“Voi giornalisti dovete farci parlare, farci raccontare il nostro dramma. C’è un giovane collega di Milano, che aveva da poco aperto il suo salone, che qualche giorno fa ha minacciato di ammazzarsi perché ora è pieno fino al collo di debiti a cui lo stato ha tolto il suo sogno!”
Si coglie un mix di sconforto e di rabbia nelle parole di Francesca Bufalino, parrucchiera astigiana che l’11 aprile scorso aveva alzato le serrande del suo salone ‘La Fenice’ in segno di protesta per il persistente blocco del lavoro imposto dalle misure di contenimento del coronavirus. Limitazioni che, per quanto riguarda la sua categoria professionale, permarranno almeno fino ai primi di giugno con ovvie gravissime conseguenze dal punto di vista economico.
LO STATO MI HA CALPESTATA
“Io non dormo più la notte – ci ha detto – . Ho aperto questo mio negozio, chiamandolo ‘La Fenice’ perché pensavo di rinascere dalle ceneri di una brutta esperienza professionale precedente, dopo aver lavorato per tre anni in un salone gestito da cinesi che mi dicevano ‘Sei in Italia ma questa è terra cinese, quindi fai quello che dico io’. Io ho fatto tanti sacrifici per questo mio negozio, perché non volevo farmi calpestare dai cinesi e mi ha calpestato l’Italia! Sono stata calpestata a casa mia! Ogni tanto mi vengono i cinque minuti e vorrei mettermi sul balcone a urlare tutta la mai rabbia! Altro che Fratelli d’Italia, urlerei l’inno della morte”.
TANTE SPESE E NESSUNA GARANZIA
“Consideri che io, tra l’affitto del negozio e quello di casa, pago oltre 700 euro al mese e mettiamoci anche le bollette, tenendo conto che ci sono anche quelle di mesi in cui avevo il riscaldamento acceso - ci ha spiegato - . In sostanza, non so quando ripartirò, in che condizioni, quanto lavoro avrò… Non so niente. Certo, tante clienti mi chiamano o mi messaggiano perché sanno come lavoro, si fidano di me e mi chiedono quando riaprirò. Ma che garanzie ho che lavorerò ancora come prima?"
"Devo tener conto del danno causato dalla concorrenza sleale di chi lavora ‘in nero’ a casa delle clienti. Su quel punto, le clienti dovrebbero anche tenere conto che facendo tagli e colore a casa, senza le necessarie norme di sicurezza, rischiano di infettarsi, mentre in un negozio hanno la sicurezza di non rischiare nulla”
PRONTI A LAVORARE GARANTENDO PIENA SICUREZZA
“Parrucchieri, estetisti e barbieri hanno già una base di conoscenze igieniche. Non siamo sprovveduti che si debbono attrezzare dall’oggi al domani. Noi, già oggi, possiamo garantire tutta la sicurezza possibile. Abbiamo guanti, abbiamo i gel… non vedo ragione per cui farci ritardare ulteriormente le aperture” afferma ancora Francesca.
“Noi lavoriamo costantemente alle spalle della cliente. Loro entrano, si disinfettano le mani, vengono a fare il lavaggio della testa e io sono sempre alle loro spalle fino alla fine. Logico che dobbiamo ‘insegnare’ alle clienti che non dobbiamo stare troppo vicino e parlarci frontalmente, ma mica siamo dei bambini dell’asilo: se ci vengono date delle indicazioni su come operare in sicurezza, le adotteremo. Tenga conto che le spazzole sono conservate sottovuoto, ci sono spray per disinfettarle, per le forbici c’è lo sterilizzatore a quarzo, i pettini si possono mettere a bagno nell’Amuchina… tutte cose che prima magari facevamo ogni sera o ogni due sere, possiamo farlo dopo aver lavorato su ogni cliente”.
PASSATO, PRESENTE E IL FUTURO (INCERTO)
“Dopo la mia protesta non mi ha chiamato praticamente nessuno e le associazioni di categoria non ci tutelano a sufficienza - lamenta Francesca -. Accolgono tutte le nostre proteste, ma di fatto non ci fanno ottenere nulla. Io penso che se lo Stato avesse bloccato tutto, anche affitti e bollette, tutti avremmo rispettato le limitazioni a fronte di meno contagi e la gente sarebbe stata molto meno incavolata”.
“Consideri che io i 600 euro dell’INPS non li ho ancora visti. Inizialmente ho mangiato grazie ai miei figli che mi hanno fatto spesa e al supporto dei miei anziani genitori, ora tiro avanti grazie ai buoni del Comune. Ho anche pensato di incatenarmi davanti al mio negozio, volevo far sentire la mai voce, ma poi ho desistito perché temo tanto non sarebbe cambiato comunque nulla”.
“Non so davvero se ci arriveremo al 2 giugno (data indicativa di possibile 'ripartenza' per la categoria, ndr.), perché tenere chiuso per mesi un negozio comporta dover gestire un sacco di spese vive: non le parlo di tasse, ma di affitti e bollette. Io sono ‘fortunata’ a non aver dipendenti, ma chi li ha deve tener conto anche dei loro stipendi. Quando ho chiuso, avevo in cassa l’incasso di due giorni e già da febbraio si lavorava molto meno" conclude amaramente il suo sfogo, presumibilmente condivisibile da gran parte della categoria.