Una sentenza che fa “caso” a sé e che, per la prima volta riguarda la discriminazione da parte di un’azienda verso un uomo e non verso una donna.
Un papà astigiano di 60 anni, nel 2018 decide di seguire la sua bambina di 6 anni per tre mesi chiedendo il congedo parentale, ma nel 2019, quando la sua azienda (di Asti) eroga il premio di risultato, scopre che è decurtato del 60% a causa della “assenza” dal lavoro.
L'uomo sceglie di combattere per i suoi diritti
L’operaio allora si rivolge all’Ufficio vertenze della Cgil.
“Noi della Cgil – spiega il segretario astigiano, Luca Quagliotti – non avevamo sottoscritto l’accordo aziendale che prevedeva la decurtazione del premio. Paternità e maternità sono un diritto non è assenteismo e speriamo che questo caso possa aiutare le famiglie”.
In Italia, emerge che il 40% delle lavoratrici dopo la nascita del primo figlio abbandonano il lavoro che hanno. Un dato che fa pensare.
“La abbiamo ritenuta una discriminazione, spiega Massimo Padovani, avvocato della Cgil – il premio viene decurtato per malattia o infortunio al di fuori del lavoro, per negligenza o aspettativa. Avere inserito anche paternità o maternità facoltativi è purtroppo un caso diffuso e fino ad ora ha riguardato solo donne. Non si può essere discriminati per aver esercitato un diritto”.
Accertata la natura discriminatoria
L’azienda astigiana, solitamente attenta alle politiche del lavoro, è stata quindi ‘condannata’ a pagare il premio per intero ed è stata accertata la natura discriminatoria dell’accordo. “Non la si vuole additare, certo, spiega ancora Padovani, ma non si può negare l’esistenza del fattore protezione delle opportunità. Secondo noi apre uno scenario importante”.
il giudice del Lavoro del Tribunale di Asti Elisabetta Antoci ha condannato l'azienda a reintegrare il premio.
L’interpretazione del giudice è stata contestata dai legali dell’azienda, secondo i quali il Codice delle Pari Opportunità fa riferimento esclusivamente alle discriminazioni fondate sul genere e hanno sottolineato che tutti i precedenti giurisprudenziali hanno avuto ad oggetto discriminazioni nei confronti delle lavoratrici madri.
“Tra le righe sembrava che il lavoratore, potesse essere un assenteista, che non tenesse al lavoro – ribadisce ancora Quagliotti. Un lavoratore che non era mai stato assente dall’azienda. Paternità e maternità devono essere uguali”.
La sentenza
Con decreto del 7 dicembre scorso la giudice del Lavoro del Tribunale di Asti Elisabetta Antoci ha dichiarato la natura discriminatoria di questo accordo aziendale. Secondo la giudice in base all’art. 38 del Codice delle Pari Opportunità (D. Lgsl. 198/2006) l’accordo sarebbe stato discriminatorio.
La sentenza ha stabilito che lo stesso violava l’art. 25 comma 2-bis dello stesso Codice nel quale si afferma che “costituisce discriminazione ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità o dell’esercizio dei relativi diritti”.