Ogni volta che ascoltiamo una canzone dei Nomadi scopriamo che la musica non è fatta solo di note, ma di contenuti. E di atmosfere capaci di trasportarti in una dimensione familiare, rassicurante e positiva. I Nomadi rappresentano un’idea, una ragione e uno stile di vita, prima ancora che un complesso musicale. Il gruppo, in cui Beppe Carletti è istituzione, continua a cambiare pelle, ma non muta il suo spirito perennemente diviso tra impegno sociale e ricordi, denuncia e speranza. E, ancora, amicizie, amori, racconti popolari, sogni. Tutti temi ricorrenti nella produzione nomade.
"Le nostre storie – spiega Carletti – hanno dentro un’anima, perché parlano di esistenza e, anche se a volte possono risultare drammatiche, lasciano sempre un margine alla fiducia e alla riflessione", secondo una precisa filosofia, nata nel lontano 1961. "Eravamo un gruppo di ragazzi, che con la fisarmonica, si esibiva nelle balere dei paesi della campagna emiliana. Inizialmente ci facevamo chiamare I Monelli".
Ma quel nome è un limite, la realtà è che si sentono nomadi nella musica, come nella vita. C’era solo bisogno che qualcuno glielo ricordasse e lo certificasse quel titolo e che magari aggiungesse pure un tocco di poesia e di magia. Correva l’anno 1963 e quel qualcuno non era un filosofo, ma semplicemente Augusto Daolio, l’uomo dal tono caldo e profondo, capace di esplorare le profondità dell'anima e del quale è lo stesso Carletti a tracciare il profilo.
"Era un artista completo: cantante, pittore, scrittore, poeta, che dava un senso a ogni parola. I nostri destini si sono incrociati all’età di sedici anni, ma la sua vocazione musicale è maturata da sola. Poco tempo dopo, era già una spanna sopra di noi. Ci accomunava la stessa storia di sacrifici e rinunce, forse perché venivamo entrambi da una piccola realtà di provincia" della quale hanno conservato tutta l’umiltà e la ricchezza. Il carisma di Augusto era percettibile dal palco, dove offriva sempre il meglio di sé. "Era un tipo introverso, sembrava quasi scostante. Invece nascondeva bene la sua timidezza e, quando era a contatto con il pubblico, sembrava un altro".
L’amicizia fra Augusto e Beppe è una di quelle infinite. Insieme hanno condiviso la gioia dei trionfi, ma anche la delusione per le battaglie perse. "Non tutte le nostre canzoni sono state comprese. A volte, le persone possono anche non capirti, ma bisogna sempre seguire i propri ideali. Quando sei in armonia con te stesso, prima o poi, il tempo ti premia". In un Paese continuamente attraversato da mode effimere e passeggere, i Nomadi sono cresciuti mantenendo sempre alta la propria identità e personalità. La loro musica, pervasa dall’incessante desiderio di libertà, ha conquistato i giovani di allora, uomini e donne di oggi, ma anche contaminato il cuore delle nuove generazioni. Hanno il fuoco dentro e grande senso artistico, voglia di novità, ma anche volontà di mantenere salda la propria integrità. Sono capaci di far volare i pensieri sulle ali di un'immensa e immaginaria melodia, che trasforma una filosofia in versi.
"Non interpretavamo qualsiasi canzone che ci veniva proposta, dovevamo sentirla nostra e sposarne il contenuto. In questo senso, non dimentico il sodalizio con Francesco Guccini, un affetto che va oltre la professione". Ma c’è un’altra cosa che Beppe non dimentica: la prematura morte di Augusto, avvenuta nel 1992. "È stato l'unico momento in tutto questo tempo in cui ho pensato veramente di mollare. L’idea di salire sul palco senza di lui sembrava inconcepibile. Ma nello stesso anno ci lasciò anche un altro membro del gruppo, il bassista Dante Pergreffi. Allora mi sono ribellato, ho pensato che solo andando avanti potevo tenere acceso il ricordo dei miei amici".
Ed è stato così, la tomba di Augusto, nel cimitero di Novellara (MO), non è un luogo triste, ma un respiro di vita, meta di pellegrinaggio e fonte alla quale attingere nuove e mistiche energie. Così, il miracolo continua. Sempre in comunione totale con il pubblico. "Siamo un tutt’uno con loro, molti sono i figli di quelli che ci seguivano, altri sono giovani nuovi, che magari coinvolgono amici e genitori. E poi ci sono i nostri irriducibili Fan club, che ci seguono ovunque" al grido: "Sempre Nomadi", che non manca mai ai concerti di questi vagabondi della musica. Proprio quell’anima vagabonda ha portato Carletti e soci a girare il mondo in cerca di nuove esperienze, non solo musicali.
Hanno suonato con artisti di culture diverse e lontane. Sono stati ricevuti da autorevoli personalità internazionali, come Arafat, Fidel Castro e, soprattutto, il Dalai Lama, che ha lasciato al gruppo un segno profondo. "È incredibile la carica spirituale che ti comunica. Ci ha ringraziato per le nostre iniziative a favore dei bambini tibetani. Parlava in inglese, lingua che intendo pochissimo, eppure comprendevo ogni parola". I Nomadi sono anche questo, ascoltare tutti e capire tutto il suono della vita. "Come quei bigliettini dei nostri fan, che leggiamo durante i concerti. Sono dediche o, più in generale, pensieri quotidiani, espressi ad alta voce da chi si sente come noi e incarna il nostro spirito".
Spirito nomade, ma anche tanto spirito emiliano nelle radici della band. "Essere emiliani significa essere dei testoni, essere tosti e non mollare mai". Ma Emilia vuol dire anche culto delle balere, voglia di divertirsi. "Nel mio piccolo paese (Novi di Modena, ndr) c'era una balera all'aperto. Avevo dodici anni e stavo lì ad ascoltare le orchestre per ore. Senza quell’esperienza, forse, non avrei scelto questo mestiere e vissuto questa straordinaria avventura". E uno spirito anche solidale, che, nel 2012, a seguito dei terremoti che hanno devastato la sua terra, lo hanno visto promuovere il Concerto per l'Emilia in cui è riuscito a coinvolgere numerosi musicisti del calibro di Laura Pausini e Luciano Ligabue. Tutti insieme hanno saputo restringere l’ombra di quell’indimenticabile sofferenza.
Per non farsi mancare nulla, l’immortale Beppe Carletti ha deciso anche di raccontarsi in un libro, “Io vagabondo", una sorta di manifesto in cui si sente la positività, l’ottimismo e la gratitudine per tutto quello che la vita gli ha dato e che, in esclusiva, ci ha partecipato. Parlargli è come vedere scorrere nei suoi occhi una moviola di ricordi, di stagioni, di tempi masticati suonando in balere con la mente rivolta a sogni di libertà, tuttora non ammainati. In quegli occhi, ci sono le risposte di un guerriero, la luce e la verità di un credo dalla coerenza dura a morire. Nessuno come lui, o almeno quanto lui, ha giurato fedeltà a quegli ideali, rifiutando facili compromessi e dimostrando che la musica è solo un pensiero comune moltiplicato all'infinito, sempre in viaggio.
Nomadi fino alla fine.