[G]li uomini sono dei sistemi perennemente destabilizzati dalle loro proprie incoerenze, che non sono nient'altro che interferenze caotiche tra le interazioni
Maxime Rovere, Se vouloir du bien et se faire du mal (traduzione mia)
Nel suo ultimo lavoro, il filosofo francese Maxime Rovere esplora una tematica che coinvolge tutti noi, nelle nostre attività quotidiane, lavorative e non: la dimensione del litigio. Cosa accade durante una litigata? Quali sono le cause che fanno sì che esploda in tutta la sua forza dirompente? Esiste un modo per fermarla? Cosa possiamo imparare - se possiamo imparare - dalle dispute con un nostro caro o cliente o un passante? Ma soprattutto: perché? Perché si attiva quel circolo vizioso che ci conduce dritti dritti in una spirale incontrollabile, che per giunta si autoalimenta senza via d'uscita? È un cortocircuito del nostro agire che con una corretta comprensione del nostro essere può essere schivato senza troppe ambasce? Oppure affonda la sua origine in una costitutiva deficienza umana? Ma poi, ha davvero senso parlare di "costitutiva deficienza umana"?
A partire da queste domande, allora, un evento piuttosto comune del nostro vivere in società può divenire oggetto di fini analisi filosofiche fornendo, di rimando, importanti intuizioni per una maggiore comprensione filosofica della realtà.
Difatti, la citazione qui riportata mostra chiaramente come noi uomini, in quanto uomini, siamo sempre e comunque sbilanciati nelle e dalle nostre esperienze. Tale sbilanciamento proviene direttamente dall'essere frutto di una serie quasi incomponibile razionalmente di avvenimenti che si intersecano, si intrecciano e si intricano l'uno nell'altro: ben lungi dall'essere effetto di quella linearità solare, che conduce ad una piena e completa prevedibilità, le nostre azioni e ciò che ci accade, proprio perché prodotti da una fitta rete di relazioni a noi per lo più sconosciute, sono governate da una aleatorietà di fondo che le rende sempre sfuggenti.
Ciò che l'autore pone allora al centro della sua riflessione è pertanto la domanda etica: come dobbiamo comportarci per poter vivere, tutti meglio? Come guidare le nostre azioni in vista di un kantiano "regno dei fini"? Come dobbiamo noi porci al cospetto degli eventi infausti che ci capitano? Ecco, queste domande non colgono però nel segno, perché ancora risentono di quella linearità solare: che cosa sono in grado di fare con la mia ferrea volontà? Forse, sarebbe bene abbandonare questo modello e accostarsi ad uno alternativo che anziché porre al centro la presunta facoltà razionalizzante, si concentrerebbe su quella ontologica vulnerabilità, effetto diretto dell'aleatorietà delle relazioni.
Forse, ed è questa la proposta di Rovere, riconoscersi fragili, meglio ancora, riconoscersi reciprocamente fragili, potrebbe essere l'unico modo per aver cura l'uno dell'altro, anche durante un aspro litigio.
Si ringraziano il professor Rovere e la casa editrice Flammarion per avermi inviato il libro.