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Copertina | 06 aprile 2024, 00:00

Storie di Orgoglio Astigiano. Polina Bosca, CMO della storica casa spumantistica : "Il successo? Svegliarmi con il sorriso e sapere che ho attorno persone che fanno lo stesso"

Intervista a tutto tondo a Polina Bosca, che guida l'azienda, attiva dal 1831 a Canelli, insieme ai fratelli Pia e Gigi. "Che sapore ha l'Astigiano? Quello del Moscato, dell’Asti che meriterebbe di più"

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone What makes you beautiful, degli One Direction, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

Sono emozionatissima nel conoscere Polina Bosca (CMO ), nell'entrare nel suo regno e quello dei suoi fratelli, Pia e Gigi. 

I cancelli di 193 anni di storia si aprono davanti ai miei occhi e resto estasiata dalle "good vibes" che questo posto emana. Stringo la mano a Polina, che mi accoglie con il sorriso tipico di chi conosce la serenità, quella dell'anima e con lo sguardo di chi ha saputo navigare nelle tempeste, senza fare naufragio. 

Dopo un primo ed emozionante giro nelle Cattedrali Sotterranee Bosca, ci spostiamo all'interno di una stanza meravigliosa. E, da poltrona a poltrona, più che un'intervista prende il via uno scambio di energie. Polina si racconta con disinvoltura e naturalezza. Resto affascinata e la ascolto attivamente. Sono onorata nel percepire che, con me, si stia sentendo a suo agio. 

Dal 1831 a Canelli, Bosca è un'azienda storica per l'Astigiano e non solo. Che rapporto ha con il territorio, sia come azienda che come persona?

Canelli è da sempre il mio e il nostro centro. La nostra famiglia è di Canelli da generazioni, anche i nostri bisnonni sono partiti da qui alla volta del mondo. Anche se non sono nata a Canelli, ma in Australia, in uno dei vari giri per il mondo dei miei genitori, qui ci ho sempre vissuto. Per me questo territorio è casa. Ho pensato spesso di andare a vivere altrove, ma l'idea della forza della famiglia che porta avanti le cose mi attrae e sono sempre tornata. E vivo qui anche ora. L'azienda ha un rapporto molto forte con il Canellese, siamo cresciuti insieme e grazie a questa comunità. Abbiamo sempre voluto supportare questo territorio, siamo grati a questa terra per ciò che ci ha sempre dato in termini di valore agricolo e umano. 

Nota differenze tra il territorio astigiano in senso ampio e la terra canellese? 

Ho sempre pensato che Canelli avesse avuto una sorta di vena imprenditoriale spiccata, un maggior desiderio di andare in giro e farsi conoscere. Qui, infatti, sono nate tante aziende enologiche e altre realtà inserite in un contesto industriale molto forte, ricco e complesso.  Ed è proprio a Canelli che è nata l'idea della candidatura per l’Unesco, di cui quest’anno festeggiamo i primi dieci anni e che ha visto Bosca e Gancia insieme per portare avanti un enorme e ambizioso progetto. 

Pensa che l'Astigiano si voglia sufficientemente bene?

Penso di no, che non si voglia bene abbastanza. Dovremmo imparare a parlare anche di Monferrato. Deve uscire fuori tutto il valore di questo nome e di queste terre, luoghi meravigliosi, magici. Le Langhe hanno saputo muoversi e fare sinergia nel modo corretto per valorizzarsi, in questo territorio si fa più fatica. Nell'Astigiano, così come nella zona di Canelli, spesso manca la volontà di aggregarsi e fare massa comune per valorizzare il territorio. Valorizzarlo nel suo complesso vuol dire valorizzare la propria azienda. 

Quanto è importante per l'azienda il rapporto con l'estero e quali sono i paesi a cui è più legata? 

L'azienda lavora molto con l'estero e l'America rappresenta il principale mercato, insieme alla Russia e a Israele, nonostante l'attualità. E poi lavoriamo anche molto con il nord Europa, la Danimarca, l'Africa e l'Australia. 

Una storia bicentenaria per un'azienda in costante crescita, che ha sempre avuto un approccio anticonformista. Cosa significa essere controcorrente? È una filosofia in cui si rispecchia anche lei nella sua vita, oltre che nel lavoro? 

Così ci nasci e ci cresci, penso. E devo dire che crescere in una famiglia come la mia ci ha portati a esserlo ancora di più. Nel Novecento un mio bisnonno aveva lasciato tutto per andare in Argentina e questa era una cosa che all’epoca non si faceva con così facilità. Ogni generazione della mia famiglia ha sempre fatto cose dirompenti, controcorrente. E con questa mentalità ci cresci, questa forma mentis che ti insegna a ragionare in modo quasi laterale. Ed è un modo di essere che, ad esempio, sul lavoro, ti permette anche di trovare una tua nicchia, appassionare qualche estimatore diverso, con magari un prodotto particolare alternativo. È nel nostro dna cercare sempre di pensare qualcosa di diverso. Siamo qui da sei generazioni e questo ci emoziona tanto. 

Lei ad oggi guida un'azienda incredibile insieme alla sua famiglia. Qual è il percorso professionale e personale che l'ha portata fino a qui? 

Tutto è iniziato quando frequentavo la seconda media. Ero a pranzo con papà, che mi chiese che cosa avessi voluto fare da grande. Mi parlò di università, di tutte in realtà. Avrebbe voluto che studiassi Lingue Orientali a Venezia, ma poi mi parlò anche di Agraria e da lì mi innamorai di questo percorso. Così intrapresi il percorso di Scienze e Tecnologie Agrarie, ma non perché volessi lavorare nell'azienda di famiglia. Papà diceva che in azienda si poteva provare a entrare solo dopo aver fatto qualcosa di buono fuori. Ce l’aveva molto con i figli di papà e anche questo penso facesse parte del suo essere controcorrente. Così ho lavorato in una società di consulenza a Torino, poi gli ho detto che avrei voluto fare un'esperienza all’estero. E così, con papà si inizia a parlare dell'India. 

Che cosa ha rappresentato l'India per lei e perché andare proprio lì?

In India mio nonno aveva aperto un'azienda. Siamo stati i primi produttori di vino in quelle terre, ma mio papà non se ne era mai occupato. Così mi propose di andare in India a fare esperienza. Non mi disse altro. Papà era pronto a chiudere tutto, lì. Sono stata sei mesi in pianta stabile in India e per me è stata forse l'esperienza più bella e formativa. Ero completamente sola, papà non mi aveva dato istruzioni e ricordo bene di aver speso praticamente tutti i miei soldi per il mio primo laptop. Ero nel nulla a sud di Pune, a Baramati. In azienda avevo cercato di migliorare il processo produttivo, ma non c'erano più possibilità. Però non ero soddisfatta, così mi ero messa a cercare un alleato. In India le persone si conoscono alle feste e, in quell'occasione, conobbi un ragazzo indiano laureato a Stanford, che aveva iniziato un'attività con il vino. Lo convinsi a lavorare con noi e da lì iniziò tutto. 

E papà?

Avevo molto timore di papà. L'ho sempre visto come un genio, super intelligente, una personalità austera. Provavo tanto timore reverenziale nei suoi confronti. Dopo avermi lasciato fare, mi disse che sarebbe venuto in India a trovarmi, insieme alla mamma. Attraverso il mio lavoro, ero riuscita a organizzare un incontro con il ministro dell'Agricoltura locale e, seduti al tavolo tutti insieme, il ministro parlava con me e non con papà. Mio papà faceva domande e il ministro rispondeva a me. Ricordo con piacere questo aneddoto. Papà dopo quell'incontro mi disse: "Polina, non ti servo più". Si era reso conto che ero riuscita a fare qualcosa di buono fuori. 

Immagino che sia stato un cammino complesso quanto incredibilmente affascinante quello della crescita personale che l'ha accompagnata fino ad oggi. Essere Bosca significa esplorare: quanto è importante il viaggio, esteriore e interiore, per lei? 

L'India è stata veramente formativa, mi ha colpita dentro. Ha una spiritualità profonda e questo è contagiante per persone che sono pronte a ricevere certi tipi di emozioni. In generale, fin da piccola ho sempre lavorato sulla mia crescita personale, mi è sempre piaciuto il cambiamento, l'idea di poter andare oltre i miei limiti, oltre me stessa. Lavoro molto sulla meditazione e sull'autoanalisi, sulla gestione delle emozioni: aspetti che mi hanno sempre aiutata a sentirmi meno sola e, soprattutto, più serena. Anche nella gestione di lavori difficili o di momenti aziendali complessi. 

Cosa succede dopo il suo ritorno dall'India?

Da lì sono tornata in Italia e sono stata ammessa nell'azienda di famiglia. Ho iniziato in laboratorio, anche perché sono agronoma, poi, dato che sono un po' l'anima creativa con la passione per il disegno, ho lavorato anche alle etichette. E poi mi sono 'inventata' il reparto marketing, che prima di allora, di fatto, non era mai esistito. Per tanto tempo siamo stati afoni nella nostra carriera enologica. Adesso, invece, lavoriamo tanto sulla comunicazione. Abbiamo sempre avuto la fortuna di poter scegliere quale lavoro fosse più nelle nostre corde. Siamo tre fratelli, molto diversi ma sempre molto uniti nelle decisioni. 

Il momento più difficile per l'azienda?

In azienda abbiamo vissuto alti e bassi, momenti di crisi e di successo. Forse quello più complesso l'ho avvertito quando ero piccola, negli anni Ottanta. Percepivo la tensione di papà: non sapeva se l'azienda sarebbe riuscita ad andare avanti. Ci diceva che sarebbe stato necessario reinventarsi. Mi aveva colpita molto quella frase, poi per fortuna le idee hanno funzionato, ma prima di vedere i risultati la fatica era stata importante. E poi durante il Covid, non è stato un bel momento, così come la guerra e gli scenari attuali. Bisogna imparare ad avere il coraggio di inventarsi qualcosa e di reinventarsi, anche quando sei nella crisi più totale, anche quando ti sembra che tutto vada male. Inventati qualcosa di nuovo per superarla. Ad esempio, durante la pandemia abbiamo cambiato il nostro logo, abbiamo ristrutturato gli ambienti... Questa è stata la forza della famiglia. Quella di non vedere solo la crisi, ma riuscire ad andare oltre. 

Kρίσις: la crisi e la scelta 

Quando Polina affronta il tema della crisi e della capacità di andare oltre penso che abbia ragione. Quante volte rimaniamo come paralizzati di fronte alla vita? Quante volte cerchiamo risposte al pazzo dinamismo dell'esistenza? La parola 'crisi' dice già tutto: deriva dal greco è significa scelta, decisione. Le giuste scelte, però, arrivano dalle giuste risposte. E per arrivarci serve farsi le giuste domande. 

Ha mai avuto difficoltà legate al fatto di essere donna? 

No, devo dire che non ho mai avuto difficoltà legate al fatto di essere donna. Anche questo, forse, è stata la fortuna trasmessa dalla mia famiglia. Papà non è mai stato maschilista, che tu fossi femmina o maschio non era rilevante. Rilevava solo il fatto che tu fossi capace. E lui stesso non ha mai fatto sentire nessuno inadeguato per il fatto di essere uomo o donna. Devo dire, però, che vent'anni fa le donne nel mondo del vino erano viste con occhi diversi. Ora vengono maggiormente valorizzate. 

Un aneddoto aziendale più o meno recente che ricorda con il sorriso?

Quando è nata la nostra nuova linea. Mio papà non c’era più da dieci anni e negli ultimi sette anni abbiamo portato avanti ciò che faceva lui. Fino a che, un giorno, noi fratelli ci siamo detti "Facciamo la nostra Bosca, quella di noi fratelli". E questo è stato un momento bellissimo. Pochi mesi prima di morire ci aveva radunato tutti quanti. È difficile decidere di cambiare, di portare avanti un nuovo modo di lavorare.

Un consiglio ai giovani che stanno cercando la propria strada, tra paure e incertezze?

Fare ciò che si ama, studiare qualcosa che si ama per poi cercare di lavorare a qualcosa che ami. Questo è il mio spirito, non pensare che se fai Economia diventi ricco. Quello per me non porta alla soddisfazione personale. Dall’altro lato, però, mi rendo conto che magari si ha una passione che non permette di lavorare e bisogna farci i conti. Io tendenzialmente direi di fare ciò che si ama e di metterci tutta la passione che si ha. Sono fautrice della legge dell’attrazione, siamo ciò che pensiamo e sentiamo e questo ci può portare a raggiungere i nostri sogni. 

Cos'è il successo per lei? 

Svegliarmi con il sorriso al mattino e sapere che ho attorno persone che fanno lo stesso, che soddisfano le proprie capacità ed esigenze, affrontando la giornata facendo ciò che piace, a prescindere dal fatturato dell’azienda. La parte economica non dà peso al successo, è la serenità che lo fa.

L'azienda in questo senso ha fatto molto per quanto concerne il welfare

Sì, la propria serenità e quella di tutte le persone che gravitano attorno all'azienda è fondamentale. Facciamo tanto sul welfare, per rendere le persone serene quando vengono in ufficio. Perché si rende anche meglio. Abbiamo ingaggiato uno psicologo, che viene tutte le settimane e che aiuta chi vuole essere aiutato. Tutto a nostre spese.

È difficile tenere insieme lavoro e famiglia?

Devo dire che non è semplice per nessuno. Io ho due figli, di 15 e 12 anni. Ho sempre fatto di tutto per avere del tempo da trascorrere con loro. Dalla pandemia in poi tutti i pomeriggi lavoro da casa. Per loro voglio esserci, è difficile, si deve sacrificare una parte, ma è ciò che sento. Se stessi sempre fuori l’azienda ne avrebbe certamente beneficio, ma ho scelto di essere madre e voglio esserlo. Sfrutto la possibilità che anche il mio ruolo in azienda mi dà per poter gestire al meglio entrambe le situazioni. 

Che sapore ha, dal suo punto di vista, l'Astigiano? Dovesse paragonare il territorio astigiano a una vostra etichetta, a cosa lo assocerebbe e perché?

L’Astigiano sa di moscato, dell’Asti che dovrebbe avere più successo. Cosa c’è di più allegro e bello del produrre bollicine? Siamo fortunati e orgogliosi. 

Elisabetta Testa

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