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Attualità | 21 maggio 2022, 07:30

Viviamo in un posto bellissimo da caratterizzare con un grappolo

Puntata dedicata ad una proposta, fresca, fresca, per risolvere l’assenza di turismo ad Asti, che mi riporta al romanzo-sceneggiatura di Jack Hengelhard

Una delle immagini a tema grappolo di una mostra itinerante di Enzo Isaia

Una delle immagini a tema grappolo di una mostra itinerante di Enzo Isaia

Letta, negli scorsi giorni, la proposta dei costruttori edili dell’Unione Industriale astigiana di piazzare un grappolo alto ottanta metri in area vecchio ospedale (CLICCA QUI per rileggere l'articolo), mi sembra giusto accennare a quanto nascosto dietro a quell’infelice palazzotto anni Sessanta che dà su viale alla Vittoria.

Per farlo dobbiamo andare indietro nel tempo fino alla metà del IX secolo, quando nasce la chiesa di Santa Maria Nuova. Un documento del Cartario Astese datato 1009 la cita come una costruzione già esistente da tempo. Nel 1132 il vescovo Landolfo ne investe della reggenza i Canonici Regolari di Sant’Agostino, che subito costruiscono un piccolo monastero, abbattuto e sostituito, nel 1591 da un altro assai più grandioso, quello che tutt’ora è parte integrante del vecchio ospedale. Struttura di grande valore storico e artistico, sviluppata in forme monumentali, stilisticamente collegabili alle più auliche esperienze architettoniche romane, chiaramente visibili nel grande chiostro a colonne binate.

Per i Canonici e il monastero fila tutto liscio fino a fine del Settecento, quando, con l’invasione francese della Savoia vennero soppresse parecchie Congregazioni religiose ed incamerati i loro beni. Quelli del convento di Santa Maria Nuova furono messi in vendita all’asta pubblica nel 1798. Solamente il monastero rimase invenduto, restando abbandonato fino al 1804, quando la Commissione degli Ospizi del Comune di Asti ottenne il fabbricato per la nuova sede dell’Ospedale degli Infermi, inaugurato il il 29 Settembre 1810. Oggi è una ferita nel cuore della città e del quartiere, uno spazio vuoto, sicuramente di non facile gestione che richiede un impegno, prima che economico, di progettazione e di prospettiva per il futuro della città.

Ecco allora che la boutade edile-industriale, anche scordandosi di estetica e costi, non mi parte benissimo, in assenza di un piano strategico di sviluppo territoriale. Sì, so bene che la scorsa fine estate, in scadenza di progetti da inserire nel Pnrr, un qualcosa con quel titolo è stata prodotta dal nostro polo universitario, ma andrei oltre, se possibile.

Tant’è che l'idea di un enorme edificio a forma di grappolo con progettazione da affidare a una archistar di fama internazionale, non vi dico quali e quanti commenti si è tirata dietro, a partire da quelli anche pesanti sui social. Onestamente a me preoccupa, non solo una caratterizzazione urbana così, ahimè, d’antan, ancora in area vinicola, come se un’Enofila non bastasse, ma più che tutto il presentare l’iniziativa come panacea all’assenza di turismo ad Asti. I turisti non c’erano e non ci sono, è verissimo, ma solo per l’assenza di strategie e di marketing della destinazione e per l’inesistenza di promozione dei ricchi plus storici, artistici e monumentali della città.

Nulla di più che tanta bella comunicazione, per cui coglierei con entusiasmo la gentile offerta dei costruttori di sobbarcarsi il costo dello studio di fattibilità, proponendo loro di destinarne gli importi, non certo da poco se in collaborazione con un’archistar di livello internazionale, ad una sontuosa campagna di promozione turistica, con la certezza di riuscire così a dare un riempimento medio annuale decente ai 2.185 posti letto già presenti nel capoluogo e un signor supporto di breve a tutta l’economia locale.

Davide Palazzetti

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