Spesso la foglia non cade dove ti aspetti.
Prova a cercare una soluzione alternativa e meno scontata
Gabriele ha quarant’anni e da tre vive in una casa di sei metri quadrati costruita su un ciliegio.
Nonostante la casetta sull’albero abbia una dimensione onirica e fiabesca lo so a cosa state pensando.
No, non è un hippy. No, non è un eremita sporco che caga nel bosco travestito da carpe diem; non si copre con la pelle di cinghiale tipo un Di Caprio astigiano. No, non è un sociopatico, non è il barone rampante e non è nemmeno il pianista sull’oceano.
È per questo che vi consiglio di leggere l’esperienza di Gabriele Ghio in “La mia casa sul ciliegio. Lasciare la città, vivere in un bosco, essere felici”, una persona comune con un lavoro comune che dopo un evento shock ha ricalibrato le sue priorità.
Qui il tempo è scandito dalle foglie che cadono, dal freddo invernale, dalle gemme e dai frutti della terra.
La nobiltà di questi attimi ti tocca l’anima e ti eleva
Stanco e sudato dopo anni di corsa sul tapis roulant della performance, Gabriele passa una notte su una casetta sull’albero credendo di aver trovato le risposte alle domande della vita: chi sono? Cosa voglio fare? Qual è il mio posto? Poi succede che sente un rumore e scappa a rifugiarsi in macchina.
Ma ci riprova perché su quel ciliegio (tra l’altro su una collina qui vicino!) si sente parte della natura e, ripeto, non è un emarginato a mo’ di Into the Wild: ha trovato un equilibrio sottile tra la vita arboricola e il contatto con la società di cui continua comunque a far parte.
Anche lui guarda Netflix e va all’Ikea ma principalmente lo fa per le polpettine e non per la libreria Billy perché trovateglielo il modo di farcela stare nella casetta sul ciliegio. Si sveglia guardando gli scoiattoli e non ascoltando passivamente la canzoncina del TG1. Si lava da un rubinetto costruito da sé con una canna di bambù. Trova una nidiata di ghiri nel cesto dei panni sporchi. Ha reso ridicolo l’importo delle due principali spese più gravose dell’italiano medio: le bollette della luce e le ciliegie dell’Esselunga.
Nel buio prende vita un circo di cui sono l’unico spettatore.
Non sono solo, non lo sono mai stato
Nonostante Gabriele si svegli tutte le mattine per andare a lavoro e conduca una vita sociale attiva è innegabile che pernottare in un bosco comporti compromessi e paure. Per lo più sono stati timori legati al giudizio altrui ma sentirsi una creatura nuda e cauta di fronte alla natura è una sensazione selvatica ed erotica molto più appagante ed intensa che il disagio di ridurre al minimo le proprie pretese. In questo processo tutt’altro che repentino e lineare Gabriele fa qualcosa di talmente banale da essere tralasciata nel quotidiano: vivere. “Il sangue scorre forte, il cuore batte profondo, i sensi sono aperti, gli occhi guardano lontano, tutto è nelle mie mani. Sto vivendo”
Vi invito a scoprire il mondo delle THREE HOUSE LIVING, di un misterioso villaggio sugli alberi piemontesi e di TREE GO, un progetto che Gabriele sta per iniziare in giro per l’Italia e nel mondo per meglio conoscere e documentare la vite arboricole come la sua.
So che avete altri dubbi: Il bagno? Ma d’inverno? E l’acqua? E le buste della spesa? Per quanto si può vivere così? Leggete questo libro. Qualche frase da santone la troverete, ad esempio quando dice di credere nell’umanità e nelle sue infinte capacità o nella possibilità di coesistere senza danneggiarci (sigh) ma è un ottimo stimolo per mettere in discussione il mare magnum di cose in cui anneghiamo e l’insopportabile silenzio che ci spaventa più delle vuote parole.
Mia madre, vedendomi trasognata dalla sua storia, mi ha fatto subito notare che se accetta ancora che la chiami urlando perché c’è una cimice in camera non ammetterebbe un “MAMMAAA! C’È UN CINGHIALEEE, VIENI A TOGLIERLOO”