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Cultura e tempo libero | 25 novembre 2022, 20:15

Lucio Pellegrini: "Racconto la guerra al terrorismo attraverso il 'filtro' di Dalla Chiesa"

Alla vigilia dell'anteprima di "Il nostro generale" al Torino Film Festival (e a gennaio su Rai Uno), ne abbiamo parlato con il regista astigiano

La locandina di "Il nostro generale" diretto da Lucio Pellegrini e interpretato da Sergio Castellitto

La locandina di "Il nostro generale" diretto da Lucio Pellegrini e interpretato da Sergio Castellitto

Domani sera, a poche settimane dalla messa in onda su Rai Tre della docufiction “Romanzo Radicale” in cui il canellese Andrea Bosca ha prestato il volto a Marco Pannella (CLICCA QUI per rileggere l'articolo), un altro talento astigiano presenterà una accurata rielaborazione artistica incentrata sulla vita di un grande italiano dello scorso secolo.

Ci riferiamo al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso nell’ormai lontano settembre 1982 in un vile attentato mafioso nel quale persero la vita anche la sua seconda moglie e l’agente della scorta, che ‘rivivrà’ nell’interpretazione di Sergio Castellitto, protagonista della serie televisiva “Il nostro Generale”, diretta dal regista astigiano Lucio Pellegrini.

La ficton – scritta da Monica Zapelli e Pepe Fiore, con la consulenza storica del giornalista e scrittore Giovanni Bianconi e il coinvolgimento della stessa famiglia del generaleverrà infatti presentata in anteprima con una proiezione al cinema Massimo di Torino nell’ambito del Torino Film Festival.

Come avranno modo di appurare gli spettatori che parteciperanno all’anteprima e i milioni di spettatori che la vedranno tra alcune settimane su Rai Uno (la data della messa in onda non è ancora stata resa nota, ma indicativamente sarà nel corso del mese di gennaio), l’attenzione di Pellegrini si è focalizzata non tanto sulle ultime settimane di vita dell’uomo di Stato, quanto sulla prima metà degli anni ‘70, quando Dalla Chiesa venne inviato ‘in prima linea’ contro il terrorismo in una Torino in cui le tensioni erano palpabili.

LA NASCITA DEL 'NUCLEO SPECIALE ANTITERRORISMO'

In quel periodo, come documentato accuratamente dalla produzione Rai, l’alto ufficiale seppe rispondere colpo su colpo ad un nemico particolarmente subdolo, contro cui lo Stato non si era di fatto mai trovato prima a confrontarsi. Il generale operò con il pieno supporto di un “Nucleo Speciale Antiterrorismo” composto da uomini da lui stesso selezionati. In buona parte coetanei degli stessi terroristi e pertanto perfetti per svolgere il ruolo, fino ad allora pressoché inedito nell’ambito delle tecniche d’indagine attuate nel nostro Paese, di infiltrati.

“Conoscevo la sua storia, ma non troppo nel dettaglio – ci ha spiegato Pellegrini, come sempre molto disponibile nel rapportarsi con i giornalisti -, ma ero interessato soprattutto a proporre quello che di solito non viene raccontato. Ovvero non la tragica fine, comunque presente, ma soprattutto la sua battaglia contro il terrorismo”.

“Il racconto – ha aggiunto il regista astigiano si dipana partendo da Torino, dagli anni in cui creò il nucleo antiterrorismo, ma poi si allarga su Milano, Genova, Roma… Abbiamo analizzato il periodo tra il 1973 e il 1982, raccontando quegli anni e quella ‘guerra’ attraverso il filtro di Dalla Chiesa e della sua squadra. Composta da ragazzi in gran parte inesperti, che lui ha saputo formare in tempi rapidissimi”.

“Grazie alla sua intuizione di ricorrere all’uso degli infiltrati, modalità investigativa decisamente inconsueta per i criteri dell’epoca, fece in modo che l’investigazione diventasse attiva. Non operando arresti in un primo tempo, preferendo dar modo ai suoi uomini di approfondire gli organigrammi delle cellule per riuscire a ‘smontarle’. Per quanto si rigenerassero molto rapidamente”.

UNA PRODUZIONE CORALE

“Il nostro generale” è pertanto una produzione in cui, al netto dell’indubbio carisma e della notorietà di Castellitto, trovano spazio e ‘respiro’ anche gli attori che prestano il volto ai membri della squadra, ad iniziare dal Nicola di Antonio Folletto (già visto in “I bastardi di Pizzofalcone”, “A casa tutti bene – La serie”, “Gomorra – La serie”), voce narrante della fiction.

Che cerca di affrontare la figura di Dalla Chiesa, portata più volte direttamente e non al cinema (da “Cento giorni a Palermo” di Giuseppe Ferrara, girato un paio d’anno dopo l’omicidio, a “La mafia uccide solo d’estate” di Pif) e in televisione, con un taglio inedito: “Ho visto anni fa il film di Ferrara – ci ha spiegato Pellegrini – che è quasi un istant movie che racconta la fine del generale. Ma a me interessava che questa fosse una storia raccontata in modo non lineare, non finalizzata a raccontare storie di terroristi, tematica toccata più volte dal nostro cinema, quanto piuttosto di come lo Stato ha affrontato una problematica che era sostanzialmente inedita. E di come Dalla Chiesa abbia avuto un ruolo determinante in quella ‘guerra’ dichiarata allo Stato”.

Un obiettivo estremamente ambizioso, per il quale Lucio Pellegrini e il suo staff non si sono risparmiati neppure dal punto di vista tecnico, oltre che narrativo: “Il cinema coevo di quei fatti raccontava soprattutto il terreno contiguo tra vita normale e clandestinità: era un’altra prospettiva. Mentre oggi, dopo molti anni, si riescono a mettere meglio a fuoco quegli episodi perché tanti fatti sono ormai noti. Ho voluto provare a raccontare quegli anni ormai lontani nella prospettiva reale di un Paese che in 50 anni è completamente cambiato. Ho cercato di lavorare sulla realtà, adottando anche specifiche tecniche di ripresa utilizzate all’epoca e pellicole utilizzate negli anni ‘70-’80”

STREAMING E' PERFETTO PER LE FICTION, I FILM VORREI VEDERLI AL CINEMA

Un periodo molto ‘distante’ da noi anche per quanto riguarda la fruizione delle opere cinematografiche, sempre più spesso spesso ad appannaggio dei colossi internazionali dello streaming, che non di rado le producono. Anche su questo aspetto il punto di vista di Pellegrini è chiaro: “Io farei una netta distinzione tra serie TV e film. Per le serie lo streaming è il metodo di fruizione migliore, mentre per i film lo ritengo un ottimo ‘secondo sfruttamento’ ma, sia come spettatore che come regista, i film mi piacerebbe vederli al cinema”.

“Di certo – ha aggiuntopossono diventare un problema quando i film vengono prodotti in modo seriale e perdono identità e sguardo personale, perché per la realizzazione di film prodotti da questi big player è necessario attenersi a regole molto rigide che vengono imposte. Comunque, tolto il film di Sorrentino, per il momento in Italia non vedo grandi film prodotti da questi player”.

IL PROBABILE RITORNO NELLE SALE, DOPO OLTRE 10 ANNI

Parlando di cinema, è stato pressoché inevitabile chiedere a Pellegrini se non senta la mancanza del realizzare film destinati alle sale, da cui è ‘assente’ come autore dal 2012, e la sua risposta non potrà che fare molto piacere ai suoi numerosi estimatori: “Non voglio ancora parlarne troppo apertamente perché manca ancora un piccolo passaggio prima di avere la certezza assoluta che lo realizzeremo, ma l’idea è di tornare al cinema molto presto, già nel 2023. Questa volta, però, con qualcosa di differente rispetto alle commedie del passato, sarà un film più psicologico”.

CARLO ALBERTO DALLA CHIESA: UN INTEGERRIMO SERVITORE DELLO STATO

Figlio di un generale dei Carabinieri originario di Parma, Carlo Alberto dalla Chiesa nacque a Saluzzo il 27 settembre 1920 e seguì le orme paterne, arruolandosi nell’Arma durante la Seconda Guerra Mondiale, partecipando all’occupazione del Montenegro e alla Resistenza. Al termine del conflitto si impegnò contro il banditismo in Campania e in Sicilia. Dove tornò – dopo aver maturato altre esperienze investigative in a Firenze, Como, Roma e Milano – a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 con il grado di colonnello guidando la Legione Carabinieri di Palermo.

Dopo un nuovo trasferimento, in una Torino fortemente scossa dal terrorismo, divenne generale di brigata e fu protagonista della lotta alle Brigate Rosse, che contrastò anche mediante la creazione, supportata dall’allora ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, del “Nucleo Speciale Antiterrorismo” che fu operativo nel biennio 1974-1976. Composto da un team di giovani investigatori, si avvalse di metodologie che il generale aveva appreso durante la Resistenza, ma anche del ricorso ante litteram a ‘pentiti’ e ‘infiltrati’.

Nel 1978 dovette affrontare il trauma della improvvisa scomparsa della amata moglie Dora Fabbo – conosciuta a Bari oltre 30 anni prima e madre di Rita, Nando e Simona dalla Chiesa – stroncata da un infarto ad appena 52 anni. Mentre professionalmente, promosso generale di divisione, fu nominato coordinatore delle forze di polizia nella lotta contro il terrorismo e dal 1979 al 1981 guidò la Divisione Pastrengo a Milano, divenendo poi vicecomandante generale dell’Arma dei Carabinieri tra il 1981 e il 1982. Anno fondamentale nella sua carriera professionale e nella sua vita, destinata a spegnersi tragicamente il 3 settembre 1982.

Il 6 aprile, posto in congedo temporaneo dall’Arma, venne nominato dal Consiglio dei Ministri prefetto di Palermo con l’incarico di contrastare ‘Cosa Nostra’ con le stesse metodologie rivelatesi così efficaci contro il terrorismo. Si insediò nel capoluogo regionale siciliano il 30 aprile, giorno in cui la mafia uccise Pio La Torre, uomo politico e sindacalista che fu tra coloro che ne sostennero la nomina a prefetto. Incarico apicale che, come lui stesso lamentò in alcune occasioni, compresa un'intervista che rilasciò a Giorgio Bocca pochi giorni prima di morire, fu costretto a svolgere senza poter usufruire dei ‘poteri speciali’ che gli erano stati promessi.

Si arriva così alla tragica sera del 3 settembre 1982, quando l’utilitaria su cui viaggiavano il generale e la moglie trentunenne Emanuela Setti Carraro, sposata pochi mesi prima in seconde nozze, fu affiancata da un’altra auto dalla quale partirono raffiche di Kalašnikov che li uccisero sul colpo. Contestualmente l’auto con a bordo Domenico Russo, agente di scorta, fu colpita da una raffica e il poliziotto trentunenne, gravemente ferito, morì dodici giorni dopo all’ospedale di Palermo.

LUCIO PELLEGRINI: UN AUTORE MAI BANALE TRA CINEMA E TV

Astigiano, classe 1965, Lucio Pellegrini può vantare una carriera ormai trentennale iniziata in campo televisivo, proseguita con sei regie cinematografiche intorno alla prima decade del 2000 (dal fortunato esordio con “E allora mambo!”, nel 1999, alla trasposizione cinematografica del romanzo di Nick Hornby “E nata una star?” del 2012) e che lo hanno visto parallelamente curare la regia di alcune serie TV di notevole successo per i canali Mediaset (“La strana coppia”, “I liceali”, “Benvenuti a tavola – Nord vs Sud”, “Romanzo siciliano”), Fox (“Non pensarci – La serie”, codiretta con Gianni Zanasi che è stato anche autore dell’omonimo film), Sky (“Il miracolo” che ha codiretto con Niccolò Ammaniti al suo esordio registico e Francesco Munzì) e Rai (“Tutto può succedere”, “Carosello Carosone” e ora l’attesa miniserie sul generale dalla Chiesa)

Gabriele Massaro

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