Serve un piano di emergenza nazionale per salvare la nostra sanità che sta cadendo a pezzi. Lo dicono i fatti e le testimonianze.
Le gravi criticità dei pronto soccorso piemontesi ne sono solo la testimonianza. Preoccupa che ci si giri dall’altra parte facendo finta di non vedere ciò che si consuma tutti i giorni nei nostri ospedali. Il paradosso di una sanità che offre eccellenze da una parte e dall’altra la sofferenza, i rischi e le complicanze, non privi di gravi conseguenze che sono costretti a vivere i cittadini sulla propria pelle e coloro che devono assisterli tra mille difficoltà.
Politica e manager che cercano di sminuire il problema o che lo classificano come temporaneo, legato una volta al covid, un’altra volta all’influenza o al freddo ne sono responsabili più di tutti.
Sentir dire e leggere da chi dirige una delle aziende ospedaliere più importanti di Italia “non è una novità” è sconfortante, come se in questi anni avesse vissuto su Marte e non si sia reso conto di cosa sia successo e di come la storia sia cambiata.
Non è normale che si debba stare più giorni in barella per un posto letto ed essere parcheggiati nei corridoi senza la possibilità di garantire i bisogni di base, non è normale che non ci siano più punti ossigeno o punti monitor, non è normale che non si possa garantire l’osservazione e il monitoraggio di questi pazienti.
Non è normale dover correre per tutto in ospedale perché a casa non si hanno punti di riferimento. La gente muore anche cosi. La carenza di medici urgentisti è di certo un problema ma non è l’unico e non è certo la soluzione che necessita invece di un piano strategico che non esiste.
Non abbiamo bisogno di misure tampone. Per usare una metafora, non è mettendo più steward all’ingresso di uno stadio con capienza a 10.000 persone che risolvo il problema, facendone entrare 40.000 più velocemente.
E’ evidente che non sono attrezzato per gestirli e i rischi diventano complicanze. Come è evidente che molti in quello stadio non dovrebbero proprio presentarsi ma purtroppo non hanno alternative.
Ribadiamo ancora una volta la carenza della medicina e dell’ assistenza territoriale che determina il grande afflusso verso gli ospedali e la mancanza di posti letto e personale infermieristico poichè dopo che i pazienti vengono visitati e certamente lo devono essere in tempi celeri ci va qualcuno che li assista in condizioni dignitose e soprattutto sicure che oggi non ci sono.
Mancano all’appello gli infermieri che dovevano essere assunti per l’assistenza territoriale, lo abbiamo detto più volte e strutture aperte h 24, ci dicano poi cosa vogliono fare con le case della salute dove all’interno dovrebbe essere garantita la presenza dei medici di medicina generale, oltre che quella infermieristica. Mancano posti letto e personale addetto all’assistenza che li gestisca. Anche loro nei reparti di degenza non se la passano tanto bene perché quello che prima della pandemia non era considerato normale, oggi lo è diventato purtroppo. Qualcuno forse non si è accorto che ci è stato un terremoto e crede che continuare a vivere nelle tende o nei pre fabbricati sia la normalità ma la gente si ammala e muore e gli operatori sanitari scappano.
Francesco Coppolella
Segretario Nursind Piemonte