Cos'è il Palio? Il Palio non è di sicuro una rievocazione storica, e non è nemmeno una corsa di cavalli. Il Palio è tante cose, tante altre cose. Una di queste, forse la più intensa, è quella passeggiata col drappo appena vinto: dalla terra della piazza al balcone del Municipio, e poi via, lungo la strada verso la chiesa, verso quelle vie del tuo borgo che attraversi ogni giorno e che, in quell’istante sospeso tra il giorno e la sera, ti sembrano così diverse, così straordinariamente belle rispetto alla normalità.
Il Palio è quando arrivi tra il sudore e la bocca impastata di polvere, dopo aver combattuto, e senti le campane della tua chiesa che suonano. È vedere la tua gente che ti aspetta sulla balconata e applaude, applaude perché hai vinto. È questo che il popolo gialloblù del Don Bosco ha provato ieri, quando Giovanni Atzeni ha riportato il Palio in borgo, attraversando quelle strade cariche di attesa e di emozione.
Il cronista ha la fortuna di vivere in quel borgo, pur se il cuore batte altrove per altri colori. Ma conosce quelle strade e quelle persone che incontra ogni giorno, eppure in quel tempo sospeso del Palio sono diverse: diventano come cellule di un organismo unico, con tutti i sensi in festa.
Il Palio è quella chiesa colma di gente, la tua chiesa, dove magari ti sei sposato o hai battezzato i tuoi figli. Eppure così piena non l’avevi mai vista: bambini in braccio e nei passeggini, mamme in attesa, ragazzi, adulti, anziani, tutti insieme a cantare, a piangere, a fondersi in un’unica voce.
Per Don Bosco il Palio mancava da troppi anni. L’ultima volta che il sendallo era salito lungo corso Dante era il 1996, in un’edizione indimenticabile e folle, vinta da Bucefalo con Bluebecker, quando già i lampioni di piazza Alfieri illuminavano il crepuscolo. Era un Palio d’autunno, un Palio tardosettembrino. Questo, invece, è un Palio d’estate. Ma ventinove anni sono lunghi, troppo lunghi.
In ventinove anni una persona cresce, va a scuola, si innamora, magari si sposa e mette al mondo figli. E Don Bosco ha perso ventotto Palii: ventotto anni di delusioni, di frustrazioni, di speranze spezzate. Ma non ha smesso di crederci. Per testardaggine, per fede. Dopo otto anni di scelte difficili, di strategie che avrebbero potuto suggerire altri sentieri, Don Bosco ha resistito. E ieri sera è arrivato il momento della passeggiata con il drappo, l’ingresso trionfale in chiesa.
Forse il Palio sono le parole del rettore, Massimiliano Stella, quando dice che "per il popolo del Don Bosco il 7 settembre resterà la giornata che tutti ricorderanno per tutta la loro vita". Ricorderanno la colazione, il pranzo, l’ora in cui sono entrati nel catino, l’attimo in cui hanno visto la corsa in televisione, e soprattutto l’ingresso in quella chiesa per festeggiare.
Ecco cos’è il Palio. Non una rievocazione storica, non una corsa di cavalli. È il pianto di un popolo, dai bambini agli anziani, unito in un unico respiro. È una gioia incontenibile che esplode dopo ventotto anni. È lo sguardo di chi conosci e abbracci ogni giorno, e che in quel momento ti permette di domandare solo una cosa: "quanto è bello vincere?". Perché anche tu, un giorno, hai vinto.
Perché sei uomo di Palio e sai cosa significa quell’orgasmo che ti penetra la pelle quando il sendallo torna a casa.
Sai cosa vuol dire percorrere quei passi che, dalla terra di piazza Alfieri, ti portano fino alle strade del tuo borgo.