Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Beautiful Things, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify
Volevo intervistare Simone Coppo da tempo. Attore, 33 anni, cresciuto tra Asti, Refrancore e il Brasile, raccoglie successi a livello nazionale e internazionale. Facciamo una lunga chiacchierata telefonica, come se ci si conoscesse già da un po'.
Simone, so che vivi a Roma, ma come definiresti il tuo rapporto con l'Astigiano?
Esatto, vivo a Roma, ma il mio rapporto con l'Astigiano è molto sentito. Sono legato sia alla città che alla parte collinare, a quel sistema cardiovascolare che collega le nostre splendide colline alla città. Una diramazione di vene di cui Asti è il cuore pulsante. Di vino, buono, ne scorre parecchio lì, più che di sangue (ride, ndr). Ad Asti ci sono nato, anche se stavo per farlo in Brasile.
Dove sei cresciuto?
Sono cresciuto a Refrancore nei primi anni d'infanzia. Un paese con cui ho un rapporto molto forte (la piazza, il bosco, le colline, il ricordo di quando, da piccoli, si andava a rubare l'uva dai vigneti), poi sono ritornato in Brasile dove ho vissuto alcuni anni. Lì ho frequentato le scuole e sono tornato ad Asti per il liceo, scoprendo Asti più nella fase adolescenziale. A 18 anni sono andato a Milano, alla scuola di teatro Paolo Grassi, per poi spostarmi a Roma. Dietro tutto questo una quarantina di traslochi.
Come vedi Asti, intesa come città?
Vedo un territorio che ha molte potenzialità e che, ad esempio, grazie a questo progetto, "Orgoglio Astigiano", vengono finalmente valorizzate. Storie bellissime, che vanno raccontate e che esemplificano l'enorme potenziale che Asti ha e che si potrebbe esprimere con maggior forza. Abbiamo ricchezze strabilianti, ma si avverte un forte bisogno di saperle raccontare. Nell'Astigiano c'è una gentilezza burbera, autentica e sincera, ma non è detto che tutte le persone, che arrivano da altre parti, lo sappiano. La capacità di raccontarsi appartiene al territorio a livello storico ed è fondamentale recuperarla: bisognerebbe riprendere un bel respiro di leggerezza.
Come è nata la passione che oggi è un po' tutta la tua vita?
Domandone, Elisabetta (ride, ndr). Cerco di fare vendemmia veloce e di tirarti fuori un bicchiere. Credo che sia partito tutto dal mio primo respiro. Da sempre mi incuriosiscono le storie, l'essere umano e la sua meravigliosa contraddizione. Ho sempre sentito l'urgenza di raccontarlo in più forme espressive. Appartenevo a un ambiente lontano dal mondo della recitazione. La mia passione non è stata attaccata da nessuna forma di emulazione, ma è stata declinata nella ricerca collegata all'osservazione di quello che mi stava attorno. Non ho mai vissuto una forma di innamoramento del mezzo, bensì un interessamento rispetto al fine: le persone, ciò che vive la società, le ingiustizie che vedevo attorno a me e che volevo combattere a colpi d'arte.
Cosa succede a questo punto della storia?
Succede che da Refrancore provo a fare i provini alla Paolo Grassi. Non c'era nessuno attorno a me che avesse fatto questo percorso, ai tempi ero un folle per le persone. Ad Asti, nello specifico, non c'era attenzione alla cultura come mestiere, è sorta molto nell'ultimo periodo, anche grazie ai social. Al liceo ero visto come un 'eretico', mi faceva sorridere perché stavo già guardando la cosa con gli occhi di oggi. Ad Asti non c'era ancora nessuno ad aver fatto la scuola di arte drammatica, ma da quel momento ci sono stati poi vari tentativi di approccio professionale, anche solo tramite provini. Si è creato così un filone di possibilità, che tornando negli anni ad Asti ho potuto ammirare. Avevo dato vita a un precedente: ora qualcuno ci provava. È bello che ci sia stato questo arricchimento e una città come Asti che ha e ha avuto artisti strabilianti si può e si deve far fregio di questa caratteristica: del suo essere poliedrica.
Il tuo personale rapporto con i personaggi?
Il mio rapporto con i personaggi è molto simile a quello che si ha con degli amici, amanti, fidanzati e nemici. In ogni caso con le persone. I rapporti cambiano durante l'arco della vita, ma questo non svaluta la loro importanza. Alcuni personaggi restano dei grandi amori che ti porti avanti tutta la vita, o hanno dei bellissimi momenti, o magari ritornano. Sono sempre dei sentieri che parlano, è come scoprire tutti i lati del prisma del proprio animo. Quando inizi a farlo da tanti anni professionalmente (lo faccio da quando ho 18 anni, è quasi metà della mia vita che mi dedico a questo) e ogni volta incontri aspetti diversi del tuo animo che vai a ricercare, è gratificante. Puoi trovare parti di te anche in cose apparentemente lontane, ma che eppure hanno risonanze con te stesso.
Quelli che ti hanno particolarmente segnato?
Rispetto ai personaggi fondamentali della mia vita sicuramente interpretare Fellini in "Fellini Forward". È stato un grande amore e lo rimarrà, per molte ragioni, anche molto personali. E poi il ruolo di Angelo all'interno della serie "The Restaurant". L'abbiamo girata in Svezia per due anni, in svedese. È stata un'esperienza segnante anche per il progetto in sé. Un personaggio è come un magnete, è un vettore. I personaggi sono tanti segnalibri di un libro che fanno tutti parte della storia e tratto ogni capitolo allo stesso modo. Un'altra bellissima esperienza è stata girare un mese a Stromboli, o in alta quota dentro tormente di neve.
Un aneddoto curioso del tuo percorso professionale?
Quando ho rischiato l'espulsione, durante l'esame di diploma alla Grassi. Alla domanda d'uscita, in cui mi hanno chiesto cosa fosse la recitazione, ho risposto a modo mio. “La recitazione è come il sesso: o lo fai e non ne parli o ne parli e non lo fai”. Parlare della recitazione è esattamente questo per me.
Un consiglio ai ragazzi alla ricerca della propria strada, magari non così convenzionale, proprio come il tuo percorso?
Non darei un consiglio, perché, nel mio caso, mi era chiaro fin dall'inizio che stessi facendo un percorso fortemente individuale e caratteristico. Sarebbe come consigliare una ragazza con cui fidanzarsi. Però posso dire qualcosa, posso dare un parere: più che dire con chi fidanzarsi, potrei dire qualcosa sulla relazione, ovveri essere sinceri con se stessi, gentilmente spietati con se stessi. Capire se effettivamente si vuole fare quella cosa e perché. Perché si vuole fare quel percorso e darsi la propria risposta, per quanto meravigliosa o brutale possa essere, ma chiarire tutti i punti a se stessi. Ho fatto diversi workshop ad Asti, fino a un mese fa, che si chiamano “Presente”: laboratori di recitazione a cui hanno preso parte tanti giovani astigiani interessati a fare questo percorso. Nel giro di poco hanno ottenuto risultati pazzeschi su di loro, abbiamo lavorato in maniera immersiva e sartoriale con ogni partecipante. Questo anche perché c'è come uno scarto di sguardo tra il guardare il proprio percorso prima e farlo dopo, quando si è più puri e sinceri. È il perchè che veicola quella scelta: non interpreto l'attore, interpreto le persone che mi stanno attorno (camerieri, operai, principi, re, guerrieri, marinai...). Dico sempre di immaginare una vita in cui tutto è meraviglioso. Se tutto fosse meraviglioso, se avessi tutti i soldi del mondo, la stima di tutti, cosa vorresti comunque fare quando ti svegli la mattina? Se ti resta la voglio recitare, anche se fossi il più famoso del pianeta, allora vai a scuola e inizia. Perché quella è la tua strada. Ci sono sempre così tanti motivi per innamorarsi di quelle storie. Basta guardare tra le crepe.
Il tuo momento più buio, a proposito di crepe?
Mi ritengo molto fortunato. Forse il dono più grande che ho è che tutti i momenti difficili li considero come periodi di semina, quelli più fertili in assoluto. Da quando sono bambino, non riesco a non ringraziare i momenti difficili. Se ci sono stati, forse non me n'ero accorto perché ci stavo scrivendo sopra un film o una canzone. Non fanno in tempo a sedimentarsi in me che sono già diventati bellezza. Altrimenti resta sfortuna, ma non te ne fai nulla della sfortuna: è un'occasione sprecata il dolore che resta dolore. Se col dolore ci fai arte lo stai usando bene.
Di kintsugi, di crepe e di colate d'oro
Quando Simone mi dice queste cose mi viene la pelle d'oca. Gli dico che la penso allo stesso modo e che è un po' la filosofia dei giapponesi, del kintsugi. Dare nuova vita a oggetti danneggiati: mettere oro nelle crepe. Valorizzarli quei tagli, quelle ferite che ti porti dentro, accettando che faranno sempre parte di te, ma che avranno una bellezza speciale. Quelle crepe saranno uniche. E da quelle ferite non potranno che nascere cose belle, "farfalle libere" direbbe Alda Merini. Affrontare la vita a colpi di bellezza, di arte, di umanità, partendo dal dolore, facendone tesoro, permettendogli di insegnarci quel tanto che basta da lasciarlo andare. Come un ospite in casa: trascorso quel po' di tempo, è giusto che non si trattenga oltre.
A proposito di dolore, cosa ti porti dentro dalla tua esperienza in Brasile?
Mi porto dentro tutto. In particolare il rapporto con il dolore, con la sofferenza, con la morte, che in Brasile è alleggerito rispetto all'Occidente. È un rapporto vitale: del Brasile si possono guardare le maracas e il carnevale, ma è una visione bidimensionale. Se si pensa che quelle cose hanno una base di dolore, di povertà e di sofferenza immane è pazzesco. In Brasile ci sono condizioni complesse, la vita è difficile, ma nonostante questo ci balli sopra a ritmo di samba e credo che sia la cosa più importante che è entrata dentro di me da bambino, come camminare e respirare. Tenere vicina la morte, come una compagna amica e spronante, non rendere strana questa dicotomia vita-morte, non mettere a tacere il dolore con antidolorifici umani: questo è ciò che mi lascia il Brasile. Ci sono tragedie continue, ognuno vive le sue, però fanno parte del percorso e questo credo che sia quella gioia e quel ritmo frizzantino di risposta a tutta quella notte, a tutto quel nero.
Cosa bolle in pentola? Quello che si può dire, ovviamente...
Ho finito di girare una serie con la regia di Daniele Lucchetti, che si chiama “Prima di noi”. Dopodiché ho terminato adesso di girare un altro progetto top secret. E poi, in pentola ci sono diversi progetti, ma non si può dire nulla! Acqua in bocca!
Chi è Simone Coppo
Simone Coppo immediatamente dopo aver conseguito la maturità classica, affronta e supera con successo le selezioni per entrare nel corso attori della “Scuola d’arte Drammatica Paolo Grassi“, conseguendo il diploma d’attore nel 2013.
Nel 2011, durante il primo anno di accademia, abbraccia il palco portando in scena lo spettacolo “Novecento”, diretto e interpretato da lui stesso.
Nel 2013 completa l’esperienza in Paolo Grassi con “Risveglio di Primavera”, regia di Gianpiero Solari.
La settimana dopo essersi diplomato, è sul set del film “Io Rom Romantica”, prodotto dalla Wildside, in cui interpreta un giovane gitano di nome Elvis.
E’ poi in scena con lo spettacolo “La Puta Vida”, regia di Pablo Solari.
Nel 2014 viene scelto come protagonista di serie nella fiction per Rai 1 “Una grande famiglia” nel ruolo di Jamal.
Lo stesso anno inventa la Festa d’Arte “Popolè”, un connubio “giovane, autoriale e popolare” di Teatro, Musica, Arte visiva e buona Ristorazione, di cui ne è Direttore Artistico e Organizzativo.
E’ sul palco con “La Peggio Classe” scritto e diretto da i Biondi (gruppo comico fondato da Simone insieme ai suoi compagni di accademia) & Paola Galassi, lo spettacolo è rappresentato per la prima volta a Zelig.
Nel 2015 calca il palco con “La Tempesta” regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, al Teatro Elfo di Milano, e “Storia di Qu”, ultimo testo scritto da Dario Fo insieme a Franca Rame, con la regia di Dario Fo e Massimo Navone, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano.
Nel 2016 è sui grandi palchi lirici con “Midsummer Night’s Dream” regia di Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, opera recitata interamente in lingua inglese nella quale Simone interpreta Puck.
Nel 2017 viene scelto per interpretare il ruolo protagonista di Angelo, un giovane sognatore italiano che da Catania emigra a Stoccolma, all’interno della serie internazionale di successo “The Restaurant” ( “Vår tid är nu”) , progetto prodotto in Svezia, recitato in svedese e distribuito a livello globale.
Intanto porta in scena in Italia la sua opera teatrale “La macchina del vento”.
Dopo il primo anno da pendolare tra Roma ed il set scandinavo, comincia il secondo nel 2018 venendo confermato come protagonista della terza stagione di “The Restaurant”.
Recita nella commedia plautina “Mostellaria”, regia di Nicasio Anzelmo, in scena al Teatro Greco di Segesta.
Nel 2019 viene chiamato da Ildikò Enyedi, vincitrice dell’Orso d’Oro a Berlino nel 2017, per interpretare il ruolo di Ridolfi, giovane amante di Lizzy, intrepretata da Léa Seydoux, nel film “The story of my wife”, presentato al Festival di Cannes.
E’ scelto da Derek Cianfrance (Blue Valentine, Come un tuono, La luce sugli oceani) per girare a New York il ruolo di Vincenzo Tempesta nella serie HBO “I know this much is true”, di cui Mark Ruffalo è protagonista e produttore.
Nel 2020 durante il lockdown globale vola all’estero per interpretare il ruolo di Marco nel “Giro del Mondo in 80 giorni” , serie prodotta da BBC con protagonista David Tennant e con la regia di Steve Barron, distribuita in tutto il mondo, certamente per più di 80 giorni.
Il 2021 è l’anno in cui viene scelto per interpretare il giovane Federico Fellini, protagonista di “Fellini Forward” , presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.
Lo stesso anno interpreta Romeo nello spettacolo shakesperiano “Romeo e Giulietta” al Teatro Greco di Segesta. Giulietta è interpretata da Eleonora De Luca.
Successivamente è sul set di “Game of love” , film prodotto dalla Lotus, con protagonista Bella Thorne. Interpreta Tony e per l’occasione scrive, compone e canta la canzone “Brucianotte”, interpretata proprio dal suo personaggio durante il film.
Appena terminate le riprese si reca nelle isole Eolie per interpretare Luigi in “Stromboli”, film per Netflix dal cast internazionale con la regia di Michiel Van Erp.
Nel 2022 interpreta Zaina, tiratore scelto, protagonista nel film “La Seconda Via” di Alessandro Garilli, la prima opera cinematografica a raccontare la campagna degli alpini sul fronte russo nel 1943.
Nel 2023 partecipa alla serie “Prima di Noi” regia di Daniele Luchetti.
Simone, nel mentre, continua ad imparare.