Contrariamente a quanto si possa pensare, le terre rare non sono tali sotto l'aspetto geologico, ma sono invece caratterizzate da una notevole dispersione geografica e dalle elevate difficoltà tecniche per l'estrazione ed il trattamento.
La loro importanza è strettamente legata allo sviluppo della cosiddetta quarta rivoluzione industriale, soprattutto per 5G, Intelligenza Artificiale e robotica, comparti ormai vitali per gran parte della progettualità sia civile che militare. Pertanto, è immediato comprendere il motivo per cui le terre rare, con altri minerali critici (litio, cobalto, rame, nichel e grafite) hanno assunto il ruolo di focus essenziale per primeggiare nel mondo.
E un rapido esame dell'attuale situazione al riguardo rende altrettanto immediata la comprensione delle smanie di Trump di accaparrarsi nuove possibilità di sfruttamento delle risorse, senza porsi particolari remore etiche di rispetto altrui e del Diritto Internazionale.
E il suo incubo ha le sembianze di un Dragone, perché la Cina, al momento, gode del 63% dell'estrazione mondiale delle terre rare e gestisce l'83% della loro lavorazione. Inoltre, raffina più del 35% del nichel, il 60% del litio e il 70% del Cobalto ed è il maggiore produttore al mondo di titanio, vanadio e alluminio. Ma come se non bastasse, attualmente gli Stati Uniti dipendono dall'importazione dalla Cina per il 70% delle terre rare, per il 100% dall'importazione di 12 dei 50 minerali definiti dal governo come fondamentali e per il 50% per altri 31 di questi.
Una situazione veramente critica, a cui Trump sta cercando di mettere quanto meno una pezza, muovendosi in tutte le direzioni ed in ogni modo, anche perché non gli basta di certo consolarsi guardando le condizioni dell'Europa che, se possibile, sono peggiori di quelle degli States. Gli stati europei, infatti, dipendono da Pechino per il 98% per le terre rare, per il 93% per il magnesio e per il 97% per il litio. Una dipendenza quasi assoluta da cui sarebbe bene quanto prima svincolarsi, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare che, in questo caso, si chiama Atlantico visto che, nella corsa alla diversificazione, la concorrenza americana è pressoché letale. E allora, per il momento, il Vecchio Continente affronta il problema al contrario, affermando di non voler affrancarsi completamente dalla Cina, come vorrebbe Washington che, tanto per cambiare (vedi gas), vorrebbe la botte piena, la sua e la moglie ubriaca, l'Europa.
Invece gli Stati Uniti stanno facendo tremendamente sul serio, perché sono messi alle strette dal gap, tanto grande quanto pericoloso, con il loro principale rivale nella guerra commerciale globale il quale, come se non bastasse, sta cominciando a proporsi anche come un antagonista militare, senza limiti regionali.
Lo sforzo americano si sta sviluppando sul fronte interno, con il tentativo di riattivare le proprie miniere di terre rare, improvvidamente cadute in disuso (su pressione dei movimenti ambientalisti), in ben 4 Stati della Confederazione (Wyoming, Alaska, Texas, Colorado e Nebraska), mentre l'unica in funzione è quella in California. Con l'Inflacton Reduction Act (risalente ancora a Biden) sono stati previsti finanziamenti e agevolazioni fiscali per le aziende USA impegnate in ricerca, sviluppo e produzione in settori per i quali è previsto l'uso di terre rare (es. solare, e eolico) e minerali critici, purché non siano approvvigionati presso “entità straniere di interesse” (leggasi Cina).
Verso l'esterno, l'azione di Trump si è sinora disimpegnata tra incredibili proclami espansionistici, anche al limite della compromissione dei rapporti diplomatici con Stati Alleati, come nel caso del Canada e, soprattutto, della Danimarca (con l'”affaire Groenlandia”, probabilmente tutt'altro che concluso) ed il travagliatissimo accordo con l'Ucraina che, al momento, può essere considerato l'unico successo conseguito dal Tycoon.
L'intesa sullo sfruttamento delle terre rare di Zelensky è scaturita da mesi di duro confronto tra le due parti, sino al famoso duello alla Casa Bianca in cui l'umiliazione inflitta dal Presidente USA a Zelensky (“hai parlato abbastanza...non hai le carte”) è stata determinante per sbloccare una situazione sostanzialmente commerciale che però, con il suo stallo, molto probabilmente stava condizionando anche i primi atti concreti per una soluzione del conflitto russo-ucraino.
Infatti, è indubbio che la possibilità di accedere alle risorse del sottosuolo dell'Ucraina ha concesso un po' di respiro a Washington nella sua competizione geo-economica con la Cina ma, nel contempo, è anche vero che ha ravvivato quella partnership strategica con Kiev che, negli ultimi tempi, stava pericolosamente vacillando, sbilanciando a favore di Mosca gli equilibri necessari per l'avvio di colloqui. Pertanto, terre rare e affini costituiranno la garanzia americana per il futuro dell'Ucraina e non ci sarebbe da stupirsi che abbiano costituito uno dei principali argomenti nella telefonata del 19 maggio scorso tra Putin e Trump.
Questo perché anche il Leader russo ha serissimi interessi sulle risorse ucraine, in particolare quelle del Dombass che, oltre a carbone, gas, petrolio e altri minerali pregiati (ferro, manganese, titanio e uranio), ha tra le maggiori riserve in Europa di terre rare. Pertanto, potrebbe essere molto probabile e altrettanto plausibile che i Capi delle due Superpotenze nucleari possano essersi accordati su un'equa spartizione del “tesoro ucraino”, con buona pace dell'Europa e delle sue flebili mire e con un occhio allo strapotere cinese nello specifico settore, soprattutto da parte americana.
In realtà, i problemi degli USA verso la Cina non si esauriscono nella sola disponibilità del materiale ma, ancor peggio, riguardano anche le successive fasi della sua raffinazione e lavorazione, che rimangono saldamente nelle mani di Pechino, in un regime di quasi monopolio esclusivo. Una vulnerabilità immensa per Washington. E per meglio comprenderne la gravità, basti pensare che, secondo alcuni analisti, circa 1.900 sistemi d'arma in dotazione alle Forze Armate USA (circa il 78% dell'armamento del Pentagono) hanno componenti di 5 metalli critici (antimonio, gallio, germanio, tungsteno e tellurio) che hanno provenienza produttiva cinese e sono pure soggetti alle recenti restrizioni di export imposte da Xi Jing Ping.
In un contesto del genere, l'approccio di Trump verso Putin, giudicato un po' pretestuosamente dai Leader europei come remissivo, in realtà potrebbe essere più pragmaticamente valutato come un ovvio ed obbligato tentativo di riavvicinamento con la Russia.