Un caso che spacca le coscienze e non lascia spazio a giudizi affrettati: è con questa consapevolezza che il Pubblico Ministero ha aperto la sua requisitoria nel processo a carico di Makka Sulaev, la giovane accusata di aver ucciso il padre Akhyad nel marzo 2024. Davanti a un’aula attenta e col fiato sospeso, il PM ha ammesso sin da subito la complessità della vicenda, definendo difficile il ruolo dell’accusa in una storia che coinvolge una ragazza appena maggiorenne, cresciuta in un contesto familiare segnato dalla violenza e dall’isolamento.
L’accusa: le motivazioni del Pubblico Ministero
“Fare il pubblico ministero in questo caso non è stato facile; si parla di una persona appena maggiorenne che ha risposto a una situazione difficile - dichiara in apertura il PM - Ho chiesto ad altri colleghi e ho avuto risposte diverse: ha ucciso il padre e merita l’ergastolo, oppure doveva farlo prima dei 18 anni. Le risposte sono differenti e quindi questo caso merita un approfondimento tecnico di ciò che Makka ha fatto”.
Così esordisce il Pubblico Ministero, ripercorrendo la cronologia degli eventi che hanno portato alla morte di Akhyad Sulaev, sottolineando la premeditazione e la lucidità dell'imputata Makka Sulaev.
Secondo la ricostruzione, infatti, per l’accusa, Makka ha agito in maniera premeditata, con piena lucidità e venendo meno al diritto di legittima difesa.
Il PM ricostruisce il caso, unendo tra loro i vari episodi che sarebbero importanti per comprendere l’accaduto, ritenendo che l’omicidio sia stato compiuto in piena lucidità. Un punto chiave, aggravante di premeditazione del delitto.
Si ritorna poi al Natale 2023, la prima scena di una minaccia a mano armata da parte di Akhyad.
“Importante sottolineare che Akhyad l’aveva usato solo per minacciare - dice il pm, mostrando come Akhyad avesse voluto farsi disarmare - “perché con la volontà di fare solo una minaccia”.
Una tesi che sarebbe rafforzata dall’acquisto del coltello e, soprattutto, dallo scritto del diario. In più, il PM ha sottolineato che non ci fosse alcuna prova della volontà di Akhyad ad andare oltre alle minacce e quando Makka lo colpisce, non gli importa più nulla della questione del licenziamento, ma vuole punire Makka per il gesto fatto. Per questo motivo, ha ritenuto che all’imputata debbano essere riconosciute le attenuanti generiche, visto il buon comportamento durante il processo e la situazione difficile in cui ha vissuto, chiedendo una condanna alla pena di anni 7 di reclusione.

La difesa: il racconto degli avvenimenti
“Abbiamo una vittima e un aggressore. Non doveva succedere, ma è successo e indaghiamo perché è successo”.
Così inizia l’avvocato Massimiliano Sfolcini, descrivendo l’imputata come “vittima di un padre che voleva imporsi”, ma vittima anche della madre.
Il ruolo materno, infatti, è stato descritto come “devastante” nel coinvolgimento con il padre. Makka Sulaev viene descritta come una ragazza iper responsabilizzata, che dava i soldi del proprio lavoro, interveniva nei conflitti dei genitori e, soprattutto, mediava i rapporti familiari con le istituzioni e con l’esterno.
Partendo da questo, la difesa ha sviluppato la propria arringa attraverso quattro punti: il contesto famigliare, i fatti del primo marzo, il tema medico forense e l’analisi psichiatrico.
Elementi che mostrano come il primo marzo con i maltrattamenti non c’entri nulla, ma che tutto sia stato frutto del vissuto pregresso.
“Il pm parla di pericolo attuale e sostiene che non esisteva. Ha ragione - dice Sfolcini - esisteva un'offesa attuale: le botte, i pugni, la violenza attuale”.
Un quadro di estrema violenza e oppressione all'interno di una famiglia con traumi del passato in Cecenia e dall'isolamento a cui erano costretti in Italia.
La figura di Akhyad Sulaev emerge come un padre-padrone, mentre Natalia Petrova è una vittima succube.
Makka, invece, la figlia maggiore, si trova in una posizione insostenibile, caricata del peso della famiglia e desiderosa di libertà, ma intrappolata in un ciclo di violenza.
Comprendere il contesto da rifugiati e l’esperienza traumatica con le autorità in Cecenia è cruciale, secondo la difesa, per analizzare l'omessa denuncia, che viene presentata non come una mancanza, ma come una conseguenza logica delle dinamiche familiari e del passato.
Gli eventi del 1° marzo,invece, sono visti come un precipitare della situazione, innescato da nuovi fattori e culminato nell'intervento disperato di Makka a difesa della madre, sollevando la questione della legittima difesa e dell'adeguatezza della pena richiesta.
“I maltrattamenti non c’entrano nulla con il primo marzo, perché se il padre non avesse mai attuato i maltrattamenti non sarebbe mai successo nulla - dice l’avvocato Sfolcini - La realtà è che Makka esce di casa col fratello, esce perché la mamma la manda fuori a fare la spesa”.
Solo una volta finita la spesa, pensa di acquistare il coltello. Dopo rientra in casa e lo mette confezionato nell’armadio. Dopo completa il diario, che aveva iniziato a scrivere nel pomeriggio e che, per la difesa, non può essere prova di premeditazione: “È troppo comodo prendere questi foglietti e dire che rappresentano la prova ideologica della premeditazione. Quei quattro fogli sono un testamento emotivo di una ragazza di 18 anni che prefigura la propria morte”.
Dunque, una pena che, se fosse ergastolo, sarebbe ritenuta sproporzionata, soprattutto in base a tutti gli elementi elencati, che manifestano una legittima difesa, rafforzata dal comportamento delle persone in quella casa: “Nessuno dei familiari ha soccorso la vittima. Tutti temevano la vittima. La persona armata era Makka e tutti decidono di rifugiarsi con lei”.
In questo caso, il pericolo è di confondere la prevenzione con la premeditazione, prosegue Sfolcini, spiegando anche la collaborazione di Makka dopo il delitto.
Un rapporto di disponibilità che si è visto con i Carabinieri e durante il processo: “Non possiamo dimenticare l’integerrimo comportamento, non possiamo dimenticare le attenuanti, se decidere per la condanna. Non possiamo dimenticare l’azione difensiva di Makka, che parla di una giovane donna, maltrattata pesantemente, che è intervenuta in difesa della mamma”.
Makka ha diritto alle attenuanti a causa dei maltrattamenti subiti e in relazione a ciò che è successo il primo marzo, dice l’avvocato della ragazza, che chiede il minimo della pena, qualora venisse riscontrato il reato.
In caso di condanna la difesa chiede la revoca della misura cautelare.