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Al Direttore | 06 novembre 2025, 16:44

"Più sicurezza, certo, ma per prevenire la violenza anche più umanità, ascolto e competenze". La consigliera Ferlisi sulle aggressioni al Pronto soccorso

L'esponente del Partito democratico riflette sulle fragilità di chi compie questi gesti

Maria Ferlisi

Maria Ferlisi

In questi giorni in tanti — istituzioni, sindacati, forze politiche — si sono espressi dopo le gravi aggressioni avvenute al Pronto Soccorso di Asti.
È naturale, giusto e doveroso che ci si indigni e che si chiedano più controlli, più vigilanza, più tutela per chi lavora in prima linea. È ciò che mi aspetto, ed è giusto che tutti lo facciano.

Ma a tutto ciò che è stato detto, sento il bisogno di aggiungere una riflessione.
Perché se vogliamo davvero comprendere e prevenire ciò che accade, dobbiamo guardare anche a chi compie quei gesti — e al contesto che li rende possibili.
C’è un anello mancante in questo dibattito: quello della fragilità mentale e sociale.

Molte delle persone che arrivano al pronto soccorso non sono lucide, perché vivono disagi psicologici, dipendenze, solitudini o forme di esclusione sociale.
In questi casi non basta un posto di polizia, per quanto utile e necessario.
Occorre presenza di personale formato — psicologi, psichiatri, operatori dei servizi di igiene mentale e dei servizi sociali — in grado di cogliere segnali di pericolo, riconoscere la vulnerabilità e intervenire prima che la rabbia o la confusione diventino violenza. Sostenendo così preventivamente il personale (infermieri, medici, o.s.s., addetti alla sicurezza) e pazienti presenti in un’ottica di prevenzione e non solo di reazione.

La sicurezza non nasce solo dal controllo, ma anche dalla capacità di comprendere.
Ecco perché condivido e apprezzo profondamente le parole del direttore generale Giovanni Gorgoni, che ha offerto in questi giorni una lettura sensibile, umana e coraggiosa dei fatti.
Ha ricordato che chi lavora in pronto soccorso, oggi, “ha almeno tre spanne di umanità in più rispetto a noi”, perché ogni notte si confronta non solo con le urgenze cliniche, ma con la sofferenza umana nuda.
Sostengo come lui che dietro certi comportamenti violenti possono celarsi sofferenze, solitudini, disturbi non diagnosticati o situazioni di abbandono, e che la risposta non può essere solo repressiva.

La sua riflessione ha restituito dignità e verità a chi ogni giorno tiene in piedi un servizio essenziale con competenza e compassione che condivido pienamente perché aiuta a vedere le persone prima dei gesti.

Per questo penso che la soluzione non sia trasformare il pronto soccorso in una caserma di polizia, ma rafforzare anche la sicurezza attraverso la competenza e l’empatia, mettendo in rete le forze dell’ordine, i professionisti della salute mentale e i servizi sociali.
Non è buonismo: è concretezza. È riconoscere che dietro ogni gesto violento può esserci una storia di fallimento, di abbandono, di dolore che la società ha il dovere di intercettare, serve un patto per la sicurezza sanitaria, costruito insieme a Regione, Prefettura, Asl e Comuni, che unisca prevenzione, formazione e rete sociale.

Solo così potremo davvero proteggere chi cura e chi chiede aiuto.
Con più sicurezza, sì — ma anche con più umanità, ascolto e prevenzione.

Maria Ferlisi - consigliera comunale del Partito Democratico 

Al direttore


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