A margine della presentazione del corso di gestione dei conflitti tra agenti di Polizia Penitenziaria e detenuti, presentato questa mattina ad Asti (CLICCA QUI per rileggere l’articolo), abbiamo chiesto all’On. Bruno Mellano, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, un commento in merito al recente pronunciamento con il quale la Grande camera della Corte europea per i diritti umani (CEDU), con sede a Strasburgo, ha invitato l’Italia a rivedere la sua legge che regolamenta il cosiddetto ergastolo ostativo. Pena inflitta principalmente a persone macchiatesi di reati di tipo mafioso.
E’ una sentenza molto importante e attesa. Debbo dire che come Garanti l’avevamo in qualche modo anche auspicata, cercando di far aumentare la consapevolezza su cosa vuol dire nella pratica “ergastolo” nel nostro Paese. Io stesso, due anni fa, ho organizzato in Regione Piemonte un importante convegno giuridico su questo tema. Perché c’è un po’ la percezione comune che in Italia non esista l’ergastolo. Mentre in realtà i dati ci dicono che al momento abbiamo in Italia circa 1.800 persone condannate all’ergastolo e, di queste, oltre due terzi sono condannate all’ergastolo ostativo, cioè fine pena mai.
Che una norma la quale prevede il “fine pena mai” sia difficilmente compatibile con l’art. 277 della Costituzione che afferma che la pena deve essere rivolta al reinserimento e alla rieducazione è abbastanza evidente. In più, come affermava anche Santi Consolo, precedente capo dell’Amministrazione Penitenziaria che è anche stato magistrato che ha comminato parecchie sentenze molto pesanti a carico di mafiosi, il quadro giuridico è profondamente mutato in questi anni con varie riforme dell’Ordinamento Penitenziario e relative norme in deroga.
Per cui, mentre all’inizio c’era compatibilità giuridica dell’ergastolo con il quadro normativo, è sempre più venuta meno con il passare del tempo. La Costituzione dice che anche ai peggiori delinquenti occorre dare una speranza, una luce in fondo ad un percorso. Poi il percorso deve essere individuale, serio e monitorato, ma deve venir meno il meccanismo automatico che attualmente non permette al magistrato di valutare il cambiamento della persona. Per queste ragioni la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è particolarmente importante.
Aggiungo che siamo in attesa fiduciosa anche rispetto al 22 ottobre, quando sarà la Corte Costituzionale italiana chiamata a valutare l’articolo 4bis, che è quello inerente l’ostatività. Ovvero quel meccanismo per cui, se uno ha compiuto un determinato tipo di reato, non può mai ambire a benefici e attività trattamentali esterne al carcere.
Come Garanti abbiamo sempre auspicato che, così come il magistrato può scegliere in autonomia e indipendenza, di comminare un certo tipo di pena piuttosto che un altro, deve venir posto in condizioni di poter farsi liberamente un convincimento sul percorso individuale del detenuto e valutare caso per caso. Si tratta di abolire dei meccanismi automatici e di rimettere in testa al magistrato competente la libertà di valutare.
Che poi, soprattutto per quanto concerne la Regione Piemonte, non abbiamo una magistratura di sorveglianza particolarmente “buona” o “buonista”. Per cui la responsabilità sarà sempre del magistrato: dall’ergastolano all’ultimo tossicodipendente accusato magari di reato di droga, che ha reato ostativo perché il reato compiuto viene assimilato a quelli di criminalità organizzata.