Un anno intenso, o meglio una vita intensa per uno degli attori più amati dagli italiani in questi giorni in tv con la serie “La guerra è finita” e in tour con “La luna e i falò” di Cesare Pavese.
L’attore canellese Andrea Bosca, un concentrato assoluto di passione e dolcezza, dopo diverse serie, fiction e film di successo è in televisione con la nuova serie di Michele Soavi con Isabella Ragonese e Michele Riondino, nei panni di Stefano, un giovane avvocato che si innamora e vuole aiutare la sua donna con i bimbi reduci dalla guerra. Una sorta di eroe romantico che nasce proprio leggendo la Luna e i Falò.
"Una storia d’amore con delle difficoltà dove c’è molta voglia di vivere - spiega Bosca. Sì c’è un parallelismo, la Luna e i falò ha un tema sopra tutti. Cosa facciamo dei poveri lasciati soli a se stessi? Chi scappa dalla guerra e cerca un posto per vivere non si ferma mai, ha voglia di avere un tetto e una scuola. Per i bambini siriani ad esempio la cosa più bella è 'Andare a scuola con gli amici', la necessità di tirarsi fuori dal nulla. E noi piemontesi queste cose le capiamo bene, abituati come siamo ad essere attraversati da qualunque cosa sviluppando una naturale ritrosia. Anche la mia famiglia era andata in America a cercare fortuna. Mio nonno ha pescato letteralmente da un cappello con un sorteggio il suo lavoro in Piemonte, altrimenti forse io non ci sarei mai stato”.
E a proposito di guerra e di bambini che desiderano solo poter stare a scuola, tu con altri amici hai fondato una onlus che dà loro voce, Every Child is my Child.
C’è un libro di Salani e tutta una raccolta fondi con spettacoli vari e una di queste realtà che aiutiamo riguarda i bambini siriani per ricostruire la Plaster School, un centro educativo e rieducativo elementare per i bambini profughi al confine tra Siria e Turchia. La nostra scuola 'cerotto' non risolve tutti i problemi ma diversamente loro sarebbero abbandonati.
I tuoi personaggi sono diversissimi tra loro, penso a Stefano piuttosto che a Jonas della Porta rossa, ma si vede che c’è sempre molto di te in tutti loro.
Sempre vero, sempre diverso (ride). Ho sempre cercato di essere molto attento alle storie che cambiano, in Italia ora c’è maggiormente il gusto per chi cambia e non è sempre così riconoscibile. Dentro però rimani sempre con le tue emozioni. Non sai cosa ti commuoverà o ti farà ridere, perché io possa sempre cambiare ci vuole il cuore di Andrea che non si deve vedere.
Una tua grande passione si concretizza a teatro con il tour de “La Luna e i Falò”, domani al Teatro Alfieri per le scuole e venerdì nell’ambito della Stagione. Domani tra l’altro è il compleanno di Vittorio Alfieri, un momento culturale importante.
È sempre bello vedere che la cultura è viva, mi piace questa casualità. Per me portare La luna e i falò è un sogno che si avvera. Ero un bambino la prima volta che l’ho letto. E in questo spettacolo sarò tutti i personaggi nel ricordo di Anguilla.
Un tema molto forte quello della Luna e i Falò, drammaticamente attuale.
Leggi il libro a scuola quando vuoi andare via, sogni l’America e vesti americano, quando arrivi alla maturità poi capisci la vera essenza della vita e l’importanza della memoria. Una scrittura meravigliosamente viva, che parla di amori e desideri. Anguilla torna a casa ma il passato non c’è più, è sfuggito ma dall’altra parte c’è tutta una realtà nuova, i nuovi poveri, gli amici, il mondo è cambiato.
È una scrittura molto viva, una penna meravigliosamente ricca di vitalità nonostante Pavese sia morto suicida. Il libro è intriso di voglia di vivere. Uno spettacolo occhi negli occhi con la gente. È ambientato dalle nostre parti ma deve funzionare ovunque e parlare a tutti. Una storia universale. Cesare Pavese ha messo tutta la sua voglia di vivere in questo libro.
Si gioca in casa quindi per questa partenza di tour. Sensazioni?
La sensazione è meravigliosa e qui devo dare tanto, ho una grande emozione, che spero non mi freghi e mi aiuti a raccontare questa storia, spero che si riaprano gli occhi su questi mondi preziosi dove viviamo. “Una collina è come un pianeta”. La soluzione è sempre la stessa, imparare a volersi bene.
LO SPETTACOLO
Nel viaggio alle origini, alla ricerca delle radici dove si nasce e dove si muore, la realtà si fonde con la memoria e una parlata viva e vera si innesta, come fosse una vite nuova, nei tagli freschi della poesia.
“Possibile che a quarant’anni, e con tutto il mondo che ho visto, non sappia ancora che cos’è il mio paese?” Anguilla è tornato da Genova, dall’America, dall’Altrove. Anguilla il bastardo cresciuto garzone, che fattosi uomo ricerca la terra, le piazze, le facce di allora.
Ma il passato si muove.
E mai rassicura. Perché “tutto è cambiato eppure uguale” a Canelli, sulla Langa e nella valle del Belbo. “E sulle colline il tempo non passa”.
Sotto alle cose, ai fatti, alle vite di chi è stato signore e di chi invece era niente, Pavese intravede simboli eterni del destino umano, il rito, il mito e si incammina coi suoi personaggi in un viaggio verso il primitivo e l’ancestrale. Uomini, donne e perfino le bestie, sono mossi da un sordo e mai pago desiderio che porta i più fragili a perdersi o a bruciare.
“La luna c’è per tutti” eppure “Qualcosa manca sempre”.
Nuto, il falegname del Salto e l’amico di sempre, “Nuto che non se n’era mai andato veramente, che voleva ancora capire il mondo, cambiare le cose, rompere le stagioni. O forse no, credeva sempre nella luna” diventa allora guida, Virgilio di campagna, custode di inconfessabili segreti.
E se qualcosa ancora rimane dopo i fuochi dei falò, è forse proprio la profonda amicizia che unisce Nuto ed Anguilla già dai tempi in cui era ragazzo e servitore alla cascina della Mora, quel riconoscersi quasi parenti della zappa e del clarino, lo stringersi a vita in umana e sociale catena.
“Non bisogna dire, gli altri ce la facciano, bisogna aiutarli”. L’incontro con Cinto, il ragazzino sciancato destinato alla miseria e all’ignoranza dall’altra faccia del mondo contadino che Anguilla va cercando, obbliga ad un confronto attuale e necessario con chiunque ancora sia convinto che il mondo finisca alla svolta della strada che strapiomba sul Belbo.
Perché per gli ultimi la Storia accade, ma non conta. Non c’è guerra, non ci sono fazioni, nè Liberazione. Solo l’affanno continuo di procurarsi un tetto e un piatto di polenta. “E vederlo su quell’aia era come rivedere me stesso”.
Anguilla se ne è andato, è tornato, ha fatto fortuna. Di fronte a Cinto non si può chiudere gli occhi. E le donne, direte?
Le donne sono solo evocate, un soffio della memoria. Non sono personaggi in presenza, ma in assenza. O meglio, la loro assenza le rende ancora più presenti.
“Una cosa che penso sempre è quanta gente deve viverci in questa valle e nel mondo che le succede proprio adesso quello che a noi toccava allora, e non lo sanno, non ci pensano…Anche la storia della luna e dei falò la sapevo. Soltanto, mi ero accorto, che non sapevo più di saperla”.
Se la lingua di Pavese è creata da a partire da un parlato semplice e popolare poi trasfigurato nel ritmo poetico della prosa, il linguaggio della scena ricerca la poesia nella prosa degli oggetti , dei corpi e dello spazio.
La forze simbolica del teatro trasforma le cose, le ri-destina, facendo di un fil di ferro una vigna, di luci lontane una collina, di un ritmo martellante un’ambiente ed insieme la sua suggestione emotiva nel cuore di chi ascolta.
Trasformare il romanzo in drammaturgia e spettacolo obbliga al confronto con una pagina scritta con sapiente bellezza, dove la maggior parte degli eventi sono collocati al passato.
L’intuizione di dare corpo a tre ruoli porta la scena a vivere qui e ora, alla confidenza di Anguilla occhi negli occhi col pubblico e a ad una dinamica in cui i tre personaggi coesistono continuamente, ricreando lo spazio e aprendo la scena ad un controcanto di azioni legate dal filo simbolico dell’immaginazione, proprio come i capitoli di Pavese sono uniti dalla forza lirica della sua scrittura.
Note di regia
La luna e i falò raccoglie lo smarrimento misto a malessere comune all’uomo contemporaneo. È un romanzo denso, una materia poderosa raccolta in 32 capitoli che ne fanno un’opera di grande valore, non sono letterario.
Ambientato a ridosso della Liberazione, nelle Langhe sventrate dalla guerra appena alle spalle e dalla miseria di un territorio che prova a rimettersi sulle sue gambe, racconta del ritorno a casa di Anguilla, emigrato in America dove è riuscito a fare fortuna. Il suo è un viaggio a ritroso, tra i luoghi e le tracce dell’infanzia, che prova a riannodare tra memorie sbiadite ed emozioni perse, nel tentativo di riappropriarsi di una identità e sentirsi parte di una comunità originaria. Eppure, anche nella placida campagna, dove tutto sembra conservarsi e a cui il tempo sembra risparmiare intatta la bellezza delle colline e dei noccioli, come pure l’abitudine ancestrale dei faló, tutto è cambiato irrimediabilmente.
C’è tanto del nostro essere giovani uomini in questo adattamento per il teatro che firmo insieme ad Andrea Bosca: l’inquietudine, l’essersi allontanati dai luoghi di origine, il modo difficile di sentirci a casa da qualche parte.
Ho ritenuto opportuno raccontare il qui e ora della voce narrante, trasformando il palcoscenico nella piazza del paese su cui Anguilla- che “nessuno conosce e nessuno più riconosce”- fa il suo arrivo. Il pubblico diviene l’interlocutore curioso a cui restituire la memoria del proprio vissuto e quella di quei luoghi nei tempi della sua assenza. Emerge lo strato profondo che un autore immensamente grande come Cesare Pavese ha voluto rappresentare: il senso della vita, l’andarsene, il tornare, l’essere straniero, il bisogno di una identità radicata che si rifletta nelle persone, nei luoghi, che ci hanno visto diventare uomini.
Paolo Briguglia
Adattamento dal romanzo di Andrea Bosca e Paolo Briguglia
Con Andrea Bosca
Regia Paolo Briguglia
Luci Marco Catalucci
Costumi Tommaso Lagattolla
Visual Chiara Maria Baire
Foto Laura Farneti
Produzione BAM teatro.
Pochissimi i biglietti disponibili. Informazioni allo 0141 399057