Non si parla mai abbastanza di carcere, tranne che per le tragedie. I casi di cronaca su violenze, aggressioni, suicidi sono lo specchio delle condizioni dei luoghi di detenzione italiani al collasso e in difficoltà a effettuare lo scopo principale che dovrebbero avere: la riabilitazione sociale del detenuto e non la sua punizione. A "Podcast Domicilio" è intervenuto Bruno Mellano, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Regione Piemonte, che ha sottolineato i problemi del sistema e i punti più critici da risolvere.
Mellano ha innanzitutto spiegato di cosa si occupa la figura del Garante dei detenuti: il Garante può entrare in qualsiasi momento in carcere, senza comunicazioni o autorizzazioni preventive, come i parlamentari e i consiglieri regionali. In più, a differenza loro, può avere colloqui completamente riservati con i detenuti. Questo permette ai Garanti di avere una visuale completa sul sistema carcere italiano e da fungere da consulenza per la politica e le istituzioni.Secondo Mellano, visitando le carceri i problemi principali da risolvere sono innanzitutto due: lavoro e sanità. Nel primo caso, i detenuti chiedono di poter lavorare e fare percorsi di reinserimento, per il proprio futuro o per mantenere la famiglia ma anche per mantenere sé stessi in carcere. Al suo interno si possono infatti compare cibo integrativo o prodotti come sigarette e la qualità della vita può migliorare avendo a disposizione un guadagno. Per la questione sanitaria, invece, il problema è la carenza di cure adeguate verso persone che ne avrebbero bisogno. "La maggior parte di queste persone - ha spiegato Mellano - sono quelle che senza avere reddito, famiglia, lavoro o casa rimangono in carcere anche se la condanna non è così grave, ma non hanno alternative. Molte di queste hanno il primo impatto con il servizio sanitario in carcere, potrebbe essere un momento per rimettere in sesto il detenuto ma il servizio penitenziario fatica perché molti professionisti non vogliono andarci".
A fare da cartina tornasole per le condizioni delle carceri sono i suicidi che ci avvengono, in numero sempre crescente. "La questione dei suicidi in carcere - ha commentato - è di lampante evidenza: ogni anno il tasso di suicidi in carcere è molto più alto che fuori, non solo tra i detenuti ma anche tra il personale della polizia penitenziaria, che ha il tasso più alto di tutte le forze di polizia. Nel 2024 abbiamo avuto 89 suicidi di detenuti e 7 agenti a livello italiano, in un luogo di controllo per definizione e di persone in carico allo Stato".
La fragilità sociale è quella che caratterizza di più chi finisce in carcere e non riesce a uscirne, o ci rientra. Moltissimi stranieri, sì, ma non solo, e i numeri sono in diminuzione. Quello che contraddistingue chi è detenuto per reati minori è l'assenza di una rete sociale forte a sostegno. "La maggior parte dei detenuti non hanno una condanna definitiva e potrebbero usufruire delle misure alternative. Negli ultimi anni sono scesi i detenuti stranieri: tre anni fa erano il 34%, adesso 31,4%. In Piemonte oltre che Torino anche Ivrea, Vercelli, Biella sono sopra il 50% e anche il 60 o 70%, ma sono case circondariali quindi carceri dedicate a pene medio brevi, non definitive. A Saluzzo e Asti, che sono case di reclusione ad alta sicurezza, sono tutti nostri: mafia, ndrangheta, camorra, grande traffico internazionale di droga dove gli stranieri sono al 4%".
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