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Il Punto di Beppe Gandolfo | 01 giugno 2020, 07:00

Un racconto terribile per non dimenticare

Un racconto terribile per non dimenticare

“Sono guarito, lo confermano due tamponi negativi. Ma sono sempre debole e continuo ad avere incubi”. Paolo ha una cinquantina d’ anni. Ha superato il Covid-19, così come la sorella. Il papà invece non ce l’ ha fatta. E’ mancato nel mese di marzo.

Ho scelto di mangiare la mia prima pizza della Fase2 con Paolo perché è un amico e non lo vedevo da mesi. Questa non è un’ intervista. E’ il suo racconto, spontaneo, terribile. Ma importante per non dimenticare.

“Non riesco a cancellare dalla mia testa quei giorni in ospedale. Ero in terapia intensiva ma non ero intubato. Ho ancora negli occhi e nel cuore quei medici e infermieri straordinari: mi facevano i prelievi di sangue, venosi e quelli arteriosi dolorosissimi, anche nel cuore della notte. Eravamo proprio nelle settimane dell’ inizio della pandemia: giorno e notte sentivo solo le sirene delle ambulanze che viaggiavano ininterrottamente. Il personale sanitario non aveva un attimo di sosta. Io soffrivo per la mancanza di respiro e per la febbre alta. Sapevo che mia sorella e mio papà erano stati contagiati. Ma la preoccupazione più grande era per la mamma, anziana, rimasta a casa, da sola”

“In quel periodo ho saputo che papà era morto. E io non potevo far nulla. Ero bloccato in ospedale, e mia sorella era nella mia medesima situazione”.

“Superata la fase più acuta mi hanno trasferito in una Rsa e lì si sono dimenticati di me e di tutti gli altri malati di Coronavirus portati in quella struttura. Settimane e settimane senza che nessuno si interessasse di noi. Ci misuravano la temperatura e basta. Ho cominciato a tempestare l’ Unità di crisi di telefonate ricevendo sempre le solite risposte: “noi non siamo a conoscenza della sua situazione”, “non è di nostra competenza ma di un’ altra Asl”, “ma chi l’ ha portata lì?”…. Io non sapevo cosa dire: ero stato trasportato in ambulanza in quella RSA, ricordavo poco o nulla. Loro avrebbero dovuto essere a conoscenza dell’ intera mia situazione. Alla fine, dopo mille insistenze telefoniche con gli addetti dell' Unità di crisi e anche furibonde incazzature con i responsabili della Rsa, sono venuti a farmi i tamponi: al secondo negativo sono scoppiato a piangere e sono tornato a casa”

“La scorsa settimana con mia sorella abbiamo accompagnato mamma al cimitero. Chissà se dietro quella lapide c’è davvero mio papà… Non ci hanno nemmeno chiesto gli abiti per vestirlo… Difficile farsene una ragione”.

Niente da aggiungere. Buona fortuna Paolo, a te, a tua sorella e soprattutto alla tua mamma.

Beppe Gandolfo

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