Storie di Orgoglio Astigiano | 05 luglio 2025, 12:45

Storie di Orgoglio Astigiano. Alessandro Varesio: "Uova? Le nostre si chiamano Camille e, con i polli, sono protagoniste dei piatti della ristorazione (anche) stellata"

L'azienda, dall'anima familiare, si trova a Montiglio. "Il Monferrato? Il posto più ospitale che conosca. Ho imparato tanto dal mondo del vino e dai suoi bisogni"

Alessandro Varesio

Alessandro Varesio

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Era, di Lucio Battisti, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

A Montiglio Monferrato c'è un posto bellissimo in cui si coltivano sogni. 

Il sogno di un figlio mezzo d'arte e mezzo dei suoi tempi, che un bel giorno ha deciso di provare a mettere a terra le idee che aveva in testa. Per quanto strane potessero sembrare. 

Classe 1969, Alessandro Varesio è schietto e diretto. Lo vado a trovare, nella sua azienda agricola, in una già caldissima mattina d'estate. 

Passeggiamo nei campi, prendiamo in mano pulcini piccolissimi, ci fermiamo ad ascoltare il suono della natura. Gli dico che ho paura dei volatili, ma che lì mi sento al sicuro. 

È così che parte il suo racconto. 

Alessandro, come ha inizio questa storia bellissima?

Sono in parte figlio d’arte, perché fin dal 1972 papà era allevatore di galline ovaiole. La cultura dell’alimentazione, però, non era quella di oggi. Si stava abbastanza lontano dalla qualità e si puntava più sulla quantità. Il mondo, negli anni, è poi andato verso la conoscenza e l’attenzione all’alimentazione; verso uno stile di vita diverso, insomma. Ho lavorato alcuni anni con papà, che è diventato anziano, nel frattempo. Io, però, credevo nella produzione di uova e carne avicola e nella commercializzazione di questi prodotti in giro per il mondo, ma con caratteristiche peculiari. Volevo conferire dei tratti distintivi ai miei prodotti.

Cosa ha fatto la differenza? Qual è stato il tuo tratto distintivo?

 All’inizio era molto più difficile imprimere un'identità sull’uovo, perché il percepito sull’uovo è inferiore che sulla carne. Nel 2000 ho iniziato a lavorare con i polli ruspanti, allevati all’aperto. Mi sono inventato tutto, sbagli compresi! Sono andato in Francia per imparare meglio questo mestiere, che è come un'arte. Lì mi hanno accolto come un figlio. Ho iniziato questa formazione quasi 'garibaldina' a Bourg-en-Bresse. La vita mi ha insegnato a imparare da chi è più capace. E poi...

Poi?

Poi sono tornato a casa. Avevo un campo di grano e lì ho iniziato a costruire parte dell'allevamento virtuoso che abbiamo oggi, con un impatto ambientale minimo. E in quel momento ho capito che stavo pian piano realizzando il mio sogno: stavo riuscendo a far vivere gli animali secondo natura, senza forzature. Così ho creato strutture ospitali, prendendo spunto dal vino. 

In che senso il vino è stato tuo maestro?

Il processo con cui si dà vita al vino è sempre stata una specie di traccia per me. Il vino deve riposare, meditare e avere spazio. Gli stessi elementi di cui hanno bisogno gli animali per vivere bene. Per cui, basandomi su questi concetti chiave, ho iniziato l'attività. Avevo un furgone usato e andavo a Torino a proporre i miei prodotti. Mi vedevano un po' come un alieno i primi tempi (ride, ndr). Sentivo, però, che la mia idea non potesse fermarsi al benessere degli animali. Avevo bisogno di lavorare anche sulla loro alimentazione. 

Una specie di educazione alimentare per i polli?

Esatto. Tramite l’Università di Milano abbiamo fatto una ricerca completa sulle erbe che gli animali gradiscono di più, seminandole poi nei campi vicini. In modo che, liberamente, possano assumerle per migliorare anche la qualità delle loro carni. Si tratta di un prato pascolo polifita con erbe dedicate. La parte interna ai pollai ha il 74% di grano turco con qualità più vitree, che loro prediligono. Permette di ingrassare naturalmente e la loro carne assumerà il colore giallo che percepiscono dal grano. Poi, però, ci siamo chiesti come lo gradissero questo grano: macinato fine? Oppure più spesso? E abbiamo scoperto, così, la granulometria perfetta. Non è come fosse farina, ma è un po' più spaccato e facilita anche la digestione. 

Studio, ricerca, innovazione e sostenibilità. Quanto è importante fare del bene alla natura?

Per noi è fondamentale. Produciamo noi la corrente che usiamo, per ridurre al minimo l'impatto ambientale. Certo, ogni giorno impariamo cose nuove, ma ci mettiamo costantemente in gioco, rispettando la natura e le sue dinamiche. Bisogna essere pionieri. Un tempo la sostenibilità non era una priorità, ma oggi e in futuro saranno i clienti stessi a richiedercela. Dobbiamo essere attenti a come vogliamo lasciare il pianeta ai nostri figli. Noi abbiamo quasi azzerato le emissioni di CO2 e non usiamo antibiotici. Perché i nostri polli non hanno bisogno di nulla, vivendo in maniera sana e secondo natura. Le nostre analisi sono negative a tutte le patologie. Considera che spendiamo circa 25mila euro all'anno in analisi, per dare garanzia della salubrità dei nostri prodotti. Abbiamo osato, cambiando razza, ambiente e alimentazione (razza a crescita lenta, animali all'aperto e alimentazione che produciamo in azienda). Abbiamo dato il via a un'economia circolare. Le nostre uova sono contenute in imballaggi di carta riciclata. Abbiamo dato un vestito innovativo, che va oltre la qualità. Non c’è nulla che un allevatore non possa fare: basta farlo. Questa è sostenibilità. Vera. C’è ancora tanto da fare, certo. Le grandi aziende possono assumere persone dedicate a fare questo. Noi piccoli fatichiamo, ma con calma aggiungiamo un tassello in più ogni giorno. L'importante è iniziare. 

E invece la storia delle uova, anzi, delle Camille, quando è iniziata?

Nel 2015 allevavamo e vendevamo polli ruspanti. Papà aveva già smesso di lavorare da un po'. In quell'anno abbiamo avuto l'idea di produrre uova, con lo stesso pensiero con cui stavamo lavorando ai polli ruspanti. Non avevamo galline, però. Con l’Università di Torino abbiamo iniziato una serie di studi e da lì sono nate le Camille, le nostre iconiche uova bianche da galline livornesi. È stato un lavoro molto impegnativo, durato due anni. Le Camille sono nate, quindi, 15 anni dopo il progetto dei polli ruspanti. Queste uova bianche che allora erano una vera novità e che inizialmente si faceva fatica a spiegare. È stato davvero un bellissimo successo. 

Quando hai capito di aver fatto bingo con le uova?

Quando i clienti hanno iniziato a telefonare e a dirmi "mandami una cassa di Camille". Le chiamavano Camille, non uova. Il nostro uovo 'firmato' era stato capito e apprezzato. 

Fallo a modo tuo. L'unico che conosci e che ti renderà unico

Penso che la riflessione di Alessandro sia illuminante. Le sue uova si chiamano "Le Camille". Hanno un nome, hanno una firma, hanno un'identità. E se le persone ti chiamano per ordinarti una cassa di Camille e non una cassa di uova, ecco che allora la magia si è creata sul serio. In un mondo in cui, ormai, c'è tutto di tutto, penso anche io che il segreto stia nell'arte del differenziarsi. Dalla massa, sì, ma in generale da ciò che già esiste. Fare la differenza può voler dire, magari, produrre qualcosa che esiste già, ma farlo in una maniera speciale. Farlo a modo tuo. L'unico che conosci e che ti renderà unico. 

Quante persone conta oggi l'azienda?

Escludendo me e il mio braccio destro, Roberta, abbiamo 18 persone che consegnano prodotti, lavorano in ufficio, nel laboratorio sezionamento carni o all'imballaggio delle uova.

E il territorio astigiano? E il Monferrato? Come hanno recepito questa 'rivoluzione'?

Il Monferrato, dove sono nato e vissuto, è uno degli ambienti più ospitali che io abbia mai conosciuto, fatto di persone semplici. La nostra è una zona agricola e di confine, abbiamo una natura selvaggia, ma sono stato accolto bene fin dall'inizio di questa avventura, anche dalle amministrazioni comunali. Certo, un po’ di diffidenza c’è stata, ma fa parte del gioco. Siamo sempre stati trasparenti, raccontando chiaramente quello che volevamo fare. Oggi abbiamo 115 ettari seminati, in un territorio meraviglioso. 

Hai mai pensato di spostare la tua azienda da un'altra parte? 

Non ho mai pensato di trasferirmi. Voglio restare qui e, anzi, a livello nazionale temo la fuga di cervelli. Abbiamo così tante persone di talento che qui non vengono valorizzate come meriterebbero e, stanche del sistema, cercano fortuna all'estero. Dobbiamo investire nel valore umano che abbiamo, così come nel turismo, per non lasciar scappare le nostre risorse.  

E, a proposito di geografia, fin dove arrivano i tuoi prodotti?

In 25 anni le cose sono cambiate. Inizialmente si collaborava con le macellerie locali, ma poi, man mano, ci siamo allargati a macchia d'olio verso Torino, che ritengo sia la capitale enogastronomica italiana. Poi Milano e la Liguria. I prodotti vengono consegnati direttamente con i nostri mezzi, per mantenere la catena del freddo e garantire un servizio accurato. Oltre le zone del Piemonte, della Lombardia e della Liguria, invece, andiamo con i corrieri refrigerati. 

E se dovessi fare l'identikit di un tuo cliente?

Non abbiamo mai denigrato la grande distribuzione, ma non l’abbiamo mai cercata. Il nostro prodotto va raccontato e diciamo che la grande distribuzione non ha il tempo e le possibilità per farlo, ma con il gruppo del Gigante e con Eataly ci troviamo molto bene. Eataly, nello specifico, è stata la nostra finestra sul mondo. E poi serviamo molte attività commerciali al dettaglio e tanti ristoranti, ad oggi sono circa 70. Lavoriamo con la ristorazione stellata, come Le Cattedrali, il Relais Sant'Uffizio, con gli chef Bartolini, Zecchin, Alciati e tanti altri, ma ci piace collaborare anche con la ristorazione più tradizionale. 

E l'estero?

Al momento non siamo ancora attivi, ma è uno dei nostri obiettivi. Abbiamo ancora tanto da fare in Italia, vorremmo concludere prima nel nostro Belpaese. 

Un consiglio ai giovani?

Risolvere la paura di avere coraggio. Eliminerei dal vocabolario la parola 'buttarsi', perché se rifletti non ti butti mai, in realtà. Oggi ci sono tutti gli strumenti per mitigare gli sbagli e questa è una grande risorsa. In un paese variopinto come l’Italia c’è tutto da fare. Alla fine la soluzione sta nella semplicità: prendi quella cosa e falla come va fatta. Falla bene. È una banalità, ma che spesso si perde di vista. Prendete qualcosa di cui siete appassionati, fate ricerche, studiate, ma poi fate concretamente sul campo. Dal piccolo, allargatevi sempre di più. Penso che non si possa non avere uno zoccolo duro di studi di partenza. La scuola non ti insegna cosa fare, ma come fare. Sei poi tu che decidi cosa fare. Oggi ti puoi inventare mestieri che ancora non esistono e la scuola deve insegnare a praticare l'apertura mentale. Da un punto di vista lavorativo, in Italia l’iniziativa privata è un po’ uccisa e serve fare dribbling in questo sistema. Soprattutto all’inizio, può spaventare, ma bisogna andare avanti.

Elisabetta Testa


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Elisabetta Testa

Da giovane giornalista creativa, scrivo di persone dalle storie incredibili, che hanno Asti nel cuore, che ne conservano un dolce ricordo, che qui ci hanno messo radici e che, orgogliosamente, fanno conoscere la nostra città in altre terre.
Orgoglio Astigiano è la storia di un salto, personale e professionale; è un invito a riscoprire se stessi attraverso le testimonianze di chi ce l'ha fatta.
Orgoglio Astigiano per me è sinonimo di scelta: la mia e quella degli altri.
Per questo ho voluto scrivere in prima persona ogni articolo della rubrica, convinta di riuscire a portare anche te nel mio mondo.
Requisiti richiesti? Bisogna lasciarsi andare. Più che farti intervistare, ti devi guardare dentro. Senza aver paura di raccontarmi ciò che ci troverai...

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