“Buongiorno Avvocato,
sono un agricoltore e tra i terreni che coltivo ce n'è uno, che già mio padre prima di me coltivava quando ero piccolo, che a catasto non risulta intestato a mio padre o me ma a un'altra persona, che però se ne disinteressava da decenni. Io lo coltivo da oltre trent'anni.
Mi è arrivata ora a casa la lettera di un tale, che dichiara essere erede di quella persona che risulta proprietaria del terreno a catasto. Questo signore dice che il terreno è di sua proprietà, pretende degli affitti per averlo noi usato fino a oggi e dice che non possiamo dire di averlo usucapito perché il nostro uso del terreno era da intendersi solo tollerato. Come posso difendermi?”
Gentile lettore,
capita a volte in relazione a immobili, specie terreni rimasti incolti, che non si sappia a chi appartengano esattamente, magari a causa di vicende successorie complicate o perché i proprietari si sono trasferiti altrove e non si sa più nulla di loro.
Capita talvolta in queste situazioni che, senza nascondersi e magari anche in buona fede, qualcun altro, in genere un proprietario di un fondo limitrofo, inizi a fare uso di questi immobili rimasti abbandonati come se fossero propri.
In simili casi diviene applicabile l'istituto dell'usucapione.
Secondo l'art. 1158 cc, che disciplina appunto l'usucapione, "la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni".
In particolare, i requisiti per l'usucapione della proprietà sono due, uno oggettivo e l'altro soggettivo.
Il requisito oggettivo, sovente indicato con il termine latino "corpus", consiste nell'esercizio sopra l'immobile di un potere di fatto corrispondente a quello di un proprietario, in modo continuato, ininterrotto, pacifico e pubblico per oltre venti anni. Non è invece requisito necessario che il possessore sia in buona fede, ma unicamente che egli eserciti il suo possesso in maniera non violenta e non occulta, bensì apertamente alla luce del sole e senza contestazioni.
Il requisito soggettivo, in latino indicato come "animus possidendi", consiste nella volontà del possessore di atteggiarsi e agire come se fosse il proprietario dell'immobile.
Nel suo caso, caro lettore, mi pare evidente, da quel che lei mi scrive, come sussista il requisito oggettivo, in quanto da più di vent'anni lei e suo padre prima di lei utilizzate il terreno come se foste proprietari.
Il requisito soggettivo può invece far sorgere questioni maggiori, in quanto è da sempre difficile dare la prova di un elemento psicologico, qual è la volontà della persona di agire come proprietario.
La giurisprudenza più recente, tuttavia, tende a rendere molto più agevole questa prova.
E' stato infatti affermato dalla Suprema Corte di Cassazione che "chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus, ma anche dell'animus; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente desumersi in via presuntiva dal corpus, se vi sia stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà e, in tal caso, sul convenuto grava l'onere di dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore, mediante un titolo che gli conferiva un diritto soltanto personale" (Cass. 27 settembre 2017, n. 22667).
Nello stesso senso la Corte di Cassazione ha anche affermato che "in tema di usucapione, dalla presunzione discendente dall'art. 1141, co. 1, c.c. deriva un'inversione dell'onere probatorio in punto animus possidendi, talché non spetta al possessore dimostrare l'esistenza di tale elemento soggettivo, ma alla parte che si opponga all'avvenuta maturazione dell'usucapione dimostrarne la mancanza" (Cass. 22 agosto 2022, n. 25095).
Quindi, in realtà, ai fini di dimostrare in giudizio l'usucapione è sufficiente dimostrare di avere oggettivamente posseduto il bene in modo continuativo e pacifico per oltre vent'anni, come se si fosse un proprietario. Ciò è normalmente possibile tramite testimoni o con documenti che provano il compimento di atti che solo un proprietario può compiere.
Offerta questa prova sul profilo oggettivo, la volontà di possedere come proprietario è considerata dalla giurisprudenza automatica. Sarà chi si oppone all'usucapione a dovere dimostrare che vi era un'eventuale diversa ragione in forza della quale il possesso era esercitato.
In conclusione, non mi pare che chi le ha scritto possa avanzare domande nei suoi confronti dichiarando semplicemente di avere tollerato il possesso suo e di suo padre, ma dovrà provare le sue richieste in giudizio in modo molto più analitico.
Il consiglio che posso darle è dunque quello di rivolgersi a un legale di sua fiducia, che possa rispondere alla sua controparte evidenziando l'avvenuta usucapione e la conseguente non debenza di importi a titolo di affitto o ad altro qualsivoglia titolo nonché, se del caso, introdurre un giudizio per fare ivi accertare il verificarsi dell'usucapione in suo favore.