Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone DNA, di Anna F., contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify
Quando ero un po' più piccola vivevo l'empatia come un segno di debolezza, come quella cosa che ti fa sentire diversa dagli altri, difettosa.
Crescendo sto imparando, ogni giorno di più, che essere empatici non è un difetto, ma un segno particolare. Certo, senti quello che non si sente, pensi quello che non si pensa, vivi quello che non si vive. Soffri, più degli altri. Ma entrare in empatia con gli altri resterà sempre qualcosa di meravigliosamente magico. Soprattutto per una giornalista come me. Che poi, alla fine, dove sta scritto che i giornalisti sono tutti cinici?
La telefonata con Aurora Montalto mi ha dato una grande conferma di ciò che ho imparato a sentire da qualche mese a questa parte.
Aurora, che bello parlare con un'astigiana in Scozia!
Esatto, vivo in Scozia, in un villaggio vicino a Glasgow. Sono venuta qui nel 2004, quasi vent'anni fa ormai, ho 41 anni quest'anno. Sono venuta in Erasmus, nel gennaio 2004, in realtà con l'intenzione di stare sei mesi.
Qualcosa mi dice che tu l'abbia amata questa città...
Sì, ho adorato quell'esperienza. Mi ha dato la possibilità di essere una persona nuova, ero in un posto in cui nessuno mi conosceva. Grande libertà, grandi amicizie, è stato un periodo speciale della mia vita. Pensa che non sapevo cucinare niente, mia mamma mi mandava pentole e padelle per posta e per mesi ho mangiato solo cose scaldate al microonde. Quando sono arrivate le pentole ho potuto iniziare a fare la pasta. Ero un po' sprovveduta (ride, ndr), ma a Glasgow posso dire di aver imparato a vivere da sola.
E poi?
Poi sono tornata ad Asti, ho finito il mio anno di università, ho iniziato una storia con un ragazzo di Glasgow (che non è il mio attuale compagno). Insomma, avevo motivi per tornare in Scozia e mi faceva piacere. Ero innamorata di Glasgow, sentivo che non era ancora finita. Nel 2005, terminata la Triennale mi sono iscritta al master in Culture moderne comparate e ho fatto il concorso al Miur. Sono diventata assistente di italiano in due scuole superiori nel 2006. Mi sono trasferita lì, ci ho vissuto fino al 2008. E poi sono tornata ad Asti. Quella volta ero tornata per restarci. Fino al 2011 facevo come avanti e indietro, ho vissuto anche a Torino. Poi, però, nel 2011 mi sono trasferita in Scozia e da qui non mi sono più mossa.
Che rapporto hai con l'Astigiano? Come le vedi oggi queste terre?
Quando ero teenager non vedevo l'ora di scappare e adesso non vedo l'ora di tornare. Alla tua età volevo andare via, Asti mi stava stretta, non mi ci riconoscevo, ma le cose ora sono migliorate. Noto da lontano un certo risveglio culturale, ragazzi che la vogliono far diventare Asti a loro misura. L'ho rivalutata tanto, la trovo bella, graziosa, sono orgogliosa di essere di Asti, che ha storia, una tradizione, una bellezza unica. Dico volentieri di essere di Asti, qui in Scozia.
Anche se vivi in Scozia da tanto tempo, ce l'hai ancora un luogo del cuore nell'Astigiano?
Sì, sicuramente Viatosto, che nel tempo è stato il posto in cui andavamo con amici, al parco, in un prato, in diversi momenti della mia vita è stato rappresentativo, ci ritorno volentieri.
Quindi torni ogni tanto qui?
Solitamente almeni due volte all'anno, lo scorso anno sono stata un mese e mezzo, per stare con gli amici e la mia famiglia.
Come è nato il progetto Biograffiti, che so essere una parte importante di te e del tuo percorso?
Allora, diciamo che l'idea è nata all'università, ascoltando una lezione ho creato un disegno di una pagina con tante cose collegate, immagini concatenate, credo sia stato il primo dei miei biograffiti. Era il 2003. Mi è sempre piaciuto disegnare, ma non pensavo di essere capace, adoravo storia e letteratura. Biograffiti coniuga tutti questi aspetti, un libro che racconta in modo intuitivo, ha un potere grande l'illustrazione. È una sorpresa appesa al muro, qualcuno l'ha definita così.
Biograffiti, una sorpresa appesa al muro
Aurora definisce così il suo progetto.
Biograffiti, biografie disegnate: una serie di commissioni individuali basate sugli elementi forniti da ogni committente, completamente personali e uniche ma allo stesso tempo legate alle altre opere della serie da alcuni elementi ricorrenti. Siamo tutti individui interconnessi, mi piace promuovere con la mia arte questa interpretazione non solo metafisica ma anche quantistica nella sua verità. Ognuno di noi è una storia, ognuna di queste storie accanto alle altre popola il mondo. Come vogliamo che sia raccontata la nostra storia? Quali elementi scegliamo per delineare le nostre identità e presentarci agli altri? Una parte importante per dare significato alle nostre esistenze è data dal modo in cui ce le raccontiamo: la realtà è una storia non solo perché siamo noi, in parte, a scriverla, ma soprattutto perché siamo noi a decidere come leggerla. Anche i Biograffiti si leggono, ma senza le regole della parola scritta, che per acquisire senso ha bisogno di essere assunta in ordine cronologico: le immagini sono parole libere, è l’osservatore a scegliere come leggerle e quale filo narrativo seguire. Sono molteplici i racconti racchiusi in ogni quadro e infinite le riletture, possibili ogni volta che ci si ferma a guardare la composizione appesa al muro.
La lingua dei segni
Sono cresciuta in una famiglia con due genitori sordi: il modo in cui la lingua dei segni disegna i concetti con le mani non è dissimile dal modo in cui rappresento il mondo con i miei disegni, dove il significato si vede e si intuisce. Le immagini sono un veicolo più immediato delle parole: in questo risiede il potere narrativo ed evocativo dei Biograffiti.
Il mio personale Biograffiti è questo: ci sono i libri, la musica, la natura, il viaggio, due dita che si toccano e fanno iniziare un amore, Graceland di Paul Simon, un mare surreale che si fa cielo, il Cosmo, Glasgow e Torino alla finestra, le rondini, la meraviglia che non pensavi negli angoli, le cose che si trasformano in altre, una barca come sogno di un giorno, il caffè, il rossetto e l’arte, la birra su un’isola tropicale, la magia e la follia del mondo che fa ridere gli sguardi.
Avuta l'idea, quando hai deciso di svilupparla concretamente?
Con il Covid. Prima della pandemia lavoravo nell'area vendita di un'azienda di Glasgow, che poi ha chiuso. Mi sono ritrovata a casa, con buona uscita e poi è iniziato il Covid. Mi sono detta: perché non provare a mettere su il mio piccolo business e vedere come va? Così ho creato il sito io (QUI), ho fatto domanda per depositare il marchio. Emanuela Valenzano di Asti è stata la consulente che mi ha indirizzato anche sul nome del progetto. Qui in Regno Unito è stato semplice, non ci sono le lungaggini burocratiche che ci sono in Italia, ad esempio. Poi ho creato i social e sono riuscita a mettere un piede in questo business, che è un work in progress.
Domanda mega banale... Come funziona il lavoro sotteso a ogni creazione di Biograffiti?
Parto dal dirti che Biograffiti è un sogno, è il lavoro ideale, in cui posso ascoltare le storie delle persone e metterle a sistema con la mia sensibilità e talento. Di solito sono regali, anche per eventi importanti, è un grande orgoglio per me. Non posso credere che le persone si fidino di me in questo modo. Ogni lavoro è certosino, richiede un sacco di tempo, un piano editoriale. Per prima cosa raccolgo tutte le info, per poi trasformarle in input visivi. La fase di pianificazione occupa un tot di tempo e poi inizio a disegnare. La prima traccia la faccio a matita e poi passo alla penna a inchiostro. I miei lavori non vengono approvati prima, è un salto di fede per il cliente. Poi, nel tempo, ho aggiunto altri servizi: confeziono loghi, bigliettini di auguri (che si possono trovare alla Piccola Libreria Indipendente di Asti, con cui mi lega un rapporto speciale), stampe...
Quanto tempo ti ci vuole per un lavoro in A3, ad esempio?
Un lavoro in media per un A3, quindi il formato standard, mi richiede almeno 10 giorni, ciò significa una settimana piena di lavoro. Vivo costantemente il concetto del flow: entro nel flusso di lavoro. All'inizio vado lenta, ho quasi paura di iniziare e poi una magia, a fine settimana il disegno è strapieno. Sento di essere cresciuta molto in questi anni.
Il concetto di flow e quelle esperienze immersive trasversali
Quando Aurora mi parla di questa sua esperienza immersiva vedo il mio lavoro proiettato nelle sue parole. Anche io quando scrivo sono come catturata dal flusso delle parole che prendono vita dalla tastiera del pc. E anche io ho quella sindrome del foglio bianco: quella strana paura inconscia di iniziare a scrivere queste storie. A questo non ho ancora dato un nome, ma so che anche a me succede come una magia. Basta aspettare che la mente finisca di pensare e che le mani terminino di digitare e tac. Il lavoro è completato. Che si chiami flow l'ho scoperto grazie ad Aurora. Lei è l'emblema del valore dell'empatia.
Come arriviamo alla pubblicazione di "Otto Said - Conversations with a bilingual kid"?
Devo dire che la letteratura è sempre stata un mio interesse e mi piace scrivere. Ogni mio lavoro è unico e non replicabile ed è la cosa meno razionale che potessi scegliere. È come scrivere un libro ogni volta diverso. Ho un bimbo che adesso ha sei anni, da mamma non dovevo dimenticare, è facile perdersi momenti, sei così stanco. Volevo ricordarmi tutto, anche per lui. Per questo ho iniziato a scrivere cose simpatiche che fa e dice, i piccoli gesti, i piccoli momenti. Niente di speciale, ma voglio ricordarmele tutte queste cose. Otto Said è in inglese e raccoglie tutto dei primi cinque anni di vita di mio figlio, l'ho auto pubblicato, si trova anche alla Piccola Libreria Indipendente o su Amazon.
Un consiglio ai giovani?
A loro dico che non credo ci sia bisogno di aver paura. Quando si è giovani bisogna buttarsi, c'è tempo per mettere la testa a posto. Io l'ho sempre fatto, ho sempre studiato. Bisogna cercare di fare le cose come si deve, ma sono sempre stata curiosa. Siate curiosi, sperimentate. In Italia è più difficile, ma c'è sempre tempo per provare, diventare persone serie (ride, ndr). Se sei incastrato in una certa vita diventa sempre più difficile anche diventare genitori.
Torneresti ad Asti per vivere?
Ad oggi non la considero come una possibilità, a livello pratico mi sarebbe molto difficile. Il mio compagno, che ha due figli, vive qui a Glasgow. E poi, quando ci si abitua a vivere in Scozia è dura tornare indietro, qui la vita è più semplice. Le persone non fanno la coda, c'è un grande senso civico, c'è meno burocrazia, quelle cose che ti rovinano le giornate di solito. Farei sicuramente molta fatica, anche se sono divisa. Vorrei tornare, ma non posso perché qui mi sono rifatta una vita. Casa mia è ad Asti quanto a Glasgow. Da pensionata però...chissà, non mi dispiacerebbe tornare!
Il saluto ai lettori