La posizione di Hegel non è una nuova versione dell'equilibrio dello yin/yang, ma è l'esatto opposto: la "verità" risiede nell'eccesso dell'esagerazione in quanto tale
Slavoj Žižek, Che cos'è l'immaginario
Ci sono filosofi nei confronti dei quali si può ora dire quasi tutto. Filosofi che, invece, un tempo sono stati venerati come assertori di una verità assoluta che si è potuta manifestare solamente grazie alla loro opera; filosofi che riscuotevano talmente tanto successo da essere i rappresentanti di una intera generazione di studiosi; e filosofi che seppero imprimere una svolta complessiva alla storia del pensiero, lasciando un'impronta indelebile per tutta la filosofia che da lì in avanti sarebbe stata avanzata Hegel fu certamente un esponente di questa schiera. Il suo peso specifico è certificato dallo spartiacque che ha eretto con il suo modo di fare filosofia: gli autori che lo avrebbero succeduto avrebbero comunque fatto, da lì in poi, i conti con la sua figura.
Ma che cosa ha lasciato di così fondamentale il buon Hegel? Una nuova - e aggiungerei anche controversa - teoria della verità. Con l'affermazione: "il vero è il tutto" prendeva una posizione netta: vero non è solo ciò che viene riconosciuto come tale da un soggetto che costituisce il mondo grazie alla propria connaturata natura di costruttore del proprio mondo. Né, d'altronde, è vero tutto ciò che è riscontrabile oggettivamente, quasi depennando ogni nostro intervento. Affermare che il "vero è il tutto" significa attribuire massima dignità a ogni pensiero che sappia ricomporre in unità i due saperi. E difatti, è proprio questo ciò di cui si occupa la tanto famigerata dialettica hegeliana: composta di tre momenti (tesi - antitesi - sintesi), essa si giustifica per la sua duplice natura sia di principio conoscitivo che descrizione esatta della realtà. Di rimando, la nozione stessa di verità risulta caricata di nuova linfa vitale: verità non è più uno dei due lati (l'oggetto e il soggettivo), ma la trasformazione continua di un elemento nell'altro. Per dirla in termini più tecnici, la tesi non è più contrapposta all'antitesi, ma la prima si trasforma nella seconda che a sua volta si trasforma in ciò che la condurrà ad un punto di vista più solido, più concreto: la sintesi. Vero non è il risultato, né il punto di partenza o quello intermedio. Verità è il progresso, il processo stesso.
Eppure questa concezione del vero presenta un enorme inconveniente: l'eccedenza. Ha ragione Žižek a soffermarsi sull'eccesso. La verità, hegelianamente parlando, è questo eccessivo, questo processo che per quanto concreto possa essere, attraversa sempre gli elementi realmente concreti, trascendendoli. È eccessiva perché va oltre la situazione di equilibrio, pensato alla stregua di un accordo di pace fra militanti in lotta. Non sono che schermaglie, quelle dello yin e dello yang; non sono che enti contrapposti, momentaneamente riappacificati, ma destinati a infrangere quella flebile tregua. Per questo la verità è eccessiva. Non c'è equilibrio né equidistanza: solo ed esclusivamente il movimento della verità che parla di se stessa a se stessa, che fa se stessa facendo il concreto che mai troverà quiete.