Dovremo mostrare come l'idealizzazione fisica oltrepassi e dimentichi la fede percettiva
Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l'invisibile
Una coppia di fratelli? Di amici in eterno conflitto, ma che in fondo si stringono la mano dopo aver versato sul campo di battaglia ogni goccia di sudore? Di consanguinei che per quanto lontano possano essere sono legati dal filo del rosso del destino che li accomuna? Il fisico e il filosofo non sono due figure di intellettuali, due detentori di un sapere banalmente contrapponibile e esclusivo. L'uno e l'altro si trovano a scontrarsi su di un terreno comune, lo stesso terreno comune che è oggetto delle loro indagini. Ed è proprio qui che le strade del fisico e del filosofo divergono: come possiamo rendere ragione di quel luogo nel quale siamo, quello spazio - aperto? chiuso? - a partire dal quale noi diamo il via alle nostre interrogazioni? In questo senso, contrapporre troppo facilmente il compito del fisico a quello del filosofo ci fa ricadere in ingenuità grossolane e pericolose; ciò nonostante, non si può nemmeno passare inosservata la linea di demarcazione che attraversa e segna la diade. Due sono le figure e due sono le mosse, le gestualità che essi performano.
Perché tutto prende inizio proprio dalla domanda sul terreno da cui prende inizio la domanda. Sembra un intricatissimo gioco di parole, una complicatissima supercazzola che piace tanto a numerosi filosofi e che in fondo si riduce a ben poca roba. Eppure è esattamente questo lo snodo fondamentale. Scienza e filosofia trovano qui la matrice comune: che cos'è il reale? Ma diverso è l'approccio. Ecco l'incrinatura. La fisica si trova a dover trovare risposte il più possibile oggettive, volendo cogliere con precisione i nessi causa-effetto. Vero è che la scienza stessa è consapevole dell'apertura dei sistemi complessi - basti pensare alla meteorologia; ma la sua passione per il reale è contraddistinta dalla sua necessità intrinseca di fornire risposte percorribili. Anche laddove lo scienziato non è più un osservatore esterno - uno dei maggiori progressi della fisica quantistica - che riporta i dati della natura pedissequamente, la scienza opera sempre su presenze, siano esse materiali o energetiche, che danno sostanza alle sue congetture.
Su questa linea si pone la critica di Merleau-Ponty alle pretese della scienza di oggettività piena delle sue descrizioni. E questo non per svalutarne la funzione, ma per rivalutarne la portata nella storia dell'umanità. Detto semplicemente, la scienza che si sofferma esclusivamente sui rapporti ideali tra i componenti della realtà non si rende conto di non essere originaria, dal momento che si trova sempre a operare su qualcosa di già presente. Che la filosofia sia gerarchicamente superiore? Non è nelle sue intenzioni affermarlo. Difatti, la filosofia si pone su di un altro piano. È il questionare continuo la nostra percezione, il nostro essere al mondo prima della formulazione concettuale, la nostra apertura ad una dimensione profonda irriducibile al dato oggettivo.
Questo labile, ma essenziale confine, separa il compito dello scienziato, immerso nelle meraviglie del mondo che deve spiegare, da quello del filosofo, che interroga la sua fede percettiva.