Il ‘fil-rouge’ che collega tutte le molteplici attività, imprenditoriali e sportive, attuate negli anni da Claudio Giovannone, banchiere e finanziere ‘di lungo corso’, è senz’ombra di dubbio una innata e indifessa passione. Che ancora oggi, prossimo alla soglia dei 70 anni, gli consente di svolgere al meglio l’attività di ‘Padrino’ per l’Europa dell’Instituto Ayrton Senna, su mandato diretto della famiglia del compianto campione brasiliano.
In tal veste – con l’importante collaborazione dell’architetto Piergiorgio Pascolati, che ne ha curato l’allestimento, e il supporto della Fondazione Asti Musei – Giovannone sta per potare nella ‘sua’ Asti la mostra ‘Ayrton Senna 25’, in programma dal 29 marzo al 14 aprile presso gli splendidi saloni espositivi di Palazzo Mazzetti. Un’esposizione di grandissima rilevanza, per volontà dello stesso 'Padrino' ad ingresso libero, che sarà preceduta da una presentazione, rivolta alle autorità e alla stampa, in programma la mattina di giovedì 21 marzo.
Una data scelta non a caso – poiché coincidente con il compleanno del tre volte campione del mondo di Formula 1, nato il 21 marzo 1960 a San Paolo del Brasile –, per un evento che vedrà la presenza in città di illustri ospiti, protagonisti del mondo dello sport (non solo in ambito motoristico), la cui identità non è stata per ora rivelata ufficialmente. Ad ormai pochi giorni dall’atteso appuntamento, abbiamo incontrato Claudio Giovannone e Piergiorgio Pascolati per approfondire con loro molteplici aspetti della mostra, della vita del campione brasiliano e inerenti la fondazione che ne porta il nome.
Quando è nato e quali sono le finalità dell’Instituto Ayrton Senna?
Cronologicamente, l’Instituto è nato sul finire del 1993, quando Ayrton ha chiamato la sorella Viviane, importante psicologa a San Paolo, e le ha detto che voleva istituzionalizzare ciò che in privato aveva sempre fatto per i bambini del suo Paese. In parole povere dare soldi a ospedali, asili, scuole, centri per l’infanzia… Lo faceva nel più assoluto riserbo, nessuno lo sapeva al di fuori del Brasile, dove invece la cosa era nota. Finché non ha deciso di rendere ufficiale e istituzionalizzata la cosa, ottenendo il supporto della sorella e dei genitori. Purtroppo non ha fatto in tempo a vedere all’opera quella che, allora, si chiamava ‘Ayrton Senna Foundation’, ma la prima cosa decisa dalla famiglia dopo la sua morte è stata di donare alla fondazione tutti i proventi derivanti dal marchio Senna, che lui aveva creato intorno al 1988, affinché potessero continuare questi progetti di aiuto ai bambini più poveri.
Un brand che ancora oggi, dopo un quarto di secolo, è ancora amatissimo...
Finora, e sono passati 25 anni, qualunque prodotto Senna non è mai rimasto invenduto. La Ducati ha fatto 3 serie da 200 moto Senna, tutte vendute ancor prima di essere prodotte, MV Agusta uguale, Tony Kart (tra le più importanti aziende mondiali per quanto concerne la produzione di telai kart, ndr.) ha realizzato una serie da 500 go-kart Senna tutti venduti prima di venir prodotti, l’alta orologeria (Hublot, Universal Genève, Tag Hauer) ha realizzato orologi Senna e per ogni pezzo venduto il 10% è andato all’Instituto. Addirittura Tullio Abbate, grande costruttore navale, nel 1995 realizzò l’off-shore Senna. L’Instituto incassa circa 2-3 milioni annui di royalties, tutti spesi in programmi di aiuto in un Paese, il Brasile, dove le disparità sociali sono enormi: o sei ricchissimo o sei poverissimo, ma di una povertà che noi neppure possiamo immaginarci.
Parliamo del suo ruolo nell’ambito dell’Instituto? Cosa comporta esserne il ‘Padrino’?
Io sono l’unico ‘Padrino’ nel mondo dell’Instituto grazie alla fiducia che la famiglia Senna ripone in me. Anzi, direi che ormai siamo una famiglia sola. Io vado al mare da loro, loro sono venuti a casa mia in montagna al Sestriere. Si è sviluppato un rapporto meraviglioso, poi da quando c’è Bruno (nipote di Ayrton e anch'egli pilota automobilistico, ndr.), che per me è come un terzo figlio, i rapporti si sono stretti ancora di più. Finora abbiamo assistito oltre 18 milioni di bambini bisognosi, ma la nostra ambizione è di arrivare a 20, 30 o 40 milioni. Finché Viviane rimarrà in vita, porteremo avanti questi progetti. In seno alla fondazione il mio compito è duplice. Primo organizzare eventi come questo, portato in tutta Europa. Secondo, poiché il mio passato nel mondo bancario mi ha portato a conoscere molti industriali, trovare nuovi licenziatari per il brand.
In quale Paese il brand Senna ottiene ancora oggi i maggiori riscontri?
Il Paese in cui viene venduto maggiormente il ‘prodotto Senna’ è il Giappone. Lui ha vinto tre campionati del mondo di Formula 1 con la Honda e quindi in Giappone è considerato quasi un Dio. Qualsiasi cosa venga marchiata Senna, mandata in Giappone, verrà comprata. Possiamo starne certi.
Quanto ritiene abbia influito la sua morte tragica e prematura nell’eternarne il mito?
Per risponderle premetto che io non ero un suo tifoso. Certo, lo stimavo come grandissimo pilota, ma non ero suo tifoso perché non sono mai stato capace di fare il tifo per il più forte e lui era troppo superiore agli altri piloti di quel periodo. La sua morte violenta può aver influito, ma non più di tanto. Era un uomo estremamente carismatico e con le idee chiarissime sul futuro: si sarebbe ritirato nel giro di 3-4 anni e si sarebbe dedicato anima e corpo alla Fondazione, uscendo dal mondo dello sport da vincente. Avrebbe usato questo suo ‘potere’ esclusivamente per il bene dei bambini del suo Paese. Lui sosteneva sempre che se vogliamo cambiare le cose dobbiamo iniziare dall’aiutare i bambini.
Viene da chiedersi quale percorso l’abbia portata, da ‘non tifoso’, a diventare padrino dell’Instituto...
Come ho detto io non ero suo tifoso, gli preferivo Prost, e quel primo maggio 1994 dovevo correre un rally che è stato annullato all’ultimo minuto. Quindi ero a casa, davanti alla televisione, a seguire il gran premio. Quando ho visto la testa reclinata su un lato ho capito che era morto e mi sono messo a piangere. Io sono uno che piange pochissimo, ma in quel momento mi è venuto spontaneo. Poi, qualche tempo dopo, in una delle tante notti in cui sono rimasto sveglio per seguire l’andamento dei mercati borsistici asiatici, facendo zapping tra i primi canali satellitari ho seguito su Rede Globo (uno dei principali canali tv brasiliani, ndr.) la diretta dei suoi funerali e ho visto un Paese che piangeva. Un Paese! Milioni di persone, lungo tutto il tracciato, che piangevano. E io mi sono chiesto: ma che uomo era questo qui? Allora ho cominciato a informarmi su di lui e ad ogni nuovo dettaglio mi innamoravo di più della sua figura. Così ho iniziato a mandare fax alla Fondazione, di cui ho scoperto l’esistenza al Motorshow di Bologna nel 1997. Mi sono proposto di aiutarli, ma non mi hanno mai considerato neanche di striscio. Comprensibilmente, perché ricevevano e ricevono messaggi da tutto il mondo di persone che si propongono di contribuire.
Alla fine, però, la sua tenacia ha evidentemente pagato. Quando e come si è verificata la svolta?
E’ avvenuta il giorno in cui mi hanno dedicato una pagina sul libro “Who's Who in the World”, che riporta le biografie delle persone che si sono distinte nella loro vita lavorativa, sportiva e industriale. Ne ho fatto una copia, l’ho mandata alla Fondazione dicendogli ‘Io sono questo. Non voglio pubblicità, non voglio soldi, non voglio nulla. Solo aiutarvi’. Una settimana dopo ero a Londra per incontrare il direttore generale della Fondazione Senna. Così è nata una collaborazione bellissima, che ci ha portati a realizzare eventi come quando Alberto Tomba, all’apice della popolarità, è venuto al Sestriere per il primo ‘Trofeo Ayrton Senna’ dedicato ai bambini degli sci club italiani. Ho cominciato a conoscere altri collezionisti, ad acquistare alcuni oggetti che gli sono appartenuti ed è nato il rapporto. Nel 2004 abbiamo fatto la prima mostra a Imola e nello stesso anno mi sono trovato ad una cena benefica con Leonardo (ex calciatore e attuale direttore dell'area tecnico-sportiva del Milan, ndr.), di cui sono molto amico, e con Mario Di Natale, che con Riccardo Patrese ha fondato la nazionale piloti. Allora, scherzando, ho detto a Leonardo che sarebbe stato bello ripetere quanto è capitato sul campo quando, dieci anni prima, il suo Brasile aveva battuto l’Italia nella finale del mondiale di calcio. In quell’occasione i giocatori brasiliani, appena finita la partita, hanno preso un grande striscione dove c’era scritto “Senna… acelramos juntos. O Tetra é nosso!” (Senna… acceleriamo insieme. Il titolo è nostro, ndr.) con riferimento al fatto che loro erano appena diventati campioni del mondo e lui, se non fosse morto a Imola, probabilmente avrebbe vinto anche quel campionato del mondo di Formula 1. Allora ci è venuta l’idea di fare una partita tra quel Brasile 1994 e la nazionale piloti. E’ passata una settimana e Leonardo mi ha telefonato per dirmi che sarebbero venuti tutti i giocatori di quella nazionale, gratis, per onorare Ayrton.
Architetto, parliamo dell’allestimento che ha progettato? Può anticiparci qualcosa in merito?
Ci sarà una prima sezione in cui vedremo tutte le foto della sua infanzia, perché l’obiettivo della mostra è di presentare non solo il pilota ma anche e soprattutto la persona. Quindi foto della sua infanzia, della sua vita privata, della sua famiglia. Per poi arrivare a quando ha cominciato a correre sui kart, per poi entrare nella sezione dedicata al suo periodo in Formula Ford, con le due auto 1600 e 2000. Dopodiché il percorso di Senna pilota si interrompe volutamente per introdurre nella parte, che sarà ospitata nel cantinato, dedicata alla Fondazione con un altro kart, kart giocattoli, prodotti della Fondazione, le moto Ducati e Agusta e sarà presente un video in cui la sorella di Bruno Senna spiega esattamente cos’è la Fondazione. Seguirà una sezione dedicata a Claudio Giovannone, seguito da un ritorno al Senna pilota con un’auto che ha utilizzato in Formula 3 e poi la Formula 1, con la seconda McLaren che ha guidato. Quindi entreremo nella sezione dedicata alla Lotus, con video, musetti, pezzi di quell’auto e molte immagini. Si entrerà poi, attraverso un corridoio, in una stanza dedicata alle foto che sono state scattate dal suo fotografo personale e ci si avvicinerà al clou come pilota. Vedremo quindi alcune delle auto sulle quali ha costruito il proprio mito e ci sarà la coppa originale che lui ha sollevato quando ha vinto l’ultimo gran premio del Brasile. Si passerà quindi alla sezione delle memorabilia, con tanti oggetti da lui autografati. Poi una sezione con i suoi caschi, mentre l’ultima vetrina sarà dedicata agli oggetti che ha indossato in Brasile prima di partire per Imola. Non mancheranno anche opere d’arte di Nespolo, Knulp, Piras e altri, tutti rigorosamente a tema. Gli spettatori usciranno dalla mostra leggendo una scritta che richiamerà la sua grande fede in Dio. Non ci sarà nulla che riguarda la sua morte, perché vogliamo che sia una festa. Lui è ancora, almeno concettualmente, tra noi. Per cui guardiamo al 1994 come all’inizio di una nuova fase, non una fine.
Allestire una simile mostra in una struttura architettonica prestigiosa quale Palazzo Mazzetti ha comportato particolari difficoltà?
E’ stato complesso dal punto di vista tecnico, perché avere uno spazio più grande sarebbe stato più comodo sia dal punto di vista fisico, per farci entrare le auto, e sia da quello tematico, poiché è più facile da comporre. Quindi è stato necessario compiere un grande sforzo concettuale, soprattutto per caratterizzare ciascuna stanza. Però, di contro, poiché ogni salone di Palazzo Mazzetti è un piccolo gioiello, anche ciò che ci metteremo dentro sarà molto valorizzato dal contesto e dall’ambiente. Tenendo presente anche che ogni stanza sarà rigorosamente multimediale, con sonoro e/o video. Vogliamo che, uscendo dalla mostra, il visitatore esca impregnato della personalità fortissima di Senna.
Chi non sarà fisicamente presente alla presentazione del 21 marzo cui abbiamo accennato, potrà in qualche modo ‘assistere’ comunque all’evento?
Assolutamente sì! Poiché Palazzo Mazzetti non permette un grosso afflusso, nella stessa giornata verrà installato in piazza San Secondo un maxi schermo sul quale verrà trasmesso, in diretta, quello che avverrà nei saloni del Palazzo. E chi non lo potrà vedere in diretta potrà recuperarlo nel pomeriggio, quando il filmato realizzato durante la mattinata verrà trasmesso in loop, sempre sul maxi schermo in piazza San Secondo. Da dove, peraltro, partirà il corteo delle auto che porterà gli ospiti a Palazzo Mazzetti.
Giovannone, cosa direbbe per far 'conoscere' Senna a chi, nato dopo quel primo maggio 1994, non ha potuto vederlo all’opera se non in immagini di repertorio?
Che era un grande uomo, ancor prima che un grande pilota. Lo si capisce già da un aneddoto che risale a quando aveva 9-10 anni. La sua mamma, dopo qualche mese di scuola, andando a parlare con la sua maestra ha saputo che Ayrton arrivava sempre senza merenda, nonostante la mamma gliela desse prima di uscire di casa. Tornata a casa lei gli ha chiesto che ne facesse e lui le ha risposto che, poiché per andare a scuola passava vicino a una piccola favelas, la lasciava ai bambini che avevano più fame di lui. Il suo principio era che in questo mondo respiriamo tutti la stessa aria, quindi non possiamo pensare ci siano pochi ricchi fortunati che vivono su un’isola felice circondata da un mare di povertà. C’è anche un altro episodio, che mi ha raccontato Mario Poltronieri (telecronista Rai, scomparso nel 2017, per molti anni 'voce' della Formula 1 per la tv di stato, ndr.), tra i pochissimi amici veri che Senna aveva tra i giornalisti. Il sabato pomeriggio, dopo le prove del gran premio di Imola, quando gli altri piloti avevano delle ore dedicate agli sponsor, lui spariva intimando ai giornalisti di non seguirlo. Gliene hanno dette di tutti i colori, mettendo in giro voci decisamente calunniose, ma in realtà lui andava a 80-90 chilometri dal circuito per andare a far visita a un ragazzo paraplegico che gli aveva scritto una lettera diversi anni prima. Gli aveva raccontato la sua situazione – su una carrozzina, costretto a farsi imboccare e impossibilitato perfino a scrivere direttamente quella lettera – dicendogli che dopo averlo visto vincere era cambiata la sua vita. Ayrton è andato a trovarlo per 12 anni di fila… Come si può, se si ha un cuore, a non innamorarsi di una persona così? Ha lasciato la sua vita terrena, ma sono rimasti i suoi ideali e una famiglia straordinaria. Ad iniziare dai suoi genitori che, pur essendo ormai ultraottantenni, sono tutti i giorni al lavoro all'Instituto.