Il racconto di un’esperienza unica, toccante e “riflettente” nel senso che, sicuramente ha fatto riflettere, ma soprattutto comprendere che dall’altra parte dello specchio potrebbe esserci ognuno di noi.
“Il nostro mare. In viaggio con Aquarius”, l’incontro organizzato sabato da Adl Culture alla Casa del Teatro di Via Goltieri, ha ospitato l’astigiano Alessandro Porro, soccorritore Croce rossa che dal 2016 ha svolto due missioni per il salvataggio dei profughi nel Mediterraneo sulla nave Aquarius, della ong SOS Méditerranée.
Intervistato dalla giornalista de La Stampa Laura Secci (che ha fatto, arruolandosi nell’esercito, diverse missioni in Medio Oriente e compiuto diverse missioni come reporter in Afghanistan, Libia, Iraq e Siria), ha trasportato nel mondo degli sbarchi il numeroso pubblico presente e attento. Erano presenti anche alcuni studenti del Castigliano che hanno partecipato al progetto Caffèlatte. Guidati dal professor Paolo Maccario e dalla professoressa Roberta Borgnino hanno presentato il loro video “Non sono razzista ma…”, con loro Otman, ragazzo marocchino in Italia da molti anni che ha raccontato che quando arrivò in Italia e non conosceva la lingua, cantava, coinvolgendo con “felicità” i suoi compagni di asilo.
Alessandro Porro ha spiegato perché la Libia non è un porto sicuro. Il ministro dell’interno Matteo Salvini ha chiesto all’Unione Europea di riconoscere la Libia come porto sicuro, quando la Libia viola palesemente l’Articolo 3 della Costituzione “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Dal 2012 la Libia non può davvero definirsi “porto sicuro”.
“Da soccorritore, spiega Porro, ho cercato una sfida più grande. I tanti morti in mare mi hanno avvicinato al soccorso in mare”.
I dati forniti da giornali e ministeri, sono freddi, non si tratta di numeri ma di esseri umani, il Mediterraneo è la frontiera più pericolosa al mondo e i morti accertati sono 36.000 con un nome, un’identità, una storia. Non ci sono progetti europei sicuri di soccorso, ma soprattutto azioni di polizia, le attrezzature della nave Aquarius fanno proprio la differenza nel soccorso, è una nave ambulanza con medici qualificati, soccorritori e persino un’ostetrica, ma dopo “mare nostrum” ci si è mossi con progetti che mirano più al controllo delle frontiere.
“Sono tre le mission di Aquarius – racconta Porro: soccorrere, proteggere e testimoniare. Per proteggere si intende anche ascoltare e confortare fino allo sbarco. L’Italia è un porto sicuro, la Libia no, la Libia è un posto pericoloso, la Farnesina sul sito spiega agli italiani di non recarsi in Libia e poi lo dichiara porto sicuro? In mare non ci sono testimoni, la Libia è in guerra e vengono compiuti atti contro la costituzione e la Convenzione di Ginevra. La strategia di infangare la reputazione delle Ong, passa anche attraverso la chiusura dei porti e l’attacco alle Associazioni e a persone come Mimmo Lucano. Io stesso sono rimasto a giugno, ostaggio dello Stato Italiano, con 600 persone terrorizzate dall’idea di tornare in Libia, è come se si legittimasse l’omicidio”.
L’Aquarius costa 11.000 euro al giorno e le sue attrezzature all’avanguardia consentono di salavare molte vite in mare. Porro ha poi spiegato come si sta su un gommone, coinvolgendo 12 persone del pubblico, in una sorta di “gioco” per comprendere gli spazi vitali. Con una corda piegata ha simulato il gommone e le 12 persone dovevano entrare tenendosi strette una all’altra. Chi metteva fuori un piede, era morto, “caduto in acqua”.
Sui gommoni vengono caricati almeno in 150. “Se ne contiamo di meno, ci preoccupiamo, vuol dire che ci sono dei dispersi”. Porro ha invitato i partecipanti a pensare di essere senza cibo, senza acqua, senza forze. Chi muore libera uno spazio, ma chi sviene ne occupa di più. Si respira acqua, urina, carburante. Ci si procura ustioni sulle gambe “ma sono curabili, gestibili, chi rimane in basso, si ustiona le vie aeree e facilmente perde la vita. Abbiamo trovato montagnole di cadaveri”.
“Ė cresciuta un po’ la consapevolezza delle persone, ci danno fiducia, le firme in Europa sono già 300.000. Firmate anche voi #saveaquarius #saverescueAtsea Firma la petizione”
Al termine dell’incontro, in cui è stato proiettato anche un video della giornalista Rai Angela Caponnetto, gli occhi lucidi erano molti. Un segnale incoraggiante.