“Ancora vetrate?”. È mia moglie, indispensabile nell’indirizzare e correggere i miei testi, e non solo quelli, indispensabile a dare senso al vivere. Nel caso in oggetto, ha pure ragione. Ragione in parte: sulla magnifica scoperta dell’opera di Luigi Costa, maestro d’arte vetraria, ne ho scritto l’altro ieri, ma non abbastanza. Artista d’origine mantovana, cresciuto all’Accademia di Belle Arti di Brera e proprietario, dal 1910, di un rinomato laboratorio e negozio di vetrate artistiche ad Alessandria. Personalità veramente di spicco nella prima metà del Novecento che ha lasciato un segno indelebile in un centinaio di chiese italiane, tra cui alcune anche nell'Astigiano. Giovedì scorso in Vacanze Astigiane, l’altra mia rubrica settimanale, incentrata sugli infiniti e validi motivi per girare in lungo e in largo l’Astigiano, avevo raccontato qualcosa di un grande che aveva sparso colorate ed evocative briciole di bellezza anche dalle nostre parti. Chicche estetiche non certo da poco con apice nelle spettacolari vetrate a tema sacro che arricchiscono, dal 1928, la chiesa di San Martino a Calosso.
Però, studiando meglio la massa di informazioni e specialmente di immagini messe in rete da suo nipote Enrico, impossibile fermarsi ai soli temi sacri, dove, a differenza delle centinaia e centinaia di vetrate, progettate e prodotte per committenti privati, il gusto Liberty e poi Art Dèco, che caratterizzava il periodo e l’opera di Luigi, non emerge così nettamente e magnificamente. Vetrate per privati che forse non esisteranno neppure più, cambiati i canoni estetici dell’architettura d’interni, caratterizzate da eccezionali combinazioni cromatiche, studiate per creare atmosfere suggestive e coinvolgenti nell’adornare sale, saloni entrate e vetrine di una marea di ville, luoghi pubblici, attività commerciali, locali e hotel in Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.
Vetrate presentate nella loro fase progettuale con centinaia di schizzi e disegni esecutivi, composti in due corposi faldoni formato 35x50, custoditi dagli eredi. Nello scorrerne parte del contenuto, impossibile non immaginare quei disegni rimessi a nuovo e trasformati in esposizione. Per farlo, come tante altre cose, ieri e oggi, servono un po’ di piccioli, non so quanti, non credo poi tanti, ma senza resteranno in quei due faldoni e il meglio di Costa continuerà ad essere ingiustamente dimenticato, al netto di qualche occasionale articolo celebrativo come il mio. Da qui scatta l’invito. Invito a ragionare del cosa e del quanto da parte di, tanto per cominciare, Assovetro, associazione nazionale degli industriali del vetro, di qualche Ordine degli Architetti delle aree toccate dall’opera di Luigi, di altri enti di cultura, come ad esempio la Triennale di Milano, insieme per coinvolgere e convincere una delle grandi fondazioni bancarie del Nord Ovest italiano ad aprire i cordoni della borsa e regalare il dovuto valore alla vitalità artistica di Luigi Costa, fino a musealizzarne gli impattanti ricordi cartacei.