Da Ovalle, cittadina cilena dove nacque il 4 ottobre 1949, all’ospedale di Oviedo (Spagna) dove è spirato questa mattina, nome illustre accanto a quelli di tantissimi “anonimi” come lui vittime del covid-19.
Persone comuni come quelle che, grazie al suo innato talento, hanno ottenuto il privilegio dell’immortalità letteraria diventando protagoniste di uno dei suoi racconti. Anzi, viene spontaneo chiedersi se e come lui, Luis Sepúlveda Calfucura, cileno “cittadino del mondo”, avrebbe raccontato questa pandemia se fosse riuscito a vincere questa battaglia, l’ultima di vita “in prima linea”.
DAL 'SOGNO SOCIALISTA' CILENO ALL'IMPEGNO AMBIENTALISTA
Componente della guardia personale del presidente cileno Salvador Allende, il Grupo de Amigos Personales (GAP), formato da persone che, proprio come lui, erano pronte a dare la vita per il presidente e per i comuni ideali. Catturato dai militari golpisti, fu torturato e passò alcuni mesi in una minuscola cella dalla quale riuscì ad uscire, molto provato, grazie alle pressioni di Amnesty International. Condannato all’ergastolo dal regime golpista per aver osato raccontare al mondo il dramma dei desaparecidos, nel 1977 lasciò il Paese per raggiungere la Svezia, che gli aveva concesso asilo politico.
Non vi arrivò: perché, approfittando di uno scalo tecnico a Buenos Aires, tentò di raggiungere l’Uruguay. Prima tappa di un lungo peregrinare in buona parte del Sud America che anni dopo gli fornì anche molto materiale per i suoi libri. Quindi il trasferimento in Europa: prima in Germania, poi in Francia e, dal 1982 al 1987, nuovamente in prima linea, a favore dell’ambiente, come membro dell’equipaggio di una delle navi di Greenpeace.
Così come i mari e gli oceani, sempre sospeso tra l’amato Sud America e il Vecchio Continente, solcava con dimestichezza i generi letterari, dedicandosi anche alla letteratura per l’infanzia con il capolavoro 'Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare' e alcuni altri racconti successivi sempre improntati alla sottolineatura di nobili sentimenti, quali l’amicizia e la solidarietà, e dell’importanza di rispettare l’ambiente.
Oltre al cristallino talento letterario, altro suo tratti distintivo era la capacità di “abbattere le barriere” che normalmente si pongono tra un autore famoso e i suoi lettori, con i quali anzi amava confrontarsi in occasione di molteplici eventi culturali.
GLI ANNI DI CHIAROSCURO E L'OMAGGIO ALLA TRATTORIA DEL MERCATO
Che, per quanto concerne l’Italia, lo videro fin dalla prima edizione (1997) tra i protagonisti di Chiaroscuro, festival letterario astigiano sviluppato dalla Biblioteca Astense grazie al lavoro svolto dall’allora direttrice Domenica “Mimma” Bogetti e dalla sua vice (e attuale direttrice) Donatella Gnetti con il prezioso supporto dell’editore Marco Tropea, amico personale di molti autori sudamericani.
“Quando ho sentito in radio che è mancato ho avuto un colpo al cuore – ci ha detto Mimma Bogetti – erano stati anni bellissimi. Era un uomo simpatico, affabile e allegro che insieme ad altri autori sudamericani riempiva sempre il cortile dove si svolgevano gli incontri. E’ stato nostro ospite in tutte le edizioni, dal 1997 al 2003, e mi ha sempre colpita la sua innata capacità di connettersi con il pubblico. Non aveva appunti, non leggeva nulla, era totalmente spontaneo e con una capacità di rapportarsi al prossimo davvero incredibile”.
“E’ stato il primo festival letterario italiano: noi partimmo a giugno 1997, Mantova in autunno – sottolinea la dottoressa Gnetti – Al netto del talento letterario, di Luis ricordo la straordinaria carica umana, accompagnata però da una grande tristezza di fondo, come se non fosse mai riuscito a liberarsi completamente dei fantasmi del suo passato. Era un uomo dotato di una straordinaria carica umana: si diventava amici nel giro di cinque minuti. Io all’epoca ero piuttosto giovane e pensavo incontrare uno scrittore di fama internazionale mi avrebbe creato qualche difficoltà, invece no. Si arrivava a una confidenza con estrema facilità. Dal punto di vista letterario, mi stupì la pubblicazione della Gabbianella, perché visti i suoi romanzi precedenti non avrei mai pensato a una tale delicatezza e attenzione nei confronti dei bambini e invece fu un ennesimo straordinario e meritato successo”.
“Conservo una foto di Giulio Morra in cui rido con Luis Sepúlveda, una mezz'ora dopo averlo conosciuto e qualche minuto prima di iniziare a moderare la conversazione a cui partecipa anche Carlo Lucarelli – ricorda la giornalista Laura Nosenzo – E' il 24 settembre 2003, siamo a Castello d'Annone, in una tappa di Chiaroscuro. Dobbiamo concordare come condurre l'incontro. Sepúlveda dice con ironia: "Chiedimi cosa vuoi, risponderò a tutte le domande. Sulla mia vita sono piuttosto preparato". Quando già siamo davanti al pubblico, mi rende sua complice sussurrando: "Siamo seri, ma divertiamoci anche un po'".
Poi racconta larghi tratti della sua vita come un romanzo, soffermandosi su ciò che le persone vogliono maggiormente ascoltare: il suo impegno di ambientalista, gli anni bui della dittatura cilena e il suo vivere da rifugiato politico in Europa. C'è in lui una malinconia di sottofondo, ma anche un'ironia schietta che salva dalla retorica. Nel libro "Il generale e il giudice", che oggi sfoglio con tristezza, resta la sua dedica: "Alla mia amica Laura con gratitudine e dolcezza". A ben vedere quel "siamo seri, ma divertiamoci anche un po'" è come, in fondo, Luis ha sempre vissuto e come tanti di noi ambirebbero a fare”.
“Per me, all'epoca 26enne che stava iniziando il proprio impegno civico e politico, il passaggio di Sepulveda ad Asti é stato formativo – sottolinea Mario Malandrone, docente scolastico e consigliere comunale – La storia del Cile della generazione oppressa, ma anche i valori dei libri per i bambini, che sono qualcosa in più di libri per bambini, ma romanzi formativi su valori universali come la solidarietà, la salvaguardia del ambiente mi hanno permesso di avere strumenti educativi e di crescita personale. Ha accompagnato il mio impegno civico. Chiaroscuro era un serbatoio di idee ci incontraci grandi scrittori e grandi storie civiche, un periodo che é servito a un intera generazione per formarsi ad Asti”.
Città in cui, fedele alla vocazione di scopritore e narratore di piccole grandi storie, frequentò la storica “Trattoria del Mercato” che difese strenuamente, firmando una petizione e polemizzando pubblicamente con la allora giunta comunale di centro-destra, quando lo informarono che lo storico locale sarebbe stato demolito. A ulteriore riprova dell’affetto nei confronti della Trattoria e della sua storica titolare, le dedicò anche un racconto di cui riportiamo di seguito ampi stralci.
Rosella, la più bella
Esattamente due anni fa, sotto il sole piemontese di mezzogiorno, sentii che la fame guidava con premura i miei passi in direzione del mercato di Asti, verso una vecchia trattoria che si chiamava semplicemente così: Trattoria del Mercato.
Aprii la porta, entrai e il posto mi parve una delle tante osterie che ho visitato in diversi paesi, ristoranti popolari dove indubbiamente si mangia molto meglio che nei locali dotati di varie forchette, perché si mangia anche con gli occhi e con le orecchie, e in genere il contorno lo fa la gente seduta agli altri tavoli.
Mi si avvicinò una donna sorridente, piccola, dagli occhi vivaci, che subito m'invitò a prendere posto vicino alla finestra affacciata sul mercato e ad assaggiare il suo vino è il migliore di Asti, aggiunse, e poi rimase lì a guardarmi con espressione divertita. Ti piace?- mi domandò indicando il mio bicchiere ormai vuoto. Risposi di sì, che era molto buono, fresco, fruttato, e le chiesi il menù per ordinare. Mi chiamo Rosella e sono quarant'anni che do da mangiare a camionisti, venditori, commessi viaggiatori, artisti e saltimbanchi. Finora nessuno si è mai lamentato- assicurò. Bene- risposi, e la tovaglia a quadretti bianchi e rossi si riempì pian piano degli ortaggi del Piemonte per poi cedere il passo a una prodigiosa pasta, vanto della cucina di Rosella. Amo il sapore e il profumo del basilico. Quella volta amai più che mai la verde orchidea del tavolo mediterraneo.
Rimasi una settimana in città e ogni giorno, pranzo e cena, presi posto a un tavolo della Trattoria del Mercato. Una settimana fa sono tornato ad Asti e la prima cosa che ho fatto è stata andare a salutare Rosella: la trattoria era rimasta uguale, gli stessi tavoli, le stesse tovaglie, lo stesso profumino che arrivava dalla cucina, ma c'era un'atmosfera strana fra i commensali, un'atmosfera a metà fra il dispiacere e la rabbia, fra la nostalgia e l'impotenza.
(...)
Il 18 giugno scorso, del Mercato ha celebrato la sua ultima cena. Rosella, vestita a festa, ha invitato tutti i clienti per dare una degna fine allo spumante e alle verdure dell'orto, e ha preparato chili e chili della sua famosa pasta, varie pentole del suo ineguagliabile ragù alle melanzane, ed enormi vassoi con le sue indimenticabili torte tartufate.
Abbiamo mangiato, abbiamo cantato, abbiamo bevuto fino all'alba, finché non si sono uniti alla festa i venditori del mercato, i distributori di giornali, i primi uccelletti del mattino. Ogni tanto, una donna con un vellutato accento napoletano intonava una canzone il cui ritornello, Rosella, sei e sarai sempre la più bella, era cantato in coro da tutti quanti come un modo per scongiurare il destino, per rendere più sopportabile la sconfitta. Ora so che non tornerò più a mangiare da Rosella e del Mercato è entrata a far parte del mio inventario delle perdite.
Tratto da “Le rose di Atacama”, Guanda Editore, 176 pagine, 10 euro