Riceviamo e pubblchiamo le riflessioni dello psicologo Fabrizio Pace a proposito dell'emergenza che stiamo vivendo.
Ci troviamo nel pieno della crisi che il COVID-19 ha creato, abbiamo medici, infermieri, OSS, addetti alle pulizie, addetti alle camere mortuarie, e sanitari in genere, stremati dagli incessanti turni svolti nei reparti, eppure sembra che le ripercussioni psicologiche che il Coronavirus causa attualmente, e che causerà in seguito, vengano sottovalutate.
Il rischio è quello di trovarsi davanti a familiari dei pazienti affetti da COVID-19 con danno da PTSD, ovvero disturbo post-traumatico da stress. È esattamente ciò che percepisco attraverso l’incessante lavoro che in questo momento mi trovo ad affrontare all’interno dell’Ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato (città già nota per la grande battaglia che ha visto in prima linea la dott.ssa Daniela Degiovanni contro l’amianto e la fabbrica ETERNIT che lo produceva) per conto dell’Associazione Vitas che da anni si occupa delle realtà più fragili legate al fine vita, sia in ospedale che a domicilio.
Attualmente la procedura che si attua nei pazienti che risultano positivi al Coronavirus prevede che vengano portati in ospedale senza lasciare il tempo e lo spazio sia ai familiari presenti nella stessa abitazione, che a quelli che dimorano in altre case, di salutare il loro papà, mamma, fratello, sorella o figlio.
All’interno dei reparti adibiti per l’emergenza attuale, i pazienti non possono più vedere ne sentire i loro familiari: in pochissime circostanze provengono delle informazioni dal personale sanitario che mette addirittura a disposizione i propri telefoni per mandare notizie alla famiglia, in alcuni casi attraverso videochiamate. Intere famiglie attendono per ore che si trasformano in giorni, soprattutto nelle situazioni in cui viene comunicato che il congiunto sta molto male; le famiglie attendono la notizia con una tale ansia, frustrazione e terrore che difficilmente riescono a gestire: ecco perchè interveniamo noi Psicologi, con l’adeguato e necessario supporto, attraverso mezzi di comunicazione come Skype o videochiamate di WhatsApp.
Personalmente, come terapeuta, scelgo di effettuare, ove possibile, la videochiamata all’aperto esattamente nel mio giardino, per cercare di restituire serenità e normalità alle persone con cui sto dialogando al telefono.
In questo momento di emergenza fornisco anche reperibilità il sabato e la domenica proprio per quei pazienti internati nei reparti, ai familiari, nonché al personale sanitario che mai come ora sta affrontando un’enorme sacrificio.
A ciò si aggiunge il grande limite della presenza di pochi presidi DPI, in particolare per quanto riguarda le mascherine FPP2 e FPP3. L’utilizzo di questi presidi ci tutela non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico in quanto al solo pensiero di visitare un qualunque paziente che, ad oggi, potrebbe essere un potenziale Covid-19, ci mette in allarme.
Purtroppo a breve la ricaduta sociale di tutto ciò sarà inevitabile e di elevata importanza: di ciò lo Stato si è reso conto in quanto tra le rapide assunzioni che si stanno svolgendo, oltre a Medici e Infermieri, troviamo anche Psicologi. L’intera popolazione è duramente colpita, la reclusione in casa ha delle ripercussioni importanti, soprattutto nei familiari che perdono il congiunto e non hanno la possibilità nè di vederlo ne di salutarlo nella camera mortuaria.
Ad oggi la salma viene inserita nel feretro e immediatamente chiusa: in realtà, peró, negli articoli 10 e 18 del DPR 285/90, norme in materia di Polizia Mortuaria, non vige il divieto di far vedere la salma ai familiari, seppur con con adeguati DPI, come del resto vi accade per il personale sanitario: “Presso le camere ardenti ospedaliere e private, le estreme onoranze al defunto potranno avvenire con la presenza nel locale di non più di 2 persone ponendo cura a che nella sala d’attesa vi sia spazio sufficiente per garantire una idonea distanza tra le persone in attesa”.
Nonostante iò, quanto da me sollevato non accade.
Perché non bisogna avere paura? Perchè la paura mette in difesa il sistema neurovegetativo autonomo e pertanto si attivano i meccanismi di difesa, attacco e fuga che si mettono in atto per difenderci. Già ma da cosa? Non di certo possiamo attraverso questi meccanismi combattere un nemico invisibile. In questo modo produciamo pertanto sostanze come il cortisolo, l’adrenalina e noradrenalina, sostanze che portano in grande stress il sistema immunitario.
Dobbiamo cercare, per quanto possibile di recuperare serenità e tranquillità di cui il nostro organismo necessita, “normalizzando” quanto più possibile questa, a dir poco surreale, situazione.
Musica, tecniche di rilassamento, riscoprire un vecchio libro che ci ha restituito momenti di benessere, occuparci di tutte quelle cose che non ci siamo mai dati il giusto tempo di affrontare, sono strumenti atti ad andare nella giusta direzione.
Cerchiamo di ritrovare il nostro fulcro attraverso il sistema cerebrale detto Parasimpatico perché producendo neurotrasmettitori come la serotonina, le endorfine, la cedilcolina ci trasmettono benessere in quanto sono quelle sostanze che fanno vedere il bicchiere mezzo pieno in questo momento in cui ne abbiamo molto bisogno.
Più siamo tesi, più ci facciamo travolgere da informazioni di ogni genere e tipo, spesso da canali non ufficiali e più il livello di queste sostanze ci porta a vedere il bicchiere mezzo vuoto con tutte le conseguenze del caso sul nostro sistema immunitario. Decidiamo noi, due soli momenti della giornata, in cui recepire le informazioni sul COVID-19 e facciamolo solo attraverso canali e fonti ufficiali nonché autorevoli. Più ci allarmiamo e più la così detta ansia anticipatoria comincerà ad avere il sopravvento su di noi.
Ce la faremo, andrà tutto bene, abbiamo ancora molte armi da mettere in campo per far fronte alla sofferenza, a gran voce chiedo che ce ne diano la possibilità di metterle in atto.
Fabrizio Pace