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Copertina | 07 settembre 2024, 00:00

Storie di Orgoglio Astigiano. Maria Vittoria Backhaus: "Nel mio obiettivo? I Beatles, Carla Fracci, Caterina Caselli, ma anche la moda di Armani e Prada"

Fotografa milanese, 84 anni, vive a Rocchetta Tanaro. "Negli anni Sessanta ho scelto di separarmi dal mio primo marito. Fiera di essere sempre stata un po' drop out"

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Circles, di Greta Svabo Bech & Ludovico Einaudi, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

Di Maria Vittoria Backhaus mi parla l'amico Davide Palazzetti. Fotografa milanese, 84 anni, ha scelto di vivere immersa nella natura di Rocchetta Tanaro. 

Vado a intervistarla a casa sua. Un posto che più che casa pare la sua anima. Dal lavandino posto in mezzo al bagno alla cucina con una trave arancione messa a sostegno di un legno bellissimo. È incredibile come tutto, lì, trasudi buon gusto e fascino. 

Maria Vittoria mi accoglie tutta vestita di bianco. Porta un paio di occhiali neri dalla montatura importante. Ha una verve che buca lo schermo. Sono ansiosa di conoscere tutto di lei. 

Maria Vittoria, come è successo che lei e suo marito siate venuti a vivere nell'Astigiano?

Abbiamo comprato questa casa nel 2003, ma per venirci nei fine settimana. All'epoca vivevamo a Milano, anche se portavamo nel cuore la nostra casa di Filicudi, in cui abbiamo vissuto tantissimi anni e che abbiamo lasciato nel 2017. Ad ogni modo, il fratello di mio marito, Giorgio Backhaus, aveva casa qui all’Asinara, ce l'aveva prestata qualche giorno. Giorgio si innamorò subito di questo territorio. Così, abbiamo trovato quest'abitazione, che all'epoca era orrenda. 

Cosa l'ha convinta a trasferirsi?

L'Astigiano ha fatto emergere un'altra mia grande passione: mi piace da pazzi restaurare case. Quest'abitazione, per quanto in pessime condizioni, aveva una struttura notevole, si vedeva il suo potenziale. Devo dire che ora ci stiamo bene, è stata rimessa a punto secondo la sua natura, nel pieno rispetto di ciò che era. Qui ho il mio studio e il mio archivio. Il lavoro a Milano non c’era più in quegli anni, diversi giornali avevano chiuso. Ufficialmente ci stiamo stabiliti in questa casa durante il Covid, ma è come se vivessi qui da quando l'abbiamo comprata. 

Immagino che sia stato un cambiamento importante trasferirsi

Sì, un conto poi era viverci nei weekend e un altro è stato viverci tutti i giorni. Il grande avvenimento, però, è stato quando ho deciso di prendere un cane, nel 2019. Cercavo un cane vecchio e nero, perché spesso non li vuole nessuno. In un canile della Calabria ho trovato Concetta. Lei è stata ed è la mia maestra di vita. Veniva da un contesto completamente diverso e si era trovata catapultata nella vita di Milano. Eppure, per quanto fosse spaventata dal cambiamento, voleva imparare. Durante il Covid ce la siamo portata a vivere con noi qui nell'Astigiano e anche lei ha ricominciato un'altra nuova vita. 

Stava lavorando all'epoca del trasferimento definitivo nell'Astigiano?

Di fatto pensavo che la mia carriera fosse chiusa per età e per tutto. Anche dopo il trasferimento, comunque, non mi sono mai fermata. Nel 2023 mi è stato proposto di fare una grande mostra a Casale Monferrato, cui poi si è seguita un'altra esposizione ad Aosta. Ora sto lavorando a un libro e da poco ho terminato un progetto per il Vittoriale. In ottobre inaugurerò una mostra a Brescia. 

Qualche lavoro sull'Astigiano?

Prima del Covid avevo iniziato a fotografare molto di Rocchetta, affascinata dal fatto che, per quanto sia un piccolo paese, avesse degli imprenditori straordinari e un grande lavoro di cui essere orgogliosi. Volevo che la fotografia raccontasse Rocchetta attraverso il lavoro. E così feci due vendemmie. Purtroppo con la pandemia si è chiuso tutto. Un secondo lavoro per questo territorio è stato sui Ciabot, altre realtà incredibili, che andrebbero preservate per quanta bellezza contengono. 

Tornerebbe mai a vivere a Milano o nella sua amata Filicudi?

Non tornerei mai indietro, ma anche perché non puoi rimpiangere una cosa che ora non esiste più. Dagli anni Settanta agli anni Novanta abbiamo vissuto Filicudi senza acqua e senza luce. Filicudi era come immersa in "Cent’anni di solitudine". Le fiabe, la magia, le persone, l’acqua piovana, le porte aperte... Ora non c’è più nulla di tutto questo, perché dovrei rimpiangerla? A Rocchetta Tanaro sto molto bene. 

Come è nata la sua passione per la fotografia, diventata poi la sua vita?

Studiavo Scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Brera. Lì vicino c'era il bar Jamaica, frequentato da molti artisti con cui avevo iniziato ad avere legami. Mi sono sposata con un giornalista a 20 anni, seguendolo in Sicilia. Lì mi sono fatta prestare una macchina fotografica. La mia passione era il reportage. Ho fatto la reporter per un po’, fino a metà degli anni Settanta, ma non riuscivo a mantenermi. Ero una donna giovane negli anni Settanta, ho vissuto pienamente il 68. 

Da lì la svolta nella moda?

Esatto, sono passata a lavorare per il gruppo di Vogue. Ovviamente rispetto al mondo del reporter era completamente diverso. Se fai il reporter fotografi quello che c’è, se vai in studio c’è un muro bianco, che devi riempire. C’erano pochissime donne fotografe all'epoca. 

Quando i Beatles ti sorridono 

Parliamo da tutto il pomeriggio. Maria Vittoria mi fa vedere parte del suo immenso archivio. Mi innamoro di una foto che scatta nel 1964, "Backstage di un fotoromanzo". C'è una poesia in tutto ciò che crea, una sinuosità, un'armonia tra tecnica e buon gusto, che rende la sua mano speciale. Nel 1965 a Milano fotografa Carla Fracci in prova alla Scala. Nello stesso anno, sempre a Milano, nel suo obiettivo entrano anche i Beatles. 

"Sul tetto del Duomo di Milano ho incontrato e fotografato i Beatles con la prima delle mie Nikon. Non avevo il cavalletto, niente flash e nemmeno l'esposimetro. Il tempo era poco, ma i Beatles mi hanno sorriso: ero l'unica donna fotografa". 

Nel 1967 a Milano fotografa anche Caterina Caselli con l'Hasselblad. E poi mi racconta delle Polaroid, della sua passione per le miniature, per i collage, per i santi di Filicudi. Mi fa vedere tutte le foto che non sono state accettate. Mi colpisce "Cuore", del 2000. Era un lavoro per un editoriale di Vogue, che faceva parte di una serie di sei, rifiutata perché troppo forte. 

Ribelle, rivoluzionaria, anticonvenzionale... So che di cognome farebbe Mussolini. È complicato parlarne?

Sono sempre stata di sinistra, pertanto questa parentela non è mai stata una grande cosa, essendo personalmente molto distante da quel mondo. La cosa che più mi dà fastidio è che dopo anni e anni di carriera sei "la nipote di...". Non sono nipote di nessuno, ecco. Inutile dire che quel cognome è ingombrante. Ero una rompiscatole da bambina, non andavo d’accordo con la mia famiglia: mi mettevo i pantaloni, portavo i capelli corti, stavo al Jamaica con dei disgraziati (ride, ndr).  Mio fratello è stato funzionario del Partito Comunista: io e lui eravamo le due pecore rosse della famiglia. Mi sono sposata a 20 anni, come ti dicevo, per poi separarmi a 23. Non c'era ancora la legge sul divorzio, era uno scandalo per l'epoca. Eppure, da sola ero felicissima, con tutte le difficoltà del caso. Non mi affittavano casa perché ero sola. Avevo una Cinquecento tutta scassata con cui partivo e me ne stavo via dei mesi, penso ad esempio a quando sono andata a Parigi. Da quel momento ho capito che bisogna godersi la vita anche quando si è da soli. Dopo ho conosciuto Giorgio, mio attuale marito, di cui ho scelto di prendere il cognome, così come feci con il mio primo marito. 

La nostra individualità non è un affare negoziabile 

Bellissimo il messaggio che mi trasmette. La vita può essere meravigliosa anche se la viviamo da soli. Anche se quel viaggio lo facciamo senza un amico o un compagno, anche se condividiamo le mura domestiche con noi stessi e basta. Maria Vittoria, senza saperlo, tocca delle corde importanti di me e mi ricorda quanto sia importante vivere minuto per minuto la propria vita, respirare a pieni polmoni la propria individualità. 

Perché la nostra individualità non è un affare negoziabile. 

L'incontro che l'ha segnata maggiormente nel suo percorso all'interno del mondo della moda?

Sicuramente quello con lo stilista Walter Albini, mio grande amico che mi manca tantissimo. Con lui ho iniziato a fotografare moda. Sai, sono gli incontri che fai a creare la tua vita. Ogni tanto ci sono state svolte strane. La moda mi è sempre sembrata qualcosa di effimero, superficiale,  ma poi ho capito che l’estetica è una disciplina. Me l’ha insegnato Walter. 

Cosa raccontava nelle sue foto?

Raccontavo il mio tempo, in generale in tutte le foto che ho scattato. Dei vestiti non mi interessava granché. Non sono mai partita dal vestito, bensì dal racconto che volevo fare attraverso la fotografia. Lavorare nel mondo della moda significava vivere e respirare la bellezza. Questo non può che piacere, ma si deve essere consapevoli che la moda è una disciplina, non è frivolezza. Spesso ho raccontato, nelle mie foto, come l'estetica fosse cambiata al cambiare della società. Senza farne una critica sociale. Ho lavorato fianco a fianco con Sergio Colantoni per trent'anni. Con lui cercavamo di ricostruire una sorta di set in cui scattare. Era come girare un film, si lavorava tutti i giorni senza sosta, per inventarsi qualcosa di nuovo ogni volta. Il mio è ed è stato un grande lavoro di ricerca. 

E a chi le dice che a 84 anni non dovrebbe più lavorare?

Il lavoro è lavoro. Perché lo faccio ancora? Perché io consegno le foto un giorno prima e non un giorno dopo. Una frase dura, ma vera. Sono una professionista. Non ho mai dato un valore artistico al mio lavoro. Quello spetta agli altri.  

Dimentico di guardare l'orologio 

Trovo Maria Vittoria geniale: nel suo essere, nel suo lavoro, nel suo modo di vedere il mondo. Oggettiva, unica, spietatamente vera e schietta. Amo le persone come lei, senza filtri, senza sovrastrutture. La sua è una semplicità complessa, per cui perdo la testa. Continuerei ad ascoltarla a oltranza. Dimentico di guardare l'orologio, la sento parlare e mi lascio cullare dai ricordi che evoca insieme a me e per me. Maria Vittoria mi fa capire che l'esuberanza è una figata pazzesca: che riuscire a essere se stessi in un mondo che tende a standardizzare chiunque, beh, è un vanto. 

Come ha vissuto la grande rivoluzione, cioè il passaggio al digitale?

A differenza di molti colleghi, che avevano persino abbandonato questo mestiere, a me non è mai importanto più di tanto. Ho sempre continuato a fare le mie foto: è il contenuto che mi importa, non il mezzo. La grande crisi sul digitale che ho avvertito personalmente è stata, invece, la richiesta dei datori di lavori. Non eri più interprete libero, ma rischiavi di diventare esecutore di un altro pensiero. Motivo per cui il mondo della pubblicità mi ha chiamata pochissimo. A loro serviva un semplice esecutore di foto, ma quella persona non ero io. Andavo alle sfilate e mi sceglievo i vestiti da fotografare: ora non è più così. Ho lavorato con Armani, Prada e molti altri, nel corso della mia carriera. 

Aneddoti su Armani e Prada?

Devo dire che gli stilisti sono più noiosi di quanto pensiamo (ride, ndr). Non ho aneddoti particolari. Negli anni Ottanta lavoravo e vivevo in discoteca: era lì che incontravi gli stilisti. Milano era quella roba lì. Adoravo ballare, adoravo vivere in quel mondo.

Ha viaggiato molto?

Sì, ma forse meno di quanto si potrebbe pensare. Due esperienze mi hanno profondamente segnata, perché agli antipodi: l'India e New York. I due poli del mondo di allora. L’India è stata straordinaria: vedevo persone che al tramonto si fermavano, guardavano il mondo con occhi nuovi o si mettevano davanti a un santino di terracotta a riflettere. A New York, invece, ho visto la vita che corre, frenetica e piena di stimoli.  

Pensa che se avesse avuto figli la sua carriera sarebbe stata diversa da ciò che è stata?

Sicuramente sì, se fossi stata mamma avrei fatto un'altra cosa e sarebbe stato comunque bello ugualmente. Non mi pesa non avere figli. Mi considero una persona fortunata, con una carriera lunga e bellissima. 

E l'arte? Cos'è per lei?

Non chiedermelo, non so cosa sia. L'ho sempre fatto e basta, ho sempre seguito l'istinto. 

Si è mai sentita sbagliata?

Innumerevoli volte. Non mi sono voluta sposare in chiesa, ero comunista in una famiglia che di cognome faceva Mussolini. Ma sai che c'è? Arrivo alla mia età fiera di essere sempre stata un po' "drop out", un po' diversa. Avevo tantissimi dubbi, ma invecchiando impari ad allontanare il giudizio degli altri. La vecchiaia è tanto odiata, eppure è un momento importante, in cui davvero puoi fare tutto ciò che vuoi. Sei talmente fuori dai giochi che alla fine vale tutto. 

Ho capito che era il mondo ad essere sbagliato, non io. 

Chi è Maria Vittoria Backhaus in un breve documentario realizzato da Sara Tirelli 

Fotografa di moda, design, accessori e food. Si diploma in Scenografia all'Accademia delle Belle Arti di Brera a Milano. Negli anni Sessanta passa alla fotografia lavorando come reporter e si occupa di eventi culturali, politici e musicali. Si dedica poi alla fotografia di moda, al design e allo still-life proprio negli anni in cui questi settori hanno la loro massima espansione. Lavora in studio e fuori, usando i grandi, piccoli e medi formati. Ha sposato Giorgio Backhaus, traduttore di Max Horkheimer e di Theodor Adorno, entrambi filosofi della Scuola di Francoforte.

Non è mai stato importante per lei cosa fotografasse, ma il racconto intorno a quello che fotografa. Alle tantissime foto scattate su commissione si aggiungono molti lavori su progetti personali, che attualmente sono al centro della sua attività, assieme al salvataggio del suo archivio. Nel 2021 ha ricevuto il premio alla carriera Arturo Ghergo e, nello stesso anno, ha trasferito la sua casa e il suo studio nell'Astigiano. Nel 2023 il comune di Casale Monferrato ha ospitato nelle sale del Castello una antologica dagli anni Settanta ad oggi delle sue fotografie. 

Elisabetta Testa

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