In tempi attraversati da paure e rumori d’armi, una voce astigiana torna a farsi sentire con limpida fermezza: è quella di Igor Nogarotto, che intona “Mai più guerre” come un controcanto etico alla retorica del nemico, un invito collettivo a trasformare la competizione in dialogo, la forza in responsabilità, il conflitto in crescita condivisa. L’incipit è netto, quasi una dichiarazione di poetica: l’Arte e lo Sport sono linguaggi universali capaci di smuovere coscienze, di aprire spiragli di confronto anche duro, ma dentro la cornice non negoziabile del rispetto. In altre parole, come ripete Nogarotto, bisogna “battere senza abbattere”, e la musica serve proprio a ricordarlo.
Il rispetto come discrimine
La competizione è parte della natura, un impulso vitale che ha attraversato secoli di civiltà e ha dato forma all’“agon” dell’antica Grecia, dove la dialettica nacque come arte del confronto serrato per generare evoluzione. È la stessa grammatica che abita lo sport, e più di tutto la boxe: si lotta fino all’ultima energia, si cerca la vittoria con disciplina e strategia, poi si scioglie la tensione in un abbraccio, perché l’avversario non è un nemico, è l’altro termine della propria misura. Qui si gioca la differenza decisiva: vincere senza umiliare, senza disumanizzare, senza oltrepassare la linea rossa dell’annientamento. Da questa prospettiva, la guerra è l’esatto contrario dello sport e della dialettica: non è naturale, non è biologica, non è competizione sana. È, semplicemente, morte senza senso.
“Battere senza abbattere”
C’è una formula che Nogarotto trasforma in bussola morale: “battere senza abbattere”. Significa riconoscere gli avversari, impegnarsi per superarli, affermarsi restando fedeli ai propri principi, ma senza cancellare l’umanità dell’altro. È il confine che separa lo scontro costruttivo, capace di generare miglioramento, da quello distruttivo, che lascia solo macerie. Il messaggio si appoggia a una consapevolezza difficile: saper distinguere tra necessario e superfluo, giusto e sbagliato, difesa e attacco, umano e disumano. Un esercizio di lucidità che chiama in causa ciascuno, molto prima delle scelte geopolitiche, nel quotidiano delle nostre relazioni.
La voce del “Servo”
Il progetto si innesta nel concept album “La voce del Servo”, che Nogarotto ha scritto come percorso motivazionale e narrativo: il “Servo”, metafora delle persone comuni, attraversa difficoltà e tentazioni, cresce “canzone dopo canzone” fino a maturare una coscienza nitida di sé e dei propri obiettivi. La sua biografia romanzata guarda in faccia un contesto ostile, quello di una babygang che sembra predestinarlo alla deriva criminale; eppure, attraverso la boxe, con sacrificio e disciplina, trova il riscatto, dimostrando che la forza, senza il rispetto, è solo brutalità, mentre con il rispetto diventa edificio di sé. Le sue “armi”, infatti, non uccidono: sono valori. È qui che la dichiarazione diventa manifesto: “La vera rivoluzione è la Cultura: Mai più guerre”.
L’immaginario pugilistico attraversa tutto il lavoro di Nogarotto: sacchi, corde, sudore, sconfitte e ripartenze diventano metafore tangibili, comprensibili, per tradurre etica in pratica. Non si tratta di un pacifismo ingenuo, ma di una grammatica della responsabilità. “Mai più guerre” non nega il conflitto, lo incanala; non nega la forza, la educa; non nega l’avversario, lo riconosce. Il risultato è una proposta culturale che si presta ai territori e alle comunità: entra nelle scuole come educazione all’empatia, nelle società sportive come patto di lealtà, nei media come cornice per raccontare le nostre tensioni senza cedere alla retorica dell’odio.
Portare Pace significa scegliere, ogni giorno, la parte difficile: distinguere, misurare, rinunciare al gesto che appaga nell’immediato e distrugge nel tempo. È un percorso che chiede cura di sé e dell’altro, e che ha bisogno di simboli, di canzoni, di storie che sappiano tenere insieme fragilità e coraggio. In questo senso, il grido di Nogarotto si fa coro, e il suo “Mai più guerre” si candida a colonna sonora di una rivoluzione gentile, che fa della Cultura il primo, instancabile allenamento alla Pace.
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