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Attualità | 09 ottobre 2020, 17:10

Domani alle 15.30 presidio di protesta in via Allende per sensibilizzare il Comune ad acquistare lo stabile per l'emergenza abitativa

La palazzina, proprietà del Demanio, ha accolto 6 nuclei familiari, sfrattati per mancanza di reddito

Domani alle 15.30 presidio di protesta in via Allende per sensibilizzare il Comune ad acquistare lo stabile per l'emergenza abitativa

Domani, sabato 10 ottobre dalle 15.30 si svolgerà un presidio di protesta in via Allende, richiesto dal Coordinamento Asti Est che richiede che l'Amministrazione Comunale acquisisca l'immobile di via Allende 13, al fine di costituirvi una casa per la prima accoglienza di famiglie con problemi abitativi.

Di proprietà del Demanio Militare ma non più utilizzata da tempo, la palazzina per alcuni anni ha accolto sei nuclei familiari, sfrattati causa assenza reddito o reddito bassissimo. 

"Occupazione senza titolo, sicuramente. Ma è un fatto che nella nostra città esista un drammatico bisogno abitativo non soddisfatto", spiegano dal Coordinamento.

I dati raccolti parlano di circa 1700 alloggi vuoti, sia privati che pubblici. Il numero di case popolari assegnate è progressivamente calato, mentre in graduatoria sono 647 i nuclei familiari in attesa, senza contare le emergenze.

"Il fatto di appartenere al demanio, spiega Carlo Sottile del Coordinamento Asti Est, dunque alla categoria dei beni pubblici, dovrebbe rafforzare ancora oggi questa richiesta. Ora, apprendiamo che il governo cittadino ha intenzione di disporne per contrastare l’emergenza abitativa".

La vendita della palazzina sembra quindi essere tramontata, ma il Coordinamento rimarca: "Nel corso degli ultimi dieci anni, non c’è stato governo cittadino che non abbia manifestato la stessa intenzione. Eppure la palazzina è ancora lì, con gli ingressi sigillati per l'ennesima volta. Nell’ottobre del 2019, quando l’ultima famiglia degli occupanti aveva trovato domicilio altrove; in seguito, quando uno o più ignoti senza tetto, violando i primi sigilli, ne avevano fatto il loro domicilio di fortuna.

Secondo Sottile "l’insieme dei problemi sociali che hanno fatto da contesto allaoccupazione di quella palazzina, si riproporrebbe, assai più impegnativo di prima, per ammissione degli stessi assessori competenti".

I protagonisti della vicenda sono sei famiglie sfrattate senza alternativa alloggiativa e "i volontari della nostra associazione, l’hanno vissuta come atto pubblico, necessitato e consapevole, dunque aperto al confronto e, come dicevamo allora, aperto alla città, come le altre della città: strada Volta, Salita al Fortino, di via Orfanotrofio".

Sono seguiti diversi confronti con l'appoggio del movimento di difesa del diritto alla casa,che andava sviluppandosi in tutti i Comuni “ad alta tensione abitativa”.

"Cioè quelli - spiega Sottile - con una densità delle procedure di sfratto oltre una certa soglia, elencati in una delibera del CIPE del 2003 con quella definizione. Prima delle occupazioni, l’alta tensione abitativa si manifestava nella contemporaneità di tre circostanze: la precarietà dei redditi di una parte sempre più ampia della popolazione; l’esclusione di quella parte da un mercato delle locazioni, reso più speculativo dalla abolizione dell’equo canone, una edilizia residenziale pubblica, ridotta di ruolo dalle privatizzazioni nonchè dalla abolizionedella sua fonte di finanziamento, la Gescal".

"Chi, persone ma soprattutto famiglie, concludono dal coordinamento, non reggeva la sfida di quelle tre circostanze, subiva uno sfratto senza alternativa alloggiativa e andava ad affollare, in una attesa infinita, le graduatorie dellacasa popolare. In quegli anni, i sindacati nazionali degli inquilini, stimavano in 650.000 le domande inevase. Oggi, a distanza di 10 anni dalla prima occupazione, quelle tre circostanze, mai venute meno, si riconfermano in peggio".

Redazione

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