Attualità | 07 settembre 2025, 07:00

Tra fede e persecuzione: primi martiri e lapsi nell'Italia Nord-Occidentale (I–IV Secolo d.C.)

Tra fede e persecuzione: primi martiri e lapsi nell'Italia Nord-Occidentale (I–IV Secolo d.C.)

Nel cuore dell’Impero Romano, mentre il mondo si reggeva su legioni, templi e decreti imperiali, una nuova fede silenziosa prendeva forma nelle pieghe più intime della società. Il cristianesimo, nato in una provincia marginale, si diffuse come una corrente sotterranea che sfidava i valori del potere e del culto ufficiale. Le autorità reagirono con sospetto, temendo il rifiuto cristiano di sacrificare agli dèi e all’imperatore: ne scaturirono persecuzioni a fasi alterne, da Nerone a Diocleziano, in cui la morte diventava testimonianza. Così nacquero i martiri, uomini e donne che affrontarono il supplizio per non tradire la fede, e i lapsi, coloro che vacillarono, sacrificarono, rinnegarono, cercando poi redenzione. Anche le province nord-occidentali d’Italia — tra le montagne della Valle d’Aosta, i porti liguri, le strade consolari della Gallia Transpadana — furono toccate da questa tensione: piccoli gruppi di credenti si nascondevano, predicavano, cadevano, resistevano. La fede si radicava nel sangue, nel timore, nella speranza, lasciando tracce nei nomi, nei santuari, nelle tradizioni locali. In queste storie si riflette la fragilità e la forza di un’umanità in cammino verso il sacro.

Il contesto religioso e sociale nell'Italia nord-occidentale romana

Nel I secolo d.C., l’Italia nord-occidentale si presentava come un mosaico di territori sotto il saldo controllo romano: la Gallia Transpadana, la Liguria, le Alpes Cottiae formavano un quadrante strategico, attraversato da vie consolari come la Aemilia Scauri o la Julia Augusta, sorvegliato da guarnigioni e animato da commerci. Le città — da Augusta Taurinorum a Mediolanum — erano nodi vitali in una rete ben organizzata, dove la romanizzazione si intrecciava con antiche identità locali. I culti tradizionali, dominati dalla triade capitolina e dalle divinità domestiche, convivevano con le religioni misteriche e orientali: Mitra, Iside, Cibele, adorate nei santuari sotterranei e nelle case dei devoti. In questo paesaggio religioso fluido e cosmopolita si insinuò, senza clamore, il messaggio cristiano. Le prime comunità fiorirono lungo le rotte commerciali, spesso in ambienti urbani o tra militari e schiavi, ma le tracce restano frammentarie. Aosta e il Piemonte alpino vedevano transitare viaggiatori, soldati e funzionari; Mediolanum, centro imperiale e culturale, divenne presto crocevia di idee e conversioni; Genova, Savona e i porti della Costa Azzurra accolsero navi e parole nuove, in un Mediterraneo che non era solo mare di traffici, ma anche di speranze. La fede cristiana cresceva tra le pieghe del quotidiano, discreta ma tenace, in attesa del tempo della prova.

Le persecuzioni e le figure dei martiri

Il sangue dei martiri scivolò silenzioso sulla polvere delle strade romane, tra i sassi delle Alpi e i moli assolati dei porti liguri. Non fu mai un’ecatombe continua, ma un fuoco intermittente, che ardeva d’improvviso — sotto Decio, Valeriano, Diocleziano — e lasciava dietro di sé corpi spezzati e comunità segnate per sempre. Gli editti imperiali non miravano solo a spegnere una fede nascente: volevano piegare le coscienze, imporre un ordine assoluto. I cristiani dovevano scegliere: sacrificare agli dèi o affrontare la catena, il fuoco, la spada. E molti, con una forza che sfida ogni logica terrena, scelsero il martirio.

Nel Piemonte e in Valle d’Aosta, la persecuzione fu forse episodica, ma la memoria si fece pietra e leggenda. La storia dei santi Solutore, Avventore e Ottavio, soldati della Legione Tebea, narra di una fuga disperata e di una morte crudele ai piedi delle Alpi. Torino ne fece i suoi protettori, ne custodì le reliquie, li celebrò come fratelli d’armi di san Maurizio, anch’egli martire della medesima legione. Così anche san Besso, inseguito fino ai ghiacci sopra Cogne, morì solo ma non dimenticato: ogni agosto, le voci dei pellegrini riecheggiano la sua fede tra i silenzi delle montagne.

Ad Asti, un giovane di nome Secondo — nobile, forse soldato — fu decapitato, si dice, sotto Adriano. Vero o no, la città gli diede il cuore. A Vercelli, il ricordo di san Vittore si mescolò alla figura di sant’Eusebio, che volle raccogliere i resti dei martiri come semi di un futuro riscatto. A Tortona, Marciano, forse primo vescovo, affrontò la morte per Cristo tra i fumi dell’incertezza storica e la luce di una venerazione secolare.

Più a sud, in Liguria, i nomi si perdono tra onde e leggende: san Paragorio a Noli, vittima e testimone; san Vincenzo, san Fortunato, san Faustino, ricordati solo da antichi martirologi, come volti impressi su sabbia. Genova li custodisce nei suoi anfratti di pietra e silenzio. A Monaco, la barca di Devota approdò come un grido di speranza: giovane, martire, naufragata, divenne patrona di un intero popolo. E a Cimiez, sulle alture di Nizza, Nazario, Donato e i loro compagni morirono lasciando tracce nelle epigrafi, tra le prime chiese e i sepolcri silenziosi.

A Varese, terra di frontiera e di silenzi montani, il culto dei martiri fiorì come segno di resistenza e speranza. San Vittore, detto “il Moro” per la pelle scura, fu venerato come colonna spirituale della città: soldato cristiano, forse della Legione Tebea, affrontò la morte sotto Massimiano. La sua figura, celebrata già nel V secolo, divenne il cuore pulsante della fede varesina. E intorno, da Castelseprio a Mesenzana, ogni chiesa intitolata a san Maurizio o a san Martino sembrava custodire il ricordo di quei soldati fuggiaschi, braccati tra i sentieri dell’Insubria, dove ogni anfratto poteva essere l’ultima preghiera. A Milano, intanto, Sant’Ambrogio raccoglieva queste memorie e le trasformava in liturgia: nei suoi scritti, i martiri non erano solo vittime, ma testimoni eterni.

Non tutti morirono. Alcuni, i confessores, sopravvissero alle torture: muti, segnati, ma invitti. Le loro cicatrici diventarono reliquie viventi, testimoni di una fede che non aveva bisogno di parole. Così, tra i racconti leggendari e le ombre della storia, i martiri furono la radice viva di un’identità nuova. Morirono da soli, ma non furono mai soli: le loro storie attraversarono i secoli come fiammelle nella notte, accese dal coraggio e custodite dalla memoria.

Il fenomeno dei lapsi

Nel buio delle persecuzioni, non tutti ressero il peso dell’orrore. I lapsi erano i caduti: cristiani che, per paura o disperazione, rinnegarono la fede. Alcuni offrirono incenso agli dèi (thurificati), altri compirono veri sacrifici (sacrificati), altri ancora ottennero con denaro un libello falso attestante il sacrificio (libellatici) o consegnarono le Scritture (traditores).

Le comunità si spaccarono: chi li voleva riaccolti con misericordia, chi li escludeva in nome della purezza. Il dibattito fu acceso, a tratti lacerante. A Milano, a Vercelli, forse anche a Genova, i vescovi dovettero scegliere tra rigore e perdono. Il Novazianismo, rigido e inflessibile, accusava la Chiesa di tradire la memoria dei martiri. Ma proprio quei martiri, veri o ricordati, furono specchi severi per chi era scivolato: simboli di una fede incrollabile, di fronte alla quale ogni cedimento appariva colpa insanabile.

Eppure, il ritorno dei lapsi fu spesso anche il segno di un’umanità ferita che cercava redenzione.

L'eredità di martiri e lapsi

Nelle terre aspre del Nord-Ovest romano, la memoria dei martiri si radicò come pietra viva: le loro tombe divennero santuari, le loro storie nutrirono la fede nascente. Da Torino ad Asti, da Varese a Genova, il culto fiorì accanto alle prime basiliche, segnando il paesaggio e l’anima delle comunità. Le persecuzioni, sebbene spesso episodiche, lasciarono un’eredità profonda: plasmarono un’identità cristiana salda, capace di resistere e organizzarsi, di generare diocesi attorno alla memoria del sangue versato. Anche i lapsi, con la loro colpa e la loro richiesta di perdono, contribuirono a formare una Chiesa più consapevole della propria fragilità e della forza del perdono. Le fonti, spesso tarde o agiografiche, ci chiedono cautela; ma la traccia che martiri e lapsi hanno lasciato è reale, viva ancora oggi nei riti, nei toponimi, nella pietà popolare. È l’eredità di una fede che ha conosciuto il fuoco e, senza spegnersi, ha imparato a brillare.

Con radici profonde come quelle dei primi cristiani, il nostro editore è presente a Torino, Aosta, Asti, Varese, Genova, Savona e Nizza: là dove la storia ha lasciato tracce indelebili, noi continuiamo a raccontarla.

Valeria Toscano

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