Il nuovo Piano di controllo dei piccioni per il quinquennio 2025-2030, firmato dal presidente della Provincia di Asti Maurizio Rasero, sta animando il dibattito pubblico. Al di là delle nette prese di posizione contrarie da parte di diverse associazioni, che mercoledì scenderanno in piazza inscenando un sit-in di protesta, è l'approfondita analisi giuridica redatta dall'avvocato Erik Bodda a metterne in discussione la legittimità, evidenziando un quadro complesso, fatto di luci e significative ombre.
Il provvedimento, che prevede una strategia articolata per la gestione dei colombi di città, poggia su basi apparentemente solide. La Provincia ha agito in virtù della legge 157/1992 e della giurisprudenza che riconosce il colombo come fauna selvatica. Inoltre, ha fondato la sua azione su censimenti scientifici condotti in diciassette comuni, utilizzando come riferimento la soglia di 300-400 individui per chilometro quadrato, indicata da una delibera regionale del 2008.
Tuttavia, secondo l'analisi tecnico-giuridica dettagliata del legale, vi sarebbero diversi punti deboli che potrebbero renderlo vulnerabile a un'impugnazione.
Le criticità del provvedimento
Secondo il parere dell'avvocato Bodda, nonostante l'impianto generale sembri corretto, il piano presenta significative criticità. La prima riguarda le carenze istruttorie: il documento non specifica il numero esatto di esemplari da contenere né stabilisce un cronoprogramma preciso degli interventi, elementi fondamentali per la trasparenza e la verificabilità dell'azione amministrativa.
Un altro punto debole è la potenziale violazione del principio di gradualità. La legge prevede che i metodi cruenti, come l'abbattimento, debbano essere considerati extrema ratio, ovvero un'ultima risorsa da impiegare solo dopo aver verificato l'inefficacia dei metodi ecologici e non letali. Il piano astigiano, invece, sembra consentire l'applicazione simultanea di misure preventive e di abbattimento, una prassi già sanzionata in passato dalla giurisprudenza amministrativa, come nella sentenza del Tar del Lazio n. 525 del 2014.
Sorgono dubbi anche sulla gestione degli interventi. La possibilità che l'abbattimento venga delegato a soggetti privati muniti di porto d'armi solleva preoccupazioni sul controllo effettivo delle operazioni, con il rischio di una gestione incontrollata e difficilmente monitorabile.
Infine, il provvedimento non sembra tenere in adeguata considerazione la nuova formulazione dell'articolo 9 della Costituzione, che dal 2022 ha elevato la tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli animali a principio fondamentale della Repubblica, richiedendo un bilanciamento più attento degli interessi in gioco.
La strada del ricorso al Tar
Queste criticità aprono la strada a concrete possibilità di impugnazione. Le associazioni che si oppongono al piano dispongono di diversi strumenti legali, primo fra tutti il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) per violazione di legge ed eccesso di potere. Secondo il legale, la richiesta di una sospensiva cautelare appare inoltre giustificata, dato che l'abbattimento degli animali rappresenta un danno grave e irreversibile.
La giurisprudenza offre precedenti favorevoli a questo tipo di azioni. Sentenze del Tar Veneto e del Consiglio di Stato hanno già annullato in passato piani analoghi proprio per carenze nell'istruttoria e per la violazione del principio che impone di tentare tutte le strade non cruente prima di ricorrere agli abbattimenti.
La vicenda astigiana si configura quindi come un caso emblematico della tensione tra le esigenze di gestione urbana e i nuovi principi di tutela ambientale e animale. Al di là del dibattito pubblico, sarà probabilmente nelle aule di tribunale che si deciderà la legittimità di un piano che, pur partendo da presupposti tecnici, mostrerebbe importanti falle sul piano del diritto.
In allegato, il parere pro veritate dell'avvocato Bodda.