Il panorama automobilistico italiano sta mutando pelle, segnato da un progressivo invecchiamento dei mezzi e da una spesa per la manutenzione che grava sempre più pesantemente sulle tasche dei cittadini. È la fotografia scattata da un recente studio condotto da ACtronics, che evidenzia come il calo delle immatricolazioni e la riduzione del potere d'acquisto abbiano innescato un circolo vizioso: le auto restano in strada più a lungo, si guastano più spesso e costano molto di più da riparare.
All’inizio del 2025, l’età media delle vetture in Italia ha toccato la soglia dei 13 anni, un dato in netta crescita rispetto ai 7,9 anni registrati nel 2009. Le cause sono molteplici: listini del nuovo in costante ascesa, la scomparsa delle versioni entry-level più economiche e una complessità tecnologica che, se da un lato garantisce sicurezza e comfort, dall'altro rende ogni intervento in officina un potenziale salasso. Più chilometri si percorrono, più la manutenzione diventa una necessità frequente e, purtroppo, onerosa.
I numeri non lasciano spazio a interpretazioni. Negli ultimi dieci anni, la spesa media annua per la manutenzione ordinaria e le riparazioni ha subito un’impennata del 33%. Parallelamente, il costo di ricambi, pneumatici e lubrificanti è lievitato del 21,2%. Anche la manodopera segue questo trend rialzista: se nel 2015 la tariffa oraria media era di 55 euro, nel 2024 è schizzata a 71,08 euro, segnando un aumento del 29%. Solo nell'ultimo anno, tra il 2023 e il 2024, si è registrato un ulteriore rincaro sia per la manodopera che per la componentistica.
Di fronte a questi aumenti, le abitudini degli automobilisti stanno cambiando radicalmente. Si tende a dare priorità assoluta alle riparazioni urgenti, rimandando interventi considerati secondari o puramente estetici. C’è una maggiore attenzione al confronto dei preventivi e, soprattutto, una crescente apertura verso soluzioni alternative che possano alleggerire il conto finale senza compromettere l'affidabilità del mezzo. È qui che entra in gioco l'economia circolare.
Secondo l'analisi, i ricambi rigenerati stanno guadagnando sempre più fiducia. Il 45% degli italiani si dichiara propenso ad accettare un componente ricondizionato, mentre un automobilista su dieci lo preferisce a priori. Ancora più avanti sono gli addetti ai lavori: il 66% delle officine indipendenti e ben il 78% di quelle autorizzate utilizzano già regolarmente parti rigenerate.
Il vantaggio economico è il vero motore di questa scelta. Scegliere un componente rigenerato permette un risparmio medio che oscilla tra il 50% e l’80% rispetto al nuovo. Per fare un esempio concreto, un modulo di controllo carrozzeria per una Skoda Rapid può costare 149 euro nella versione rigenerata, contro i 446 euro del pezzo nuovo. Analogamente, un selettore del cambio per vetture del gruppo Volkswagen scende da 615 euro a 149 euro.
Oltre al portafoglio, a beneficiare di questa tendenza è l'ambiente. La rigenerazione consente di ridurre drasticamente i rifiuti e il consumo di materie prime, evitando lo smaltimento di componenti che possono avere una seconda vita. Si stima che questa pratica permetta di risparmiare oltre 100.000 kg di materie prime ogni anno. Inoltre, per le auto più anziane, i pezzi rigenerati rappresentano spesso l'unica ancora di salvezza quando i ricambi originali sono ormai fuori produzione.
La qualità, assicura lo studio, non è un fattore secondario. I processi di rigenerazione seguono protocolli rigorosi: smontaggio, ispezione, sostituzione delle parti usurate e test finali che simulano le condizioni reali di guida. "Lavoriamo secondo gli standard riconosciuti dell’industria automobilistica, come ISO 9001, ISO 14001, e secondo le metodologie APQP, EFMEA e PPAP", precisano gli esperti di ACtronics, sottolineando come ogni fase sia tracciata digitalmente per garantire la massima affidabilità. In un mercato che invecchia, il riciclo intelligente sembra essere la chiave per mantenere l'Italia in movimento.










