Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Senza parole, di Vasco Rossi, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify
Vado a trovare Beppe Gnesotto, titolare della Libreria Alberi d'Acqua di via Rossini ad Asti, in un pomeriggio caldissimo. Negli ultimi mesi ho avuto modo di conoscere meglio la sua storia: me la sono fatta raccontare. Beppe, 56 anni, ha un modo tutto suo di aprirsi, di parlare di sé. Spigoloso solo all'apparenza, nasconde un animo delicato e sincero.
Perché è tra le spine che stanno le rose.
Beppe, sei astigiano? Che rapporto hai con queste terre?
Sono nato ad Asti e ci ho sempre vissuto. Mio papà era veneto, ma diciamo che sono astigiano da sempre. Da qui non mi ci sono mai mosso e devo dire che ho anche quel carattere chiuso tipico degli astigiani, un po’ orso (ride, ndr). Avverto un rapporto molto profondo con l'Astigiano, quotidiano e intenso. Non lascerei mai Asti per nessun motivo. Ne parliamo spesso con mia moglie, anche della possibilità di vivere al mare, ma ad Asti ho tutto, è la mia vita. Mi piace come città, è a misura d’uomo. Certo, vorrei che alcune cose fossero diverse, ma è la mia città e non ho nessuna intenzione di tradirla.
Secondo il tuo punto di vista, Asti è una città che si vuole sufficientemente bene?
Asti non si vuole sufficientemente bene. Potrebbe essere ancor più bella. Potenzialmente è una città magnifica, avrebbe tantissimi spunti storici, luoghi incredibili. Però c’è qualcosa che le impedisce di prendere il volo. Un po’ ciascuno di noi, forse, che non è capace di valorizzare la sua storia, le sue eccellenze.
Cosa facevi prima di iniziare l'avventura della Libreria Alberi d'Acqua?
Ero in tutt'altro settore. Finite le scuole, ho iniziato a lavorare nell'azienda di famiglia: facevamo serramenti in alluminio. Il mio era un lavoro d'ufficio, da impiegato. Era completamente diverso rispetto a quello che faccio oggi.
Come è nata l'idea della libreria? Più che idea, il grande sogno?
Sono sempre stato un lettore appassionato. Il negozio che frequentavo di più da ragazzo era proprio l'ambiente della libreria, più ancora di giochi o vestiti, come magari erano soliti fare i miei coetanei. Non ho mai avuto l’aspirazione a lavorare in libreria. Un giorno, però, ho capito che non fosse il mio settore quello di prima, il lavoro da impiegato. E contemporaneamente c’è stata l'occasione di rilevare questa libreria. Mi sono buttato, con l’aiuto di papà che ha appoggiato la cosa, che mi ha sostenuto. Anche lui aveva capito che quella iniziale non fosse la mia strada. E così ho iniziato quest'avventura con molto entusiasmo e altrettanta paura, perché era un cambiamento enorme. Mi stavo mettendo in gioco in prima persona. Era una grande scommessa. Che, oggi, a distanza di 25 anni, posso dire di aver vinto.
Il pericolo del guardarsi indietro
Se c'è qualcosa che ho imparato nell'ultimo periodo della mia vita è che l'entusiasmo per una nuova avventura è direttamente proporzionale alla paura. Tanto ci attira l'idea di poter scrivere un nuovo capitolo della nostra vita, tanto più ci spaventa. Eppure è così. Prima di saltare quel recinto ci tremavano le gambe. Eravamo lì a tentennare. Poi, quando il salto è stato fatto, non resta che abbandonarsi al flusso degli eventi, con la consapevolezza di aver scommesso tutto e di averlo fatto nella giusta direzione. Una sola regola: non guardarsi indietro. Come il mito di Orfeo ed Euridice. Se ti volti indietro, tutto viene risucchiato all'istante.L'inizio di questo salto? Te lo ricordi?
Ricordo quel gennaio 1999. La fase iniziale è stata impegnativa: dovevo imparare tutto. All’epoca era diverso il modo di lavorare, i libri si ordinavano con il fax. C’erano i primi programmi gestionali, ma io venivo da tutt'altro. Ho cercato di farmi esperienza da solo, senza frequentare la scuola per librai, che comunque esisteva. I primi anni ho cercato di adattare questo lavoro alla città, alle esigenze della zona.
In ogni processo di cambiamento arriva sempre la svolta. La tua quando è arrivata?
Nel 2016. Mi ammalo di scarlattina e sono costretto a rimanere a casa due settimane: proprio io che non avevo mai saltato neanche un giorno di lavoro in vita mia. E, come spesso accade, quando ti fermi il cervello inizia a farsi più domande del solito. Mi sono chiesto dove volessi andare, cosa volessi fare della libreria. Ho scoperto il mondo dei social, ho capito l’importanza di andare incontro alle persone. Perché il libraio oggi deve fare questo. Ho capito davvero che cosa volesse dire libreria per me.
Cosa voleva e vuole dire libreria per te?
La libreria è un luogo aperto, che mette le persone a proprio agio. Non basta tenerla aperta, però. Serve un contatto umano con la clientela, serve fare la differenza rispetto a tutto ciò che c'è di già esistente. E così ho iniziato a creare dei piccoli eventi, con presentazioni, laboratori per bambini e altro. Dopo il periodo di malattia, sono tornato a lavoro con una mentalità diversa: sono io che scelgo di andare incontro alle persone, creando ponti e situazioni che possano farle entrare da noi, anche solo per conoscerci.
Quanto è importante, oggi, il rapporto umano?
Lo reputo fondamentale. La libreria non è un negozio, ma un posto in cui si creano legami. Oggi le persone possono avere tutto ciò che vogliono schiacciando un bottone. Per questo serve offrire qualcosa di diverso. E questo quid è il valore umano. Molte persone faccio fatica a chiamarle clienti: sono amici, sono persone di casa. Non abbiamo mai avuto problemi di inserimento nella zona, è stato ed è difficile coinvolgere il pubblico, ma non abbiamo mai avuto problematiche. Piano piano abbiamo creato una nostra comunità di persone. Persone che hanno piacere di sapere cosa succede in libreria. E in più cerco di creare legami con attività di qualità di questo territorio, facendo rete, ad esempio con l'Asintrekking (Orgoglio Astigiano, QUI la loro intervista), con cui organizziamo letture in libreria con animali. Dalle istituzioni non abbiamo avuto nessun tipo di appoggio, c’è muro. Ci sono tante parole, ma i fatti mancano. Per cui, o ci rimbocchiamo le maniche noi o altrimenti è difficile. Fortuna vuole che l’entusiasmo non si sia ancora spento.
Un consiglio ai ragazzi che stanno cercando la miglior versione di loro stessi?
Credere in se stessi. Se si hanno sogni e idee, non stopparli. Non buttatevi nel vuoto, non saltate senza prima aver valutato e ponderato la situazione, ma se la cosa è appena appena possibile o c’è un piccolo spiraglio, occorre non darsi per vinti e crederci. Sono convinto che il lavoro ripaga, con impegno e fatica, ma anche con preparazione. Serve tirare fuori le idee e fare in modo che si realizzino. In alcuni casi bisogna anche avere l’intelligenza per dire e dirsi che non è possibile percorrere quella strada tanto sognata.