Fa paura da morire, eppure… perché… perché non si riesce a vivere da soli?
Yokoyari Mengo, Scum's wish
Perché siamo animali sociali? Perché senza una comunità entro cui inserirsi, il singolo si perderebbe nei mille rivoli delle sue infinite possibilità? O forse perché è stata la nostra scelta evolutiva, perché abbiamo compreso che le possibilità di sopravvivenza e di propagazione della specie sarebbero incrementate verticalmente grazie alla vita in comune? La Sensei Yokoyari indaga a fondo questa situazione, questo dato di fatto da cui partire, nel suo manga Scum's wish. Come ogni opera letteraria che si rispetti, i problemi non vengono enucleati concettualmente, come se prima venissero presentati, chiamati all'appello, vivisezionati e da ultimo fatti interagire tra di loro. Ma posti subito dinanzi al lettore che si trova coinvolto, fin dalle prime tavole, nella storia che si dipana sotto i suoi occhi.
Senza spoiler, possiamo riassumere così la vicenda narrata: due adolescenti, bellissimi e di successo, si frequentano. Sono, insieme, la coppia perfetta. Tutto quello che si potrebbe desiderare da adolescenti è in loro possesso. Tuttavia, ciò altro non è che menzogna: in realtà entrambi i protagonisti sono sì innamorati, ma non l'uno dell'altra; il ragazzo lo è della giovane professoressa di musica, la ragazza del prof di letteratura, amico di famiglia, nonché un quasi fratello maggiore per la protagonista. Da una decisione importante presa dai due giovani, scaturisce una serie di eventi inaspettati, di incontri e di scontri. Ogni decisione si carica del peso della propria responsabilità, del carico che andrà a gravare sulle spalle e alle spese dell'altro. Anche la scelta più egoista, anche il rifiuto più totale di ogni forma di relazione ingenera già una riarticolazione del nostro stesso essere, un riorientamento generale che dalla vita individuale si eleva alla totalità.
Come giustamente segnala, in altro contesto beninteso, Graham Priest (da inserire il link dell'articolo di settimana scorsa), l'essere umano non è altro che un atomo o un pianeta che ruota e che si muove sospinto dalla forza di gravità. Ogni cosa diviene allora una questione di gravità, di una azione che più o meno coinvolge il maggior numero di uomini. Non possiamo restare soli perché vivere da soli è semplicemente non vivere: si perderebbe quel plus raggiunto evolutivamente, ma anche quella condizione minima dell'esistenza stessa. Se vogliamo formulare l'intuizione di Priest e la messa in opera di Yokoyari Sensei, potremmo dire che l'uomo è un animale gravitazionale. Prenderne atto, è il modo migliore, sembra dire l'autrice, per poter crescere, passando attraverso una sofferenza sovrana, per poi giungere allo stadio di maturità. È vero, fa paura non fare a meno degli altri, perché questa impossibilità ha l'ingrato compito di mettere in bella mostra la nostra debolezza: anche il solo entrare nel campo gravitazionale mette in gioco la relazionalità complessiva, e, si contro, l'insufficienza di ogni velleità di autonomia solipsistica. Siamo al mondo, e lo siamo, volenti o nolenti, insieme a una miriade di altri io che, come noi, condividono questa radicata paura.