Ciò che vi è di più profondo nell’uomo è la pelle
Paul Valéry, L'idea fissa
Con un gioco illusionistico tipico di un poeta simbolista, Paul Valéry ha trasformato il banale. Ha trasfigurato e traslato, relazionato e trasvalutato un'idea tanto semplice quanto efficace: la pelle è la nostra barriera, porosa certamente, inscalfibile mai; il nostro tessuto difensivo, la nostra linea di demarcazione, il controllo stabile che permette la separazione tra il dentro e il fuori, tra ciò che è intimo e ciò che non lo, tra ciò che è mio e ciò che è tuo. La pelle subisce le abrasioni: è il suo ruolo di guardiano, di protettore di ciò che conta, degli organi interni che sono, immancabilmente, vitali. La pelle è una tela, una superficie da dipingere, da incidere di segni e di simboli. È il foglio bianco sul quale scrivere e riversare le nostre défaillance, le nostre debolezze. La pelle è la carne della distanza, del contatto freddo tra due esterni. E così, di fatto, la pelle è stata intesa: un sacco protettivo a vegliare sull'interiorità. A vegliare su ciò che conta.
È all'interno di questa linea che si incunea, spezzando dall'interno tale circolo, la provocazione evocativa di Valéry. Un semplice pensiero: siamo sicuri che la pelle sia davvero questa "muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia" (Montale, Meriggiare pallido e assorto)? È davvero il contatto tra le nostre pelli un cozzare d'esterni? Cosa fa le pelle?
Si fa schermo. E come tale mostra e scherma: mostra, attraverso i movimenti dei muscoli ben protetti dallo schermo, le nostre espressioni; scherma, attraverso i movimenti dei muscoli ben protetti dallo schermo, le nostre espressioni. Mostra e scherma quello che siamo. Mostra e scherma proprio quella intimità che proteggiamo gelosamente - e giustamente. Mostra e scherma il nostro mostrare e schermare quella intimità che proteggiamo gelosamente - e giustamente. Ripete. Ma non dopo. Non è temporalmente seconda al nostro sentire: la pelle è la forma del nostro sentire. Tra interiorità ed esteriorità non c'è dualismo; vi è dualità, questo sì. È vero: l'intimo non è l'esterno. Il mio dolore resta sempre quel mistero incomprensibile, pur divenendo pubblico su quello schermo particolare che è la pelle. Ma ciò non toglie che l'uno non sia l'altro: il mio dolore resta sempre quell'espressione visibile, pur restando secretata alle spalle di quello schermo particolare che la pelle è.
Ciò che è comunica con ciò che non è; si scambiano di posto, si sostituiscono. Crescono insieme e si allontanano per poi riunirsi. La pelle è la continuità, discontinua, di ciò che afferma e che è pienamente positiva; è la discontinuità, continua, di ciò che fa del negativo, del non, la ragione di più. Positivo e negativo: immanenza e trascendenza. La pelle rovescia le coppie, le riunisce e le risepara. Perché basta un tocco, un contatto: di una pelle mi posso innamorare; di una pelle mi posso spaventare.