rimarcare: il primo è la negazione della mera analiticità del sapere. Il sapere insomma non può essere appiattito all'insieme delle nozioni che come atomi di conoscenza andrebbero a costituire molecole più organiche. Impartire una lezione di sole nozioni avvizzirebbe l'intero processo di insegnamento: non si insegnerebbe nulla a rigore, se non una perfetta capacità associativa tra problema e risoluzione nozionistica. Ora, ciò non significa che tale sistema debba essere accantonato. Semplicemente, è richiesta una integrazione complementare. Difatti, secondariamente è da considerare la proposta di una insegnamento complessivo e generale che sappia superare le secche dello specifico per accedere ad un livello più profondo, da cui lo specifico stesso ottiene giusta luce. E questo ambito generale, però, non può essere impartito attraverso la costruzione di un sistema, altrimenti si riprensenterebbero le medesime criticità emerse per un insegnamento eminentemente analitico. Ma allora come è possibile un insegnamento generale che non sia al contempo sistematico?
Questa è la sfida più grande e la risposta che Okakura Kakuzo ci offre apre ad ulteriori domande che devono essere affrontate in vista di una penetrazione di quel paradosso che resta l'enigma cui ogni filosofia non può fare a meno di scontrarsi, sia per dissolverlo, per perdersi in lui o per uscirne fuori con una maggiore consapevolezza.